L'intervista
Intervista a Antonio Narzisi
Intervista a Antonio Narzisi
In occasione dell’uscita del volume I programmi d’intervento precoce per bambini con autismo. Guida clinica, a cura di Giacomo Vivanti, Kristen Bottema-Beutel e Lauren Turner-Brown, abbiamo intervistato il Dott. Antonio Narzisi, esperto nel settore dei disturbi dello spettro dell’autismo, che per il volume ha scritto la presentazione.
D. Che cosa si intende per intervento “precoce” per l’autismo? A che fascia di età si fa riferimento?
R. Per intervento precoce s’intende la tempestiva presa in carico del bambino e della sua famiglia. La fascia di età dell’intervento precoce negli ultimi anni si è significativamente ridotta. I programmi di intervento basati sull’evidenza iniziano intorno al 12° mese di vita del bambino. Nell’ultimo decennio, alcuni promettenti lavori di ricerca clinica hanno suggerito l’importanza di una possibile presa in carico anche nei primi mesi di vita (<12° mese di vita) quando professionisti molto esperti si rendono conto e/o confermano le preoccupazioni dei genitori circa possibili atipie della traiettoria di sviluppo del bambino.
D. Ci sono dati a sostegno dell’efficacia di un intervento precoce sullo sviluppo a medio e lungo termine del bambino?
R. L'intervento precoce per i bambini piccoli con atipie dello sviluppo, tra cui l'ASD, si basa sull'idea che il sostegno nelle prime fasi della vita porti a migliori risultati a lungo termine. Il coinvolgimento attivo dei caregiver nel trattamento è considerato fondamentale perché aiuta a facilitare la generalizzazione delle abilità del bambino in tutti i contesti. A livello globale, si sta comprendendo l'importanza dell'identificazione e dell'intervento precoce per l'ASD. L'intervento precoce per l'ASD può migliorare l'indipendenza a lungo termine e ridurre i costi medici, educativi e di sostegno sociale. Inoltre, le linee guida suggeriscono che quanto più precocemente nell'infanzia viene iniziato un intervento per l'ASD, tanto migliori saranno i risultati clinici. Dal punto di vista delle neuroscienze dello sviluppo, si ritiene che un intervento precoce potenzialmente possa portare ad un miglioramento più rapido e significativo rispetto a quello che si otterrebbe se competenze come il linguaggio e le abilità sociali fossero insegnate più tardi nello sviluppo.
Molti studi di efficacia a breve termine hanno mostrato effetti positivi sulla cognizione, sul funzionamento del linguaggio e sui sintomi core dell’autismo. Nella maggior parte dei casi, tuttavia si tratta di esiti immediati, ovvero al termine del trattamento. Dati che hanno cercato di chiarire gli effetti a lungo termine dell’intervento precoce sono ancora piuttosto limitati a causa del numero esiguo e della scarsa qualità degli studi di studi di follow-up. È probabile che l'aumento delle competenze funzionali, che permette ai bambini di trarre maggiori vantaggi dalle esperienze successive, possa essere considerato un meccanismo di mediazione a lungo termine che consente loro di mantenere i traguardi raggiunti.
La maggior parte delle revisioni sistematiche esistenti sono concentrate sugli effetti degli interventi per l'autismo precoce e hanno riguardato principalmente gli esiti nei bambini in età prescolare. Tuttavia, la comprensione degli esiti dopo la media infanzia (cioè a partire dai 5 anni) è limitata. I risultati esistenti per quanto riguarda le capacità cognitive e il funzionamento adattivo nei bambini con ASD hanno mostrato una notevole variabilità. Ci sono studi che riportano risultati negativi a lungo termine; ma d’altra parte altri lavori documentano invece risultati opposti.
Una maggiore comprensione degli esiti funzionali a medio e lungo termine è utile per mettere in atto programmi di intervento e scolastici efficaci ed un sostegno mirato.
Negli ultimi anni una quantità di evidenze scientifiche indicano che i livelli funzionali di pre-trattamento dei bambini e gli elementi del trattamento possono influenzare l'efficacia dell’intervento, sollevando opportune domande sui predittori di outcome positivi dei bambini.
