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numero 35 - marzo 2016

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L'intervista

Intervista a Franco Scarpa

Intervista a Franco Scarpa

Il Dott. Franco Scarpa è direttore dal 2008 dell’Unità Operativa Complessa “Salute in Carcere” USL 11, con competenze sull’OPG di Montelupo Fiorentino. Proprio partendo dalla sua esperienza gli abbiamo chiesto di aiutarci a fare il punto sull'attuale situazione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), anche alla luce della recente normativa a riguardo, e offrirci uno scorcio sulla tipologica di pazienti che afferiscono a queste strutture e sul tipo di lavoro che si può svolgere in quel contesto. 

D. Dottor Scarpa, lei ha lavorato per molto tempo presso l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG) di Montelupo Fiorentino. Che cosa significa per uno psichiatra lavorare in OPG?

R. Lavorare in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario rappresenta per tutti gli operatori, di qualsiasi professionalità, un impegno formidabile perché ogni giorno bisogna confrontarsi con una realtà che si caratterizza per due aspetti, decisamente contrastanti: la malattia mentale ed un agito  antigiuridico che, in molti casi, si è associato ad un gesto violento, che ha creato danno e dolore ad altri. Questo vuol dire lavorare con persone che presentano notevoli e gravi turbe psichiche, mediamente più gravi di quelle riscontrabili in un ambito non giudiziario, nel contesto di una misura di sicurezza penale, pertanto coattiva. Infatti, le persone sono internate in tale struttura in forza di un provvedimento giudiziario che è commisurato al grado di pericolosità sociale e non solo per il bisogno di cura. È necessario pertanto lavorare con un intento terapeutico che tenga conto sia del disturbo psichico sia del comportamento violento che la persona ha presentato in una cornice organizzativa e gestionale penitenziaria. Le persone non sono pertanto ricoverate per loro scelta e tale situazione inquina la genuinità del rapporto terapeutico e la stessa aderenza al trattamento. L’obiettivo è pertanto curare il disturbo ma anche creare le condizioni che rendano possibile al Giudice, ultimo decisore rispetto alla persistenza della misura di sicurezza e del conseguente ricovero in OPG, di valutare la pericolosità sociale della persona e, dove attenuata o cessata, risolvere la misura di sicurezza penale.

D. Che tipo di patologie psichiatriche si riscontrano nei pazienti di un OPG?

R. In OPG sono presenti prevalentemente persone con disturbi dell’area psicotica, prevalentemente Schizofrenici (38 %) e Disturbi Deliranti (27%). Meno del 10 % presenta Disturbi dell’Umore mentre una percentuale di oltre il 15% ha un grave Disturbo di Personalità tra i quali prevalgono le forme di tipo borderline ed antisociale. Il restante gruppo di utenti presenta disturbi organici o altre forme di disturbo psichico. Da notare che, in tutti i gruppi diagnostici, sono notevolmente rappresentati Disturbi di abuso di sostanze, in particolare droghe psicostimolanti ma anche alcol, in comorbidità con il disturbo psichico. È utile inoltre segnalare che l’età media dei pazienti è di 42 anni, ma essi presentano in media una carriera di malattia psichica di oltre 18 anni, segno di una cronicità del disturbo. Inoltre almeno in 3 pazienti su 4, si riscontra che hanno avuto già contatti con i servizi psichiatrici in un epoca precedentemente all’internamento, spesso con notevole impegno testimoniato dal riscontro di numerosi ricoveri nei reparti psichiatrici,  sia volontari che in regime di Trattamento Sanitario Obbligatorio.

D. Quali sono le difficoltà principali con cui si deve confrontare un medico che lavora in un contesto che nasce con finalità di tipo sanitario ma anche punitivo?

