L'intervista
Intervista ad Alessandro Crisi
Intervista ad Alessandro Crisi
D. I test proiettivi a volte sono visti come qualcosa verso cui anche gli stessi psicologi sono scettici. Secondo lei come mai?
R. Una molteplicità di motivi determina questo atteggiamento verso le tecniche proiettive: a mio parere, due tra i motivi principali sono rappresentati, da un lato, dal fatto che molti psicologi inseguono a tutti i costi “il mito dell’obiettività totale” dimenticandosi che nell’intervento dello psicologo, esiste una parte che è e dovrà sempre essere soggettiva; dall’altro, tale atteggiamento sembra avere molti punti in comune con quello tenuto da tanti nei confronti della psicoanalisi e il concetto di inconscio. Si tratta in entrambi i casi, a mio giudizio, di un atteggiamento fortemente inquinato da pregiudizi e, in molti più casi di quanti si possa immaginare, dalla assoluta mancanza di conoscenza e quindi di esperienza con tali tecniche. Mi è spesso capitato, infatti, di scoprire che molti dei colleghi critici verso le tecniche proiettive non avessero avuto modo in realtà di maturare alcuna esperienza clinica con esse.
Le tecniche proiettive hanno da tempo dimostrato di avere la stessa, se non maggiore, attendibilità e validità di altri strumenti cosiddetti obiettivi (Meyer, Finn ed Altri, 2001) e svolgono un ruolo di primo piano nell’importante lavoro diagnostico che deve precedere ogni qualsivoglia tipo di intervento psicoterapeutico. Le uniche critiche serie rivolte alle tecniche proiettive che posso assolutamente condividere non sono, quindi, quelle che mettono in dubbio il loro potere diagnostico ed investigativo che, ripeto è indiscutibile, ma, come avviene per tutti gli altri strumenti clinici, quelle che riguardano un loro utilizzo improvvisato da parte di operatori incompetenti ed inesperti o la loro applicazione in modo isolato al di fuori di un multhi-method assessment o, peggio ancora, la loro interpretazione in base al contenuto delle risposte e non in base agli indici formali che scaturiscono dalla siglatura.
D. Ci sono situazioni e contesti in cui è sconsigliato l’uso dei test proiettivi?
R. Nessun test è per tutte le stagioni e anche le tecniche proiettive non sfuggono a questa regola. Essi hanno il loro settore privilegiato di intervento nel descrivere la personalità con particolare riferimento agli aspetti psicoaffettivi e relazionali. Secondo la mia esperienza, il loro uso va ovviamente evitato quando ci sono da valutare aspetti strettamente intellettivi e cognitivi. Per esempio, pur potendo il Rorschach o il Wartegg valutare aspetti intellettivi dell’esaminato, in un caso di valutazione della capacità di intendere e di volere le tecniche proiettive devono obbligatoriamente cedere il passo ai test di livello, prime fra tutti le scala Wechsler.
Le tecniche proiettive non vanno applicate quando ad essere esaminata è una persona con un medio-grave ritardo mentale. Infine, alcuni test proiettivi, a causa del loro alto potere evocativo possono risultare, soprattutto in età evolutiva, eccessivamente disturbanti e pertanto vanno evitati.
D. Lei è il presidente dell’Istituto Italiano Wartegg, quali sono le attività dell’istituto?
R. L’Istituto Italiano Wartegg è stato da me fondato nel 1999 allo scopo di promuovere l’applicazione e la diffusione di questo strumento in Italia e all’estero e in particolare di far conoscere una nuova metodica di utilizzo, denominata CWS (Crisi Wartegg System), del tutto innovativa e diversa rispetto a quella originaria proposta dal suo creatore, Ehrig Wartegg. Quindi, in primo luogo, svolgiamo attività di psicodiagnostica clinica e formazione. Tra l’altro, avendo le FFAA italiane dal 2002 cominciato ad utilizzare i nostri software nei processi di Selezione ed Orientamento, siamo loro consulenti. Oltre a queste attività centrata sul Wartegg, il nostro Istituto promuove la formazione nell’assessment nei vari ambiti (clinico, peritale, della selezione etc.) organizzando ogni anno corsi su vari test (ad es. Rorschach, WAIS, MMPI-2 o l’MMPI-RF). Effettuiamo, inoltre, un’intensa attività di ricerca in collaborazione con strutture pubbliche e private; teniamo incontri regolari di supervisione per i nostri colleghi alle prime esperienze in psicodiagnostica. Infine, partecipiamo attivamente alle attività congressuali nazionali ed internazionali.