D. Quanto incide il livello di funzionamento cognitivo del bambino sulla possibilità di intervenire precocemente?
R. Come riportato da Kristen Bottema-Beutel (2022) nel libro Guida clinica ai programmi d’intervento precoce per bambini con autismo, spesso l’ASD si presenta in comorbidità con altri disturbi dello sviluppo, psichiatrici o altre condizioni di salute, che potrebbero esacerbare i sintomi, aggravare il disturbo e complicare la diagnosi e il trattamento. La disabilità intellettiva, che una volta si riteneva fosse presente nella maggior parte delle persone con ASD, attualmente viene stimata come presente nel 30-50% dei bambini diagnosticati. Questo cambiamento potrebbe riflettere un miglioramento della capacità di diagnosi precoce, un miglioramento nell’accesso all’intervento precoce, e un aumento della consapevolezza e della competenza nella diagnosi che hanno permesso di identificare meglio i sintomi di ASD nei soggetti senza disabilità intellettiva. Se è vero che il funzionamento cognitivo e i sintomi dell’ASD sono dei costrutti concettualmente distinti, la ricerca recente suggerisce che i bambini con sintomi di ASD più gravi hanno maggiore probabilità di avere anche dei deficit cognitivi. Questo dato riflette il modo in cui le barriere nell’apprendimento sociale poste dai deficit sociali e comunicativi più gravi contribuiscono a creare ritardi nello sviluppo. L’estrema eterogeneità del funzionamento intellettivo all’interno della popolazione di soggetti con ASD, che va dalla disabilità intellettiva grave sino a livelli di QI superiori alla media, risulta in sfide e priorità diverse per quanto riguarda l’intervento. Pertanto, il livello di funzionamento cognitivo del bambino può incidere sugli esiti funzionali però mai la possibilità di intervenire precocemente deve essere messa in discussione.
D. È possibile delineare un profilo di funzionamento individuale del bambino che presuppone la migliore risposta all’intervento?
R. Anche se i cosiddetti interventi basati sull’evidenza comprendono strategie volte alla personalizzazione del programma di trattamento sulla base del singolo profilo di apprendimento del bambino, esistono differenze significative sia nelle strategie che negli obiettivi. I bambini con ASD sono tutti differenti tra loro per ciò che attiene i punti di forza, i bisogni e le loro preferenze; dall’altra parte anche i diversi modelli di intervento variano per ciò che riguarda le loro procedure di insegnamento. Pertanto, i risultati saranno ottimali quando verrà identificata la combinazione migliore tra il profilo di funzionamento del bambino e le pratiche di insegnamento del trattamento. Come riportato nel libro Guida clinica ai programmi d’intervento precoce per bambini con autismo a cura di di Giacomo Vivanti, Kristen Bottema-Beutel e Lauren Turner-Brown, ad esempio, è plausibile che un bambino che sembra apprendere al meglio in risposta alle informazioni presentate in maniera visiva e ha difficoltà con i cambiamenti della routine potrebbe trarre beneficio da un intervento che utilizza delle agende visive costituite da immagini che mostrano la sequenza di attività che si susseguirà nel corso della giornata.