R. L’OPG è sostanzialmente un Istituto Penitenziario, cioè un carcere dove, nonostante le finalità specifiche di accoglienza e di cura di persone con turbe psichiatriche, si applicano le regole penitenziarie e dove il personale di Polizia Penitenziaria è sempre stato in maggior numero rispetto a quello sanitario. Le regole di organizzazione, la tipologia delle strutture abitative (vi sono celle e non stanze di tipo ospedaliero o comunitario), e la finalità di sicurezza connessa al mandato di esecuzione di una misura penale spesso prevalgono su quelle di cura e di convivenza basata su modalità e finalità terapeutiche. Gli spazi dove pazienti ed operatori possono muoversi sono ristretti, la movimentazione dei pazienti è spesso resa più difficile per la presenza di sbarramenti penitenziari (cancelli, postazioni di controllo, regole di controllo numerico) che allungano i tempi di lavoro e di intervento terapeutico. Inoltre le risorse impegnate negli OPG, almeno nel caso dei 5 OPG caratterizzati da strutture di carattere penitenziario, non sono mai state particolarmente elevate. Basti pensare che il costo medio giornaliero in un OPG non ha mai superato la cifra di € 100,00 al giorno negli OPG penitenziari, costo decisamente minore rispetto a quello di una qualsiasi struttura terapeutica, ospedaliera o residenziale comunitaria, che supera in molti casi la cifra di € 200,00. Altro elemento critico è rappresentato dal fatto che il provvedimento di internamento, come anche quello di dimissione, non dipendono direttamente dal Medico Psichiatra ma dalla decisione di un Magistrato al quale è deputata la funzione di applicazione o revoca della misura di sicurezza che determina la persistenza della misura di sicurezza e del conseguente ricovero in OPG. Pertanto i tempi di intervento e di conclusione di un percorso terapeutico istituzionale non coincidono con i tempi e le valutazioni di tipo giuridico, connessi al concetto di pericolosità sociale, e tale discrasia determina problemi anche nella relazione terapeuta-paziente e nella gestione dei percorsi individuali e nella continuità terapeutica da realizzare con i servizi territoriali.

D. Circa un anno fa (31/03/2015) è entrata in vigore la legge sulla chiusura definitiva degli OPG. Quali cambiamenti ha osservato da allora? Che cosa pensa delle nuove disposizioni di legge?

R. La Legge 81 del 2014 arriva dopo 6 anni dall’avvio di un percorso di superamento degli OPG, iniziato on il DPCM del 1-4-2008, ed ha stabilito finalmente un termine improrogabile alla chiusura degli OPG. Tale termine fissato al 31 marzo del 2015 non è stato però rispettato perché a tale data non erano state ancora allestite le strutture sanitarie residenziali necessarie ad accogliere sia i pazienti, ancora presenti in OPG, sia quelli ai quali cui sono applicate le nuove misure di sicurezza. La Legge 81, come quelle che l’avevano preceduta, ha come obiettivo la chiusura definitiva degli OPG attraverso la creazione di strutture residenziali per Esecuzione delle misure di Sicurezza completamente sanitarie (cosiddette REMS) per l’accoglienza e  la cura delle persone sottoposte a misura di sicurezza. Tali strutture devono pertanto avere un’organizzazione, ed una modalità di gestione della vita interna alla stessa, esclusivamente sanitaria e non penitenziaria, mentre il carattere penale della misura è garantita solo da un controllo perimetrale affidato dove necessario a Forze di Polizia. Inoltre la Legge 81 impone ai servizi psichiatrici territoriali di individuare, e proporre al Magistrato, programmi di cura che evitino il ricorso alle misure di sicurezza detentive nelle REMS. Tale Legge rappresenta sicuramente un progresso di notevole valore di civiltà perché restituisce al Sistema Sanitario Nazionale il compito esclusivo di prendersi cura di tutte le persone che sono portatori di disturbo mentale, anche se essi  hanno commesso reati, limitando il ricorso a misure restrittive della libertà solo a casi di effettivo spessore di pericolosità sociale. Tale scelta allinea, anzi sopravanza notevolmente per la specifica natura residenziale e non ospedaliera delle strutture, il sistema di trattamento del nostro Paese a quello vigente nei Paesi europei. La REMS infatti devono avere non più di 20 posti letto al massimo ognuna e non possono essere accorpate in più di due moduli nella medesima struttura, proprio per evitare la creazione di complessi troppo grandi di ricovero, aspetto che ricondurrebbe ad una visione, e dimensione, del trattamento dei pazienti psichiatrici di tipo manicomiale, abolito già nel 1978 dalla Legge 180.

D. Dove si trovano adesso i pazienti che prima risiedevano negli OPG?

R. Dal 1 aprile del 2015 oltre 500 persone sono uscite dagli OPG per fare ingresso nelle Residenze per Esecuzione delle Misure di Sicurezza allestite in quasi tutte le Regioni, ossia le REMS. Inoltre molti altri pazienti sono stati dimessi per essere accolti in programmi di cura nell’ambito delle strutture dei servizi territoriali. A fronte di tale movimento di deistituzionalizzazione, sono purtroppo, alla data del 15 dicembre 2015, ancora presenti negli OPG 142 persone per mancanza di un numero adeguato di posti nelle REMS finora organizzate e funzionanti. Per tale motivo recentemente il Governo ha affidato ad un Commissario il compito di coadiuvare le Regioni che non hanno completato il programma di apertura delle strutture necessarie, allo scopo di completare il processo di chiusura definitiva degli OPG. Il numero dei pazienti ancora in OPG è diminuito ulteriormente ma periste la necessità di avere più disponibilità di posti nelle REMS anche per le nuove misure di sicurezza applicate.

