L'intervista
Intervista a Andrea Castiello d'Antonio
Intervista a Andrea Castiello d'Antonio
In occasione della pubblicazione del libro Scegliere lo psicoterapeuta. Una guida per pazienti e terapeuti, abbiamo intervistato l'autore, il Prof. Andrea Castiello d'Antonio per discutere delle motivazioni che hanno portato alla scrittura dl libro e dei contenuti che gravitano attorno alla scelta, ma anche alla prosecuzione o all'interruzione di un percorso di psicoterapia.
D. Dedicare un volume alla scelta dello psicoterapeuta veicola l’idea che si tratti di un processo complesso, che richiede delle indicazioni e dei “buoni consigli” per poter essere affrontato. Si tratta davvero di una decisione che va così adeguatamente ponderata?
R. La scelta dello psicoterapeuta ha da sempre rappresentato un tema di notevole interesse se ci si pone dal punto di vista di coloro che, del tutto “digiuni” della materia e senza poter avere suggerimenti o indicazioni, hanno necessità di rivolgersi a un professionista esperto per dipanare alcuni nodi della propria vita.
Nel corso degli ultimi decenni questa scelta si è andata via via complicando anche a causa del semplice (ma importante) fatto che il numero degli psicoterapeuti – psicologi e medici – e i modelli di base della psicologia clinica e della psicoterapia sono andati aumentando in modo probabilmente imprevedibile e poco sistematizzato. Sta di fatto che, oggi, in Italia, decine e decine di migliaia di professionisti operano come terapeuti della psiche e ciascuno di loro fa riferimento ad una scuola, un indirizzo, una teoria specifica. Anche nel campo delle teorie psicologiche e cliniche inerenti il chi è l’essere umano si è andati verso una progressiva frammentazione rispetto a quelle poche scuole di base – i capostipiti,fondamentalmente identificabili in tre approcci teorici – che esistevano fino a solo alcuni decenni fa.
Si dirà che una simile complessità si può trovare in qualunque campo professionale, e ciò è sicuramente vero: chiunque di noi, quando deve scegliere a quale avvocato, commercialista o medico rivolgersi per un consulto o per affidare i propri beni – e, nel caso del medico, se stessi, almeno nella dimensione corporea! – può trovarsi di fronte a mille dubbi. In effetti, il paragone migliore è proprio quello con la scelta del medico, ma non del medico generico o di base, ma del medico a cui ci si rivolge per affrontare… un intervento chirurgico! Lo psicoterapeuta, in certo senso, opera sul e nelmondo interno della persona, sicuramente con il supremo scopo di curarne il benessere, ma sulla base molto umana di ciò che lui è come persona, di ciò che sa fare, che conosce e che riesce a capire.
Dunque, affidare il proprio mondo interiore e molte aree della propria esistenza ai consigli e alle modalità di intervento di un professionista della psiche può suscitare dubbi e perplessità specifici, tanto è vero che poi, alla fine, diverse persone rinunciano – oppure non iniziano mai il percorso di orientamento e di scelta. Spesso precludendosi, così, l’unica vera possibilità di migliorare la propria vita.
D. Quindi il libro che ha scritto intende rispondere a tale necessità?
R. Sì, devo dire che dopo tanti decenni di attività professionale nel campo della psicologia clinica e della psicoterapia – ma anche in altri campi di intervento che spaziano dalla psicologia del lavoro e delle organizzazioni al coaching e al counseling psicologico – mi è sembrato opportuno raccogliere le mie esperienze e conoscenze, ciò che ho acquisito parlando con i colleghi ed esplorando lo stato dell’arte delle psicoterapie, oggi, in Italia (ma con un occhio anche alle principali realtà internazionale) al fine di offrire un contributo su questo tema e rispondere ad una necessità che non è solo individuale, ma sociale. In effetti, spero che questo mio lavoro possa avere una vera e propria utilità sociale.
In realtà, quando circa tre anni fa ho iniziato a scrivere questo testo avevo in mente il titolo Scegliere lo psicoterapeuta e vivere le psicoterapia. Abbiamo deciso di modificare in parte il titolo iniziale ma l’idea di dare dei consigli su come vivere la terapia è rimasta intatta ed è assai viva nel libro. Ciò perché se è vero che la scelta iniziale del terapeuta è fondamentale, è pure vero che nel momento in cui si ha l’opportunità di incontrarsi con una persona che si ritiene seria, competente, affidabile ed esperta, e quindi adatta a sé, compatibile con le proprie problematiche e potenzialmente di aiuto, sta in buona parte al paziente utilizzare tale incontro nel modo migliore e più efficace possibile.
Dato che niente e nessuno insegna come vivere un percorso psicoterapeutico vi è il rischio che alcune persone, non rendendosene nemmeno conto, gettino via – in tutto o in parte – tale opportunità, ad esempio interrompendo prematuramente il percorso, non dando al terapeuta la spazio necessario per operare (cioè non affidandosi minimamente al professionista), o rimanendo chiusi nei propri pre-giudizi negativi circa le terapie psicologiche. Per questi motivi uno dei fili rossi che percorrono il testo è proprio centrato sul come prendere parte all’avventura della psicoterapia, come esserne veri protagonisti, tenendo conto che non sempre e non per tutti il tragitto intrapreso si concluderà con piena e totale soddisfazione: ciò è comprensibile, così come lo è nel campo della medicina. Alcune situazioni di disagio esistenziale e psicologico possono essere risolte del tutto e alla base, altre alleviate, altre ancora solo delimitate e in altri casi ci si dovrà accontentare di aver fornito al paziente degli strumenti per vivere al meglio, nonostante il perdurare di talune difficoltà.
D. Si può dire che questo libro sia un testo di auto-aiuto?
R. Come ho scritto in modo molto chiaro nessun libro può sostituirsi al dialogo vivo, reale e diretto con il professionista esperto. Per fare un esempio, nessuno penserebbe mai di poter pilotare un aereo da turismo semplicemente leggendo il manuale di volo o informandosi in internet sul tipo di aeromobile e sulle sue caratteristiche. Allo stesso modo, nessuno può fare auto-terapia leggendo delle pagine scritte, ma può però ragionevolmente desumerne idee, pensieri, intuizioni e cognizioni-spot; può porsi delle domande appropriate, evitando ad esempio di incorrere in quel fenomeno curioso che prende tanti studenti di medicina i quali, studiando i testi sulle patologie fisiche, finiscono con l’avvertire sintomi di ogni tipo!
Quindi, alla domanda se questo libro possa essere di auto-aiuto la risposta è duplice. È affermativa, se con ciò intendiamo che il testo è una guida, una traccia, apre un panorama perché è certamente informativo (e per certi versi formativo) e, soprattutto, mette in guardia la persona dal cadere nelle mani di pseudo-professionisti, di tuttologi, di soggetti inesperti, di venditori di fumo. Ma la risposta alla domanda è negativa se si intendesse auto-aiuto nel senso di: “Leggo questo libro e risolvo i miei problemi!”. Che è poi il grande miraggio che ha spinto e spinge tanti giovani a iscriversi ai corsi di laurea in psicologia, o ai medici nel momento in cui scelgono di specializzarsi in psichiatria.
Aggiungo che sull’argomento non esistono, oggi, in italiano altri testi completi ed aggiornati, che gettano uno sguardo sull’argomento rimanendo sopra le parti: con ciò intendo dire che nelle pagine del mio libro non ho compiuto alcuna opzione di scuola, non ho criticato un indirizzo esaltandone un altro, ma ho (ad esempio) chiarito i pregi e i difetti dei maggiori orientamenti, concentrandomi poi sull’oggetto essenziale del discorso che è non la psicoterapia in senso generico, ma lo psicoterapeuta e, specificatamente, il terapeuta che la persona – il cosiddetto paziente – incontra, ha incontrato o si prepara ad incontrare. E ogni incontro terapeuta-paziente si realizza nel fatidico primo colloquio, quella situazione – a cui è dedicato uno specifico spazio – in cui non solo il terapeuta si deve fare un’idea iniziale di chi gli sta di fronte, ma anche il potenziale paziente ha la possibilità di sentire dentro di sé e di capire se la persona con cui sta parlando potrà essergli davvero di aiuto. La scelta è (o dovrebbe essere) sempre reciproca!
D. Quanto è importante il primo colloquio?
R. Il primo colloquio, o per meglio dire, i primi colloqui, sono di grande importanza. È in questa iniziale fase di conoscenza reciproca che il potenziale paziente può farsi un’idea della persona che ha davanti e può sentire come si trova in quella dimensione, fino a che punto è a suo agio, fino a che punto gli è ragionevolmente facile parlare di sé. Non dimentichiamo, infatti, che si tratta di parlare di se stessi… a uno sconosciuto! Non è cosa facile e su tale punto – così come sulle prime fasi di psicoterapia, lì ove si gettano le basi per una alleanza funzionale di lavoro – mi soffermo a lungo nel testo.
Quali sono i segnali deboli a cui fare attenzione? Come capire se la persona che si ha davanti – il terapeuta – è capace di essere davvero di aiuto? Quale rilevanza assegnare alle prime impressioni, ma anche a elementi assai più stabili come, ad esempio, l’atteggiamento del terapeuta, il suo abbigliamento, lo spazio fisico e l’arredamento dello studio professionale?
Non è semplice per la persona che è in cerca di aiuto svolgere, contemporaneamente tante attività cognitive ed emotive complesse come: parlare di se stesso per farsi conoscere (almeno in termini generali), evidenziare il tema centrale che conduce in terapia, osservare lo psicoterapeuta e l’ambiente intorno, gestire la relazione e partecipare al dialogo nel qui-e-ora del colloquio, e così via! Sarebbe certamente molto più semplice andare, recarsi nello studio, e affidarsi a chi si ha di fronte; ma – come si è detto sopra – la scelta è bene che sia reciproca, e il potenziale paziente ha tutto il diritto e tutta la necessità di trovarsi sufficientemente a proprio agio con il professionista che consulta.
Nel mare magnum delle psicoterapie e degli psicoterapeuti oggi a disposizione sia per una terapia in presenza, sia per percorsi online, a distanza, si incontrano uomini e donne, giovani e anziani, professionisti di formazione medica e psicologica, assertori di uno e un solo indirizzo terapeutico e soggetti aperti all’integrazione delle psicoterapie, professionisti asettici e calorosi, che vedono favorevolmente l’impiego eventuale di psicofarmaci e che invece detestano per principio tale scelta… E così via, in una infinità di sfumature ben meno visibili di queste, ben più implicite e sottili.
In questo quadro generale ho ritenuto comunque importante offrire al lettore una panoramica sulle psicoterapie, sulle principali teorie di riferimento, ma anche sulle tante strade che possono condurre una persona a ricercare un aiuto esperto: ciò significa, ad esempio, costruirsi una mappa orientativa dei numerosi piccoli e medi disagi esistenziali che possono coinvolgere ciascuno di noi, ma anche delle principali situazioni complesse e in certo senso più difficili da trattare come sono tutte quelle che nei trattati clinici vanno sotto la denominazione di psicopatologie. Anche in questa dimensione – pur senza entrare in dettagli specialistici – credo che sia importante per chi legge rendersi conto della grande differenza che può passare tra, ad esempio, una reazione di tristezza alla morte di una persona cara e una pesante e prolungata depressione che appare senza una causa scatenante precisa.
D. Quali sono i segnali a cui il paziente dovrebbe fare attenzione per evitare di affidarsi a professionisti incompetenti?
R. Diversi capitoli del libro trattano da differenti punti di vista proprio questo specifico argomento, iniziando con il mettere in guardia il paziente cogliendo proprio quei piccoli e sottili segnali che, tutti insieme, possono far capire che ci si trova di fronte ad un operatore poco adeguato.
Nel libro sono presentati decine e decine di esempi tratti dalla mia esperienza professionale, da ciò che ho ascoltato dai pazienti stessi e anche dai colleghi: si tratta di esempi declinati in maniera semplice e chiara, in modo tale che sia possibile comprenderne subito la rilevanza. Ad esempio, in un caso rappresento la situazione di un primo colloquio a cui il paziente accede a tarda ora serale, incontrando un professionista che formalmente ha tutte le carte in regola ma che, nel corso del colloquio… si addormenta. Un’altra situazione, probabilmente più frequente, è quella in cui ci si continua a recare dal terapeuta per mesi o per anni – recentemente ho ascoltato la situazione di una paziente che è al suo… ventesimo anni di psicoterapia (sempre con la stessa persona!) – ma non si riscontra il benché minimo miglioramento.
In questo quadro complesso e certamente delicato vanno però distinte le situazioni, per così dire, in cui il paziente perde denaro e tempo inutilmente, ma senza danni, da quelle situazioni in cui si produce un vero e proprio danno psicologico. Queste seconde situazioni si possono declinare sinteticamente sui due versanti della colpa inconsapevole e del dolo consapevole da parte del terapeuta.
Nel primo caso si ha, per esempio, un terapeuta che prende in cura un paziente con tutta la buona volontà di volerlo aiutare ma non ne è in grado. Non riesce, non sa come andare avanti né cosa fare, e finisce con il creare una situazione che non solo non è di aiuto alla persona ma ne acuisce la sofferenza. Nel secondo caso si trovano tutte quelle situazioni che dovrebbero essere oggetto di esame da parte dei comitati etici degli ordini professionali, se fossero denunciate dal paziente: intendo fare riferimento a situazioni di abuso da parte del terapeuta, abuso che può essere di varia natura, a cominciare da quello emotivo e sessuale fino a quello centrato sull’ottenere vantaggi materiali, ad esempio di natura monetaria. A queste ultime situazioni si fa oggi riferimento sotto la dicitura di gravi violazioni del setting proprio per dare l’idea che si tratta di condizioni che non dovrebbero assolutamente mai verificarsi e che, nel momento in cui verificano, dovrebbero essere immediatamente recuperate ed arginate.
Voglio aggiungere che in riferimento a tutti gli argomenti di cui sto parlando in questa intervista, (pur se in modo necessariamente sintetico, con esemplificazioni e flash) esiste una conoscenza diffusa assai articolata e un’ampia letteratura specialistica internazionale; rispetto all’ultimo argomento trattato, non è ammissibile che uno psicoterapeuta, di qualunque formazione ed estrazione egli sia, possa fingere di ignorare i propri doveri etici e professionali.
D. Nel libro si parla di curare e di guarire. Ma si può sempre e comunque guarire da una problematica psicologica, anche grave?
R. Si deve dire con molta chiarezza che non sempre la persona che si rivolge al professionista – anche al più competente di tutti – può ottenere una vera e propria completa risoluzione del quadro clinico che l’ha condotta in terapia. Ecco perché è importante distinguere il prendere in cura dal guarire – e sul concetto di guarigione, in psicologia clinica, i pareri sono assai discordi.
Ciò che ci si può legittimamente attendere è, comunque, un qualche livello di miglioramento rispetto alla situazione-base che è stata identificata come disagevole e/o causa di sofferenza mentale – situazione che, si spera, sia stata correttamente valutata.
Tra le tante circostanze che si possono incontrare nell’attività quotidiana di tipo clinico vorrei qui segnalarne soltanto una che fa riferimento alla tempistica. Intendo dire che troppo spesso giungono al professionista persone gravemente sofferenti le quali se solo avessero deciso in tempo utile di rivolgersi al terapeuta o, almeno, di richiedere un consulto, si sarebbero potute risparmiare numerosissimi e pesanti sintomi e malesseri – spesso non solo mentali, ma anche di genere psicosomatico.
Nel campo delle problematiche mentali, così come in quelle che riguardano il corpo, la tempestività conta, e conta molto. Ad esempio, l’aver vissuto per decenni con una fobia specifica come può essere l’ansia di parlare in pubblico non può non aver consolidato tale stato ansioso nella persona la quale, ancor più decisamente, ha organizzato nel tempo la propria vita evitando le situazioni che potevano procurare angoscia. Il tempo che passa, in qualche modo, cementa i sintomi, ma anche le modalità di vita, e la persona finisce involontariamente quasi a difendere il proprio malessere, tanto vi si è abituata – avendo anche trovato un modus vivendi accettabile.
Non va poi trascurato il fatto che gran parte della psicologia clinica di oggi è finalizzata alla prevenzione e all’anticipazione di possibili disagi soggettivi, sociali, lavorativi e familiari. Ma la prevenzione si basa sulla tempestività di intervento e, quindi, anche in tal caso, per evitare ulteriori danni, sarebbe molto utile poter lavorare insieme a pazienti che hanno colto l’opportunità di rivolgersi allo psicoterapeuta sul nascere della loro sofferenza interiore.
Una delle pagine conclusive del libro non a caso è dedicata a rispondere alla domanda se la psicoterapia abbia un costo eccessivo per il paziente – un costo in termini concretamente monetari – dato che questo è (purtroppo) uno degli alibi che impediscono a molte persone di iniziare un percorso. E la risposta è costituita da un lungo elenco di situazioni reali di pazienti che avrebbero realmente risparmiato – a loro stessi, alle loro famiglie, al contesto di lavoro e sociale – gravi danni e tante sofferenze se… solo si fossero decisi ad intraprendere un percorso di sostegno e di cura psicologica al momento opportuno!
Costa davvero troppo la psicoterapia se messa a confronto con un fallimento sociale, una perdita economica, un blocco esistenziale, un divorzio? Costa troppo un percorso che – unico – può consentire alla persona di affrancarsi da un passato traumatico, evitando così di ripetere nella propria vita – e con molta probabilità nelle generazioni future – la violenza subita nell’infanzia?
Spero di aver proposto delle risposte convincenti a domande di tal genere ma vorrei aggiungere, in conclusione, che questo libro non si rivolge soltanto al paziente – al paziente in cerca di terapia, che ha già iniziato un percorso e nutre qualche dubbio, che lo ha terminato ma ne è rimasto poco soddisfatto, che è indeciso sul cosa fare, e così via – ma vede come pubblico di riferimento anche i colleghi psicoterapeuti. Da tale punto di vista le pagine che ho scritto credo che si possano leggere come una ampia riflessione su cosa è la psicoterapia, sul suo funzionamento e sulla sua validità, sull’interazione terapeuta-paziente e sulle dinamiche di sviluppo della diade terapeutica. In tal senso uno dei capitoli finali ha come titolo La vita dopo la psicoterapia.