D. Quanto pesano i fattori ambientali sull’esito dell’intervento?
R. I fattori ambientali hanno un loro peso specifico sull’esito dell’intervento. Essi possono costituire un vero e proprio arricchimento ambientale che è la stimolazione del cervello da parte dell'ambiente fisico e sociale circostante. Sappiamo bene che i cervelli in ambienti più ricchi e stimolanti hanno tassi più elevati di sinaptogenesi e arcate di dendriti più complesse, che portano a una maggiore attività cerebrale. Questo effetto si verifica soprattutto durante il neurosviluppo. L'arricchimento ambientale aumenta anche la vascolarizzazione capillare, fornendo ai neuroni e alle cellule gliali energia supplementare. In modo particolare vorrei circoscrivere la mia risposta attorno a due fattori potenzialmente arricchenti per migliorare l’intervento precoce e non solo di bambini con ASD. Il primo fattore si riferisce alla partecipazione dei genitori al trattamento dei loro figli. Gli interventi naturalistici e quelli attuati dai caregiver sono considerati pratiche basate sull'evidenza per i bambini con ASD. Per questo motivo, la formazione e l'accompagnamento dei caregiver sono spesso una caratteristica fondamentale degli interventi progettati per sostenere i bambini con ASD. È stato dimostrato che il caregiver-coaching aumenta i risultati della comunicazione espressiva e ricettiva nei bambini, migliora la facilità di attuazione e promuove la generalizzazione delle abilità apprese. Inoltre, l'inclusione dei caregiver negli interventi permette ai bambini di raggiungere più facilmente il monte ore di impegno attivo sistematicamente pianificato e adeguato allo sviluppo. I programmi di formazione per i caregiver hanno anche importanti implicazioni per le famiglie delle comunità meno servite, dove potrebbero esserci minori opportunità di accesso agli interventi precoci per l'autismo. Il secondo fattore riguarda la preparazione dell’istituzione scolastica nella gestione dei bambini con autismo. La partecipazione scolastica è essenziale per lo sviluppo sociale, emotivo e accademico dei bambini. Negli ultimi anni è cresciuta la preoccupazione per esperienze scolastiche degli studenti dello spettro autistico. Le ricerche indicano che gli studenti nello spettro autistico sperimentano restrizioni significative alla partecipazione scolastica e minore supporto sociale rispetto ai coetanei con sviluppo tipico. È evidente che esiste un bisogno ampiamente insoddisfatto di migliorare il coordinamento delle cure per i bambini con ASD. È interessante notare che molti studi che descrivono il coordinamento delle cure hanno una descrizione limitata o nulla del coordinamento tra i clinici, le scuole o gli insegnanti. In uno studio pubblicato qualche anno addietro sul Journal of Autism and Developmental Disorder da Carbone e colleghi metteva in evidenza che spesso si rileva un ridotto coordinamento tra i medici e le scuole, e i pediatri hanno riferito di non essere mai stati contattati dalle scuole per discutere di un bambino con ASD. Una recente revisione degli studi che esaminano il rendimento accademico dei bambini con ASD ha rilevato che questi bambini hanno spesso aree specifiche di forza e di debolezza, suggerendo che una valutazione individualizzata consentirebbe una programmazione educativa programmazione educativa mirata. La stessa revisione ha evidenziato la mancanza di studi che utilizzino misure che coinvolgano insegnanti e le loro osservazioni in classe. Questa è un'opportunità potenzialmente mancata per molte ragioni. I bambini che trascorrono 4-6 ore al giorno a scuola hanno una varietà di interazioni sociali che possono variare notevolmente rispetto a casa e alla clinica. Inoltre, i loro insegnanti possono osservare e monitorare i loro cambiamenti nel tempo. Pertanto, le decisioni di cura prese dai genitori o dai medici senza l'apporto dell'ambiente scolastico possono mancare le informazioni sui cambiamenti dei sintomi che avvengono a scuola.
D. Chi definisce il programma corretto di intervento?
R. Nel capitolo Scegliere il programma “giusto” per ogni bambino nell’intervento precoce per l’autismo di Giacomo Vivanti e Pamela Paragas viene messo in luce che nella scelta di un programma d’intervento anche le priorità della famiglia, le loro convinzioni, e i loro bisogni rivestono un significato importante. Interventi diversi adottano strategie differenti che possono adattarsi in maniera diversa rispetto allo stile educativo della famiglia e ai valori culturali circa l’educazione dei bambini. In modo del tutto analogo, diversi modelli di parent coaching potrebbero essere meno compatibili rispetto allo stile di apprendimento e alla disponibilità del caregiver (es. incontri di gruppo piuttosto che colloqui individuali). Tuttavia, individuare l’incastro migliore tra le caratteristiche del bambino e della famiglia e le procedure di insegnamento dei diversi approcci non è semplice, data la complessità degli stili di apprendimento del bambino e della famiglia, le preferenze e i bisogni, la conoscenza limitata di “cosa funziona con chi” nell’intervento precoce per l’ASD, e la variabilità delle opzioni di intervento disponibili nei diversi contesti.
