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numero 34 - febbraio 2016

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L'intervista

Intervista a Gaetano Torrisi

Intervista a Gaetano Torrisi

Uno spunto di riflessione sulla comunicazione e sul marketing in contesti aziendali e libero-professionali, per capire come sono camabiati gli atteggiamenti nel tempo e quali possono essere le potenzialità nel nostro settore sia per chi opera come consulente, sia per chi è interessato a promovere la propria attività professionale. 

D. Quali sono gli errori più comuni che le PMI fanno in termini di attività di marketing?

R. Diciamo che l’errore più frequente è nell’approccio, molti imprenditori tendono ad agire applicando il modello decisionale del: “se va bene a me andrà bene anche ai miei clienti”, si tende a sottovalutare l’importanza delle ricerche di mercato (complice anche la reputazione degli istituti di ricerca che è stata minata dalle recenti esperienze in politica) o a criticare la proposta di un’agenzia di pubblicità sulla base del gusto personale dell’imprenditore.

D. A volte capita di vedere aziende che considerano le attività di marketing e comunicazione slegate dalla strategia e dal posizionamento aziendale. Come mai questo avviene secondo lei?

R. Il problema sta nella comprensione del concetto stesso di strategia. Con fatica le piccole aziende hanno capito che non basta più aprire i cancelli per vedere arrivare i clienti, hanno compreso che esiste internet come luogo in cui si possono vendere i loro prodotti e servizi e questo ha fatto da traino ad un ingresso più corposo del marketing nella gestione aziendale. Per fare un esempio, prima fare marketing significava stabilire dei prezzi e delle promozioni, lo studio della confezione, accordi con i distributori, attività che venivano compiute in modo estemporaneo o in virtù delle esperienze precedenti. Adesso è diventato necessario differenziare i prezzi in funzione del canale utilizzato (internet, showroom aziendale, uso di rivenditori specializzati ecc.) sapendo che c’è il rischio concreto che il cliente venga a sapere di questa difformità con le evidenti ricadute negative in termini di rapporto con gli intermediari commerciali. Diventa necessario pianificare con cura le proprie mosse e serve sempre di più una figura esperta nell’uso degli strumenti digitali di marketing.

D. Lei scrive che la creatività e l’innovazione sono due pilastri della sua professionalità. Talvolta però si ha l’impressione che le organizzazioni temano la creatività e l’innovazione. Se è d’accordo con questa affermazione, come mai questo avviene secondo lei?

R. Il problema è un po’ più complesso, le organizzazioni non temono a priori l’innovazione e la creatività, temono più che altro l’impatto sulle procedure e l’organizzazione che spesso esse comportano. Ormai le aziende hanno capito che devono essere capaci di adattarsi ad un mercato molto più fluido e mutevole nei gusti e nei bisogni, tuttavia interpretano questa capacità di adattamento nell’essere veloci a cambiare quegli aspetti soft del loro prodotto come la confezione, il prezzo, la comunicazione. È sempre difficile far accettare ad un imprenditore cambiamenti più strutturali come la realizzazione di un nuovo prodotto/servizio o l’ingresso in un nuovo mercato.

D. Quali sono, secondo lei, le paure più frequenti che sono diffuse nelle PMI?

R. Nel contesto italiano la percentuale maggiore delle PMI ha un management che applica un approccio gestionale familiare alla propria impresa, le paure sono quelle di un capofamiglia che ascolta quelli che ha intorno ma poi sente sulle sue spalle il peso della scelta e spesso indugia alla ricerca di quelle conferme che quando arrivano sanciscono la fine del periodo ottimale per intervenire.

D. Parliamo di ascolto. Sembra banale ma quando si fa consulenza chi non ascolta è perduto perché i committenti spesso a parole danno dei messaggi ma in realtà i messaggi impliciti sono altri. Secondo lei, quanto un ascolto non efficace impatta sull’efficacia di una consulenza?

R. Questo è a mio modo di vedere il vero contributo dell’esperienza ad un professionista, la prima cosa da comprendere durante il colloquio iniziale non è come è fatta l’azienda e il problema che deve essere risolto, metterei prima di questo punto il tipo di supporto che l’imprenditore sta cercando: serve un certificatore della bontà delle sue idee? Una persona che si assuma la responsabilità di tutto ciò che viene deciso? Un capro espiatorio? Un generatore senza fine di idee plausibili? L’ascolto attivo deve aiutarci innanzitutto in questo tipo di percezione, il resto poi si fa con il bagaglio tecnico specifico di ciascun professionista.

D. Quando si parla di marketing e comunicazione si pensa quasi automaticamente alle organizzazioni; tuttavia si tratta di attività che riguardano anche i lavoratori autonomi. Quanto c’è, secondo lei, la cultura della promozione di se stessi tra i liberi professionisti?

R. Diciamo che la cura della promozione c’è da sempre, di necessità virtù. Solo che prima si utilizzavano prevalentemente due approcci: il passaparola tra conoscenti e la promozione con i mezzi tradizionali quali biglietti da visita, depliant e i più audaci inserzioni su qualche quotidiano (chiaramente secondo le indicazioni deli Ordini professionali). Oggi si parla di sviluppare una strategia promozionale per se stessi al pari di una strategia aziendale, si ragiona di un mix di interventi che coprono sia i canali digitali (social network, sito tradizionale, advertising sui motori di ricerca, pubbliche relazioni digitali, ecc) al pari degli strumenti offline elencati in precedenza e delle modalità tradizionali come le pubbliche relazioni in presenza.