D. A volte ci rassicura pensare che i crimini vengano commessi esclusivamente da persone con disturbi mentali. In realtà non è sempre così. Cosa ne pensa?

R. La quota di crimini commessi da persone con disturbi mentali, considerando i crimini che sono direttamente connessi ad un disturbo che influenza o attenua la capacità di libera scelta ed autodeterminazione della persona, non supera il 10%. Tale, infatti, è la quota di internati per misure di sicurezza rispetto alle persone detenute. È vero peraltro che tra le persone detenute, non per misura di sicurezza, il tasso di presenza di disturbi mentali è del 40% ma la maggioranza di tali disturbi è connessa all’uso di sostanze ed altri fattori che si associano in generale al comportamento delinquenziale. Inoltre bisogna evitare di mettere in connessione automatica la presenza di disturbo mentale con il comportamento criminale.  Tale legame deve essere di volta in volta dimostrato ed in ogni caso vale la pena riflettere come i fattori di rischio per il comportamento criminale e per il disturbo mentale spesso coincidono (abuso di sostanze, precedenti comportamenti violenti ecc.).

D. In che modo i test possono essere di supporto a un professionista che opera nell’ambito della salute mentale in contesto giudiziario?

R. A mio parere in ambito giudiziario bisogna sempre più supportare il giudizio clinico con l’utilizzo di strumenti di valutazione oggettiva, soprattutto nel caso della valutazione della pericolosità sociale. Oltre ai classici strumenti di valutazione utile alla diagnosi clinica, come la SCID, l’MMPI ed altre, si ritiene indispensabile ricorrere a strumenti di valutazione del rischio di violenza che ricorrano ad un giudizio clinico strutturato. Molto importante in tale settore è lo strumento HCR-20 (Historical, Clinical, Risk Assessment) che, nella più recente versione 3, rende possibile un accurata individuazione dei fattori di rischio di adottare comportamenti violenti, e di scenari che profilano tali rischi, e di predisporre idonei programmi di gestione e di controllo di tale rischio.

D. Quali limitazioni giuridiche ci sono nell’utilizzo dei test psicologici in contesti come gli OPG?

R. In linea di massima non vedo difficoltà nell’utilizzo di test psicologici o strumenti di valutazione per le persone sottoposte a misure di sicurezza. Oltre all’utilizzo di test diagnostici che possono in molti casi sostenere e rafforzare il giudizio clinico dei professionisti (è il caso specifico del corretto inquadramento nel caso della multiforme galassia dei Disturbi di Personalità e dei Disturbi dell’Umore), ritengo siano molto utili gli strumenti di valutazione specifica del rischio di violenza sia generici, come il già citato HCR20, sia in settori più mirati come la tipologia di violenza sessuale. È logico comunque specificare che l’utilizzo dei test non può da solo sostituire né essere l’indicatore dirimente rispetto al concetto di pericolosità sociale contenuto nel Codice Penale e che sostiene l’applicazione delle misure di sicurezza. Il concetto di pericolosità sociale, che rappresenta uno spartiacque nell’applicazione di misure restrittive, prescrizioni e controlli, rispetto alla condizione di libertà, non può essere definito in base ad un mero cut-off numerico, per quanto basato su un principio di carattere statistico-attuariale. È necessario ragionare su tale criterio introducendo e sviluppando sempre più a fondo in concetto di “rischio”, aspetto che si basa sia sull’attenta valutazione delle condizioni individuali sia sugli aspetti contestuali o ambientali che possono concorrere ad un effettiva concretizzazione di tale rischio in condotte dannose. Altro settore nel quale bisognerebbe approfondire le modalità di assessment, che al momento appaiono basate solo su una metodologia soggettiva ed individuale, è quello della valutazione della capacità di stare in giudizio. Strumenti di ausilio in tale campo possono dare un prezioso contributo a sostegno del giudizio clinico. In ogni caso il giudizio clinico, basato sull’esperienza, conoscenza della psicopatologia e dei meccanismi psicologico che sostengono l’agire individuale, rappresentano le principali, ed insostituibili, doti di cui ogni operatore, psichiatra o psicologo, che si applichi nel campo forense, deve essere fornito. Il settore forense richiede specifiche competenze da acquisire con adeguata formazione ed esperienza.