D. Che cosa si intende per “interventi naturalistici evolutivi comportamentali”? Quali sono le caratteristiche che accomunano le diverse tipologie di intervento che rientrano in questa categoria?
R. Come riportato nel libro Guida clinica ai programmi d’intervento precoce per bambini con autismo a cura di Giacomo Vivanti, Kristen Bottema-Beutel e Lauren Turner-Brown, la definizione “Interventi naturalistici evolutivi comportamentali” (NDBIs, Naturalistic developmental behavioral interventions) si riferisce a degli approcci di intervento precoce che utilizzano una combinazione di strategie comportamentali e evolutive, e facilitano in modo naturalistico l’apprendimento dei bambini con disturbo dello spettro dell’autismo (ASD). Il termine venne coniato da Schreibman e colleghi nel 2015, ma gli approcci NDBI hanno una lunga tradizione nel campo dell’ASD, che nasce dal tentativo di superare alcune delle limitazioni degli approcci comportamentali creati inizialmente per i bambini più grandi, e dalla volontà di incorportare le conoscenze derivanti dalla psicologia dello sviluppo al fine di massimizzare gli esiti evolutivi in aree come il linguaggio, il gioco, e la socializzazione. Gli interventi cosiddetti NDBI sottolineano l’importanza di (a) iniziare il trattamento in età precoce; (b) somministrare il trattamento in modo intensivo, offrendo numerose opportunità di apprendimento durante l’arco della giornata del bambino; (c) attingere a pratiche basate sull’evidenza scientifica e su procedure manualizzate; (d) cucire su misura gli obiettivi di trattamento in base al profilo dei punti di forza e dei bisogni di ogni bambino; (e) monitorare i progressi del trattamento attraverso valutazioni sistematiche dei cambiamenti comportamentali del bambino; (f) monitorare la fedeltà dell’implementazione del trattamento (cioè, il grado in cui l’intervento viene somministrato così come dovrebbe essere) attraverso l’uso di strumenti di fedeltà che misurano l’aderenza a procedure di intervento definite operazionalmente; e (g) coinvolgere i caregiver nel processo decisionale. Inoltre, l’NDBI utilizza tecniche di condizionamento operante per favorire l’acquisizione di comportamenti nuovi, tra cui l’uso della struttura “antecedente, comportamento, conseguenza” (ABC – antecedent – behaviour – consequence) per elicitare e ricompensare in maniera sistematica il comportamento del bambino.
D. Qual è la normativa e i servizi a disposizione per le famiglie italiane con un bambino con autismo?
R. In Italia, la rete dei servizi sanitari e sociosanitari per i disturbi del neurosviluppo e quindi per il disturbo dello spettro autistico (ASD) è sostanzialmente composta dai servizi pubblici di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (NPIA) e dai servizi di riabilitazione che possono essere pubblici e/o privati riconosciuti dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN). I servizi di NPIA sono composti prevalentemente da strutture territoriali, alle quali si affianca un numero limitato di centri di riferimento (ovvero specializzati nella diagnosi e cura di specifiche patologie del neurosviluppo), strutture semiresidenziali, strutture residenziali e di ricovero, ovvero strutture che offrono livelli di media e alta intensità riabilitativa. Le strutture territoriali si prevede che abbiano un’elevata integrazione con l’ambito scolastico e sociale oltre che con quello ospedaliero; in aggiunta a ciò, tali strutture dovrebbero rappresentare il cardine del sistema dei servizi pubblici del SSN. Il servizio di NPIA territoriale rappresenta un diritto del cittadino ed è sede principale per la diagnosi e l’intervento di tipo psicoeducativo e farmacologico. Inoltre, il servizio di NPIA è deputato al governo della gestione integrata dei bisogni di cura e di salute dell’utenza e della sua famiglia, in raccordo con la scuola e il sociale. I servizi di riabilitazione, pubblici e/o privati accreditati dal SSN rappresentano a livello territoriale l’attività ambulatoriale in sussidiarietà del sistema sanitario pubblico e il loro mandato è prevalentemente dedicato al percorso riabilitativo dell’utente. Va d’altra parte segnalata la presenza di specifici istituti ad alta specializzazione e con finalità di ricerca (ad es., gli IRCCS) che svolgono attività di diagnosi, intervento e riabilitazione.