D. Quali sono i principali ambiti applicativi del test di Wartegg?
R. Il test di Wartegg è un test grafico proiettivo semistrutturato. Esso è applicato nei più svariati ambiti: clinical assessment, psicologia giuridica, selezione del personale, orientamento scolastico e professionale. Personalmente considero il campo clinico quello in cui il test può fornire le migliori prestazioni e, in modo particolare, nell’ambito dell’età evolutiva date le sue caratteristiche di (apparente) semplicità, facilità di esecuzione e non pervasività che lo rendono particolarmente gradito ai bambini e anche, data la sua consegna estremamente chiara e comprensibile, molto utile in tutti i casi in cui gli esaminati presentano particolari inabilità (ad es. ipoacusia, leggero ritardo mentale, disturbi dell’apprendimento). Un campo particolarmente proficuo della sua applicazione si sta rivelando l’ambito della psicologia forense.
D. Qual è il valore che dà il test di Wartegg applicato ad un percorso di psicoterapia?
R. Oltre alla fase di assessment vero e proprio che generalmente precede il trattamento, il fatto che il Wartegg possa essere risomministrato a breve distanza permette di poter monitorare l’eventuale percorso terapeutico che l’esaminato sta compiendo. Al riguardo, voglio sottolineare come nella mia pratica privata ma soprattutto nell’Istituto di Ortofonologia di Roma (IdO) nel quale lavoro dal 1983, nel corso di 30 anni di attività, abbiamo raccolto all’incirca 18.000 batterie di test e una serie davvero notevole di test e retest del Wartegg sui soggetti seguiti in terapia dall’IdO. E il Wartegg si è sempre dimostrato molto sensibile nel registrare, in positivo o in negativo, gli sviluppi dei percorsi terapeutici indicando, nel primo caso, le aree dove si erano registrati i miglioramenti o, nel secondo caso, i punti sui quali era ancora necessario lavorare in terapia.
D. Nel corso delle sue ricerche lei ha confrontato i profili del test di Wartegg con i profili del test di Rorschach in oltre millecinquecento soggetti. Quali sono state le sue riflessioni sull’utilizzo associato dei due test?
R. La ringrazio per questa domanda perché va a cogliere un aspetto al quale sono molto legato dato che, quando ho iniziato la mia pratica di assessor, ho avuto modo di applicare il Wartegg in batteria con il Rorschach a circa 1.500 soggetti. E’ stata un’esperienza unica e credo davvero irripetibile. Ed è proprio da questo costante confronto con il Rorschach che è nato il CWS, la nuova metodologia di siglatura ed interpretazione del Wartegg e sono emerse delle similitudini incredibili fra i due test sia a livello contenutistico sia a livello di indici formali (Crisi, 1999). Lavori effettuati in collaborazione con Hal Shorey della Widener University di Filadelfia (Crisi, Shorey 2009) hanno dimostrato che l’uso congiunto di Rorschach e Wartegg permette di ottenere una validità incrementale di estrema utilità ed interesse per il clinico. Non dimentichiamoci, infatti, che se, da un lato, è vero che entrambi i test sono proiettivi; dall’altro, essi si differenziano notevolmente per le diverse ma complementari modalità con le quali attingono informazioni sull’esaminato: il Rorschach si basa sulla verbalizzazione, il Wartegg sul gesto grafico.
D. Come sa, in Italia sta prendendo sempre più campo l’Assessment Terapeutico (AT), una metodologia sviluppata in America dal Prof. Finn, che prevede l’utilizzo di test al fine di facilitare cambiamenti significativi nella persona. Come immagina il test di Wartegg in questo ambito?
R. Più che immaginare, posso riportare quanto sta verificandosi negli ultimi tempi: ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere personalmente il Prof. Finn e di lavorare spesso con lui. Per prima cosa devo dire che il Prof. Finn, entusiasta del Wartegg, mi ha invitato a svolgere, a cavallo tra il 2011 e il 2012, il mio primo training in America sul CWS nel suo Center for Therapeutic Assessment di Austin, TX. A questo primo training hanno partecipato 16 colleghi americani i quali stanno al momento raccogliendo il primo campione normativo USA per il Wartegg. Il Wartegg fa parte ormai degli strumenti che Finn considera obbligatori nella formazione di chi vuole applicare il Therapeutic Assessment. Ovviamente, anche nell’AT, il Wartegg, come tutti gli altri strumenti, va utilizzato dapprima in maniera tradizionