L'intervista
Intervista a Carlo Odoardi
Intervista a Carlo Odoardi
Che prospettive ci sono per lo psicologo del lavoro in un contesto di crisi economica come quello che stiamo vivendo e che vede le aziende non assumere più e l’occupazione crescere? È con questa domanda in mente che abbiamo e pensato di parlare di psicologia del lavoro e delle organizzazioni e di crisi con Carlo Odoardi, che ha fatto dell’innovazione e dell’imprenditorialità alcuni dei suoi filoni di ricerca ed applicazione.
La risposta, come vedrete, è di ottimismo e soprattutto di (ri)valorizzazione del ruolo dello psicologo e delle sue competenze nelle organizzazioni, in un momento in cui le aziende sono ancor più attente che in passato al contenimento della spesa e all’aumento di produttività immediato. Ma ben sappiamo, ed Odoardi ce lo conferma in questa intervista, come il successo economico non solo delle organizzazioni, ma della società stessa, non possa prescindere dal capitale umano e dal suo sviluppo.
D. L’attuale crisi economica ha prodotto un grosso calo dell’occupazione soprattutto tra i giovani. Quali ripercussioni ha tutto ciò per lo psicologo del lavoro?
R. Il calo dell’occupazione causato dalla crisi economica ha prodotto due principali tipi di conseguenze nell’ambito della psicologia del lavoro.
Da un lato, la crescente difficoltà per i giovani a trovare un impiego nel mondo del lavoro, pur riflettendo la grave situazione economico-sociale che sta vivendo il nostro Paese, può, nondimeno, estendere gli spazi d’impiego professionale per lo psicologo del lavoro. Questa convinzione scaturisce primariamente dalla constatazione che oggigiorno, per essere competitivi sul piano lavorativo e professionale, e avere quindi maggiori possibilità di impiego, i giovani devono saper agire nel proprio lavoro una serie di competenze di natura psicosociale (ad esempio, assunzione del rischio, flessibilità di ruolo, proattività, creatività e innovazione, autonomia, iniziativa personale), che lo psicologo del lavoro è in grado di identificare, valorizzare e sviluppare attraverso l’applicazione specifica di metodi e tecniche nell’ambito della formazione e dell’orientamento professionale. La disoccupazione deve, quindi, essere letta come stimolo per lo psicologo del lavoro ad attivarsi per offrire e implementare una serie di attività e servizi formativi/orientativi, indirizzati ad accrescere, fra coloro che sono in cerca di un’occupazione (giovani, neolaureati, lavoratori disoccupati), quel sistema di competenze necessarie ad accrescerne la competitività nel mondo del lavoro.
Dall’altro lato, è in primis lo psicologo del lavoro stesso che, per riuscire a crearsi opportunità di impiego ed acquisire un vantaggio competitivo rispetto ad altri professionisti che operano nel settore della gestione, sviluppo e valorizzazione delle risorse umane, deve primariamente apprendere ed esercitare tali competenze. Reputo essenziale, a tale riguardo, indirizzare l’insegnamento e la supervisione degli studenti di psicologia del lavoro e delle organizzazioni verso dei percorsi di sviluppo che siano finalizzati a promuovere tanto le competenze di natura tecnica (di ricerca e intervento) quanto le competenze psicosociali di natura trasversale che dovranno essere di supporto all’esercizio efficace, proattivo, e responsabile della propria pratica professionale.
D. Crede che la crisi economica possa offrire nuove opportunità allo psicologo del lavoro e delle organizzazioni?
R. Come ho spiegato prima, credo che la crisi economica, aldilà delle drammatiche conseguenze che sta producendo sul piano economico e sociale, possa offrire allo psicologo del lavoro e delle organizzazioni una serie di opportunità professionali. Nello specifico, poiché nell’attuale contesto socioeconomico si è assistito ad una profonda trasformazione degli obiettivi delle organizzazioni, che manifestano l’esigenza costante di adattarsi alle richieste conflittuali, al dinamismo del mercato globale, e ai rapidi cambiamenti tecnologici, si sono estese e diversificate, conseguentemente, l’insieme delle pratiche di gestione, sviluppo e valorizzazione delle risorse umane che debbono essere attuate e promosse per indirizzare efficacemente i lavoratori e le imprese verso il perseguimento di risultati competitivi. Questo significa, dunque, che anche gli ambiti di intervento e applicazione della pratica in psicologia del lavoro e delle organizzazioni si sono ampliati, favorendo, di conseguenza, nuove opportunità di sviluppo professionale per i professionisti psicologi operanti nell’ambito della consulenza di processo e di counseling organizzativo oltre che della gestione, dello sviluppo e della valorizzazione delle risorse umane.
D. In questo contesto socioeconomico le aziende sono sempre meno disposte ad investire soldi nel campo della psicologia: come si potrebbe rovesciare questo trend negativo?
R. Credo che, considerando la pressante esigenza di cambiamento e innovazione da parte delle imprese, possa essere particolarmente vantaggioso per il management investire, attraverso il supporto operativo degli psicologi del lavoro e delle organizzazioni, in un percorso di sviluppo e valorizzazione delle risorse umane a sostegno della sostenibilità di un ambiente di lavoro aperto e orientato all’innovazione (in termini di cultura e clima per l’innovazione), nonché di competenze psicosociali e di comportamenti professionali di natura innovativa (a livello individuale e di gruppo). Attraverso il trasferimento di conoscenze, metodi e tecniche fondate sull’evidenza scientifica nell’ambito della psicologia organizzativa, gli psicologi del lavoro e delle organizzazioni possono, di fatto, offrire un contributo essenziale alla competitività delle imprese e sostenerle efficacemente nel perseguimento di obiettivi innovativi sfidanti.
D. La psicologia del lavoro può proporsi come trait d’union tra le esigenze del lavoratore e le esigenze organizzative?
R. Piuttosto che parlare di trait d’union, mi piacerebbe parlare di facilitatore dei percorsi collettivi verso il perseguimento di obiettivi condivisi da parte dei lavoratori e delle organizzazioni. Una missione centrale della psicologia del lavoro, e forse la più rilevante in assoluto, dovrebbe essere proprio quella di favorire e sostenere quella vocazione intrinseca dell’uomo ad esprimere, attraverso un lavoro individuale e un lavoro collettivo, le proprie possibilità e le proprie capacità. La psicologia del lavoro può, in tal senso, perseguire questa missione, agevolando la co-costruzione, da parte delle imprese e dei lavoratori, dei valori organizzativi e degli obiettivi lavorativi che dovrebbero regolare l’agire professionale nel contesto organizzativo, e sostenere, conseguentemente, la mobilitazione collettiva delle risorse umane verso il perseguimento di mete di lavoro condivise, coerenti con le esigenze e le aspirazioni comuni dei lavoratori e delle imprese in cui operano.
D. Attualmente all’interno di numerose organizzazioni, i ruoli inerenti alle risorse umane sono spesso ricoperti da non psicologi. Quale può essere il valore aggiunto dello psicologo del lavoro in questo campo?
R. Il valore aggiunto dello psicologo del lavoro rispetto ad altri professionisti operanti nell’ambito delle risorse umane risiede primariamente nell’utilizzo di competenze integrate di ricerca e intervento, che includono: a) la conoscenza approfondita del complesso dei processi di natura gestionale e relazionale che determinano il corretto ed efficace espletamento dei processi di natura produttiva; b) la capacità di applicare tecniche e metodi operativi, volti a sviluppare e valorizzare efficacemente tali processi psicosociali, e a sostenere, di conseguenza, il successo nel perseguimento dei risultati organizzativi.
Poiché l’esercizio efficace e responsabile di tali competenze rappresenta una risorsa essenziale per favorire l’attuazione di strategie, politiche e pratiche di gestione e valorizzazione delle risorse umane orientate a sostenere la competitività, il benessere, e la crescita delle imprese e dei propri membri, la psicologia del lavoro e delle organizzazioni ha, dunque, tutte le potenzialità per ottenere un vantaggio competitivo rispetto alle discipline “concorrenti” operanti nel medesimo ambito.
D. Se lei fosse a capo di un’azienda di medio-grandi dimensioni, in questo contesto di cambiamenti come si avvarrebbe della consulenza di uno psicologo?
R. In questa ipotesi, sarebbe per me fondamentale avvalermi della collaborazione con uno psicologo del lavoro per stimolare una conoscenza più approfondita degli eventi della vita organizzativa fra i lavoratori, favorire la risoluzione efficace delle problematiche di natura gestionale-relazionale ad essi connesse, e, soprattutto, promuovere l’acquisizione di quelle competenze manageriali che consentirebbero all’azienda di applicare in maniera autonoma metodi e tecniche funzionali alla risoluzione di tali problematiche e al miglioramento dei processi gestionali all’interno del contesto di lavoro.
D. Come docente universitario di psicologia del lavoro e delle organizzazioni, reputa necessario aggiornare i programmi sulla base di questi mutamenti economico-sociali?
R. Come spiegavo prima, le aziende hanno la necessità di ridefinire le proprie politiche e strategie di gestione delle risorse umane per poter più efficacemente conseguire obiettivi sfidanti e competitivi. Diviene, quindi, essenziale, per lo psicologo del lavoro, innovare ed ampliare le proprie competenze di ricerca e intervento, al fine di adattare le proprie pratiche professionali alle rinnovate esigenze delle imprese (quali, l’innovazione, il cambiamento, la flessibilità, l’orientamento al cliente, la customizzazione dei servizi/prodotti offerti). Ne consegue che anche i programmi di insegnamento universitario richiedono un aggiornamento costante, per stimolare e rafforzare la competitività dei futuri psicologi del lavoro e delle organizzazioni.
D. Consiglierebbe ad un neolaureato in psicologia di trasferirsi all’estero?
R. L’insegnamento e la supervisione degli studenti dovrebbero essere soprattutto orientati a sviluppare nei futuri neolaureati competenze integrate di ricerca e intervento che permettano loro di offrire un contributo significativo primariamente agli individui, ai gruppi, e ai più ampi sistemi sociali e organizzativi che si trovano nel nostro Paese. Consiglierei, dunque, ad un neolaureato prima di tutto di tentare di costruire il proprio percorso professionale all’interno del territorio nazionale.
Nel caso in cui, tuttavia, le competenze di un neolaureato competitivo non venissero adeguatamente valorizzate in questo Paese, sarei il primo a suggerirgli di agire in maniera proattiva, cercando di identificare e sfruttare opportunità di impiego all’estero, specialmente in quei Paesi ove il contributo offerto dalla nostra pratica professionale viene appropriatamente riconosciuto.
D. Consiglierebbe a suo figlio di laurearsi in psicologia del lavoro e delle organizzazioni?
R. Credo che la scelta sul proprio percorso educativo e, successivamente, su quello professionale, sia prima di tutto una scelta personale. Tuttavia, se mio figlio decidesse di orientare i propri studi universitari verso l’ambito della psicologia, sarei certamente felice, nel caso di richiesta di un parere personale, di suggerirgli il ramo della psicologia organizzativa, in quanto, nonostante le difficoltà economiche che connotano il nostro Paese, la nostra disciplina si sta progressivamente affermando e radicando all’interno del territorio nazionale, ampliando, di conseguenza, le opportunità di impiego e crescita professionali per i futuri psicologi del lavoro e delle organizzazioni.