Nel complesso, i servizi di NPIA dovrebbero essere parte di una rete integrata nell’ambito della quale si organizzano i percorsi diagnostici, terapeutici e riabilitativi condivisi per/con gli utenti e i loro familiari. L’organizzazione funzionale dei servizi di NPIA italiani – ben descritta da un recente documento approvato dall’organo di raccordo tra il Ministero della Salute e i governi delle Regioni (Accordo 70/CU 25 luglio 2019, “Linee di indirizzo sui disturbi neuropsichiatrici e neuropsichici dell’infanzia e della adolescenza”) e dall’ultimo decreto che definisce i livelli essenziali di assistenza (LEA) – rappresenta un sistema di eccellenza nel panorama internazionale. Per quanto riguarda l’ASD sono state identificate talune priorità, tra cui evidenziamo (1) garantire la diagnosi precoce e (2) gli interventi tempestivi e adeguati in termini di frequenza e durata.
La priorità di una diagnosi precoce per l’ASD è sottolineata a livello internazionale da più di un decennio in associazione con la tempestiva attivazione di interventi che possano significativamente ridurre la sua interferenza sullo sviluppo e attenuarne il quadro clinico-funzionale. La sfida della diagnosi precoce coinvolge molti attori e soprattutto necessita di una “sensibilità” generale all’ASD e alle sue complesse manifestazioni. È per questa ragione che in Italia, nel corso degli ultimi anni sono aumentate in modo esponenziale le iniziative di divulgazione ed informazione rivolte alla famiglia, alla scuola e ai pediatri di libera scelta. Queste iniziative sono state inizialmente, e continuano ad esserlo, promosse dalle associazioni di familiari, ma oggi sono anche sostenute da programmi istituzionali organizzati a livello regionale e nazionale.
È importante sottolineare che i servizi di NPIA, gratuiti per le famiglie, sono demandati da specifiche norme ad effettuare la diagnosi di ASD e a definire il necessario trattamento. Le famiglie, quindi, con il supporto del pediatra, o della scuola, o per la loro preoccupazione maturata in ambito domestico, possono accedere direttamente ai servizi di NPIA per la cosiddetta valutazione diagnostica. In generale, i servizi di NPIA sono costituiti da un gruppo multidisciplinare e procedono alla valutazione generale del bambino (anamnesi anche rivolta alla famiglia e alla condizione psicosociale), alla valutazione specifica delle aree funzionali (cognitiva, del linguaggio, neuromotoria, adattiva, psicopatologica) e alla valutazione delle competenze e abilità nell’ambito sociocomunicativo. La valutazione eseguita in sede di diagnosi, oltre a una relazione scritta, prevede l’indicazione di iniziative di intervento che possono avere diversi luoghi di implementazione: a casa coinvolgendo direttamente i genitori, a scuola attraverso la collaborazione con gli insegnanti e, infine, presso il servizio di NPIA o di un centro riabilitativo in rete con il servizio. La diagnosi clinica differenziale rimane lo strumento principe della diagnosi di ASD dato che questo disturbo può includere espressioni fenotipiche molto diverse e non sempre facilmente inquadrabili nei criteri diagnostici dei manuali clinici.
Come anticipato, i servizi di NPIA sono demandati alla progettazione dell’intervento di bambini diagnosticati con ASD. La progettazione segue alcuni principi di base: (a) adeguatezza degli interventi alle competenze e al profilo funzionale del bambino; (b) valutazione e supporto ai mediatori dell’intervento; (c) definizione degli obiettivi del progetto che avranno finalità a breve, medio e lungo termine; (d) monitoraggio costante e sistematico del profilo funzionale. Infine, per quanto riguarda l’intervento precoce, alcuni servizi di NPIA hanno attivato programmi di intervento evidence-based.
D. Quali dovrebbero essere i percorsi che ispirano la collaborazione tra scuola, servizi e famiglia nella presa in carico del bambino con autismo?
R. In Italia, la collaborazione tra scuola e servizi di NPIA è sancita attraverso i LEA (livelli essenziali di assistenza) definiti per i percorsi di diagnosi e intervento. In quel contesto si fa riferimento alla rete sanità-scuola come asset dei percorsi sociosanitari. Questo è conseguenza del fatto che in Italia si è sviluppato un modello di welfare volto a garantire l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone diversamente abili minori e adulti (legge 104/1992). Il bambino con disabilità riceve un sostegno definito attraverso le modalità ed i criteri della legge, che ha come destinatario anche la scuola cui la legge dà indirizzo sulla gestione della disabilità. La maggior parte dei bambini che presentano un ASD è certificata ai sensi della legge 104/92 e frequenta la scuola con l’affiancamento di un insegnante di sostegno e, in molti casi, di un assistente per le autonomie. Nel caso degli alunni con disabilità certificata, la legge 104/92 stabilisce la collaborazione tra agenzia sanitaria e scuola all’interno di gruppi di lavoro e di studio d’istituto per l’integrazione scolastica (GLHI).
Il compito dei GLHI è quello di collaborare alle iniziative educative e di creare rapporti con il territorio per l’individuazione e la programmazione delle risorse utili a favorire le iniziative educative d’integrazione e dei gruppi di lavoro operativi per l’integrazione (GLHO), cui spetta il compito di formulare un piano educativo individualizzato (PEI) definito in maniera congiunta tra la scuola e i servizi sanitari territoriali, inderogabilmente in accordo e collaborazione con la famiglia.
Inoltre, si esplicita che il PEI deve esprimere le proposte delle varie componenti in modo da giungere alla redazione conclusiva di un piano educativo che sia correlato alle disabilità dell’alunno stesso, alle sue conseguenti difficoltà e alle potenzialità dell’alunno. Più recentemente sono stati introdotti i gruppi di lavoro per l’inclusione (GLI) che hanno funzioni più generali rispetto alla disabilità presente in ambito scolastico, agli strumenti disponibili per accogliere i bambini con specifiche criticità e alla programmazione della formazione degli insegnati. È quindi evidente, come in Italia, esista da più di vent’anni una normativa che stabilisce la necessaria collaborazione tra agenzie diverse come la scuola e la sanità al fine di fornire sostegni adeguati a coloro i quali hanno una disabilità. Questo contesto di diritto ha per l’ASD una valenza molto importante, se si pensa alle raccomandazioni che anche a livello internazionale richiamano la necessità di improntare interventi che siano coordinati e coerenti attraverso i vari ambienti di vita del bambino (National Research Council, 2001). Inoltre, un obiettivo fondamentale della legge 104/92 è lo sviluppo degli apprendimenti mediante la comunicazione, la socializzazione e la relazione interpersonale, obiettivi di priorità nel programma abilitativo del bambino con diagnosi di ASD. Opportunità recentissima che il quadro normativo italiano ha aperto attraverso l’art. 10 del Dlgs 13 aprile 2017, n. 65, è il “sistema integrato 0-6 anni” che si inquadra nelle politiche dell’Unione Europea a promozione dell’educazione e della cura della prima infanzia (Early Childhood Education and Care e European Child Guarantee), volte a promuovere negli stati membri politiche che introducano interventi multidimensionali per contrastare l’esclusione dei minori svantaggiati e promuovere il loro benessere. Le linee guida relative al “sistema integrato 0-6 anni”, attualmente aperte alla consultazione pubblica, appaiono un’ulteriore risorsa che la scuola potrebbe offrire alla collaborazione tra scuola e servizi sanitari per l’implementazione degli interventi precoci nell’ambito dell’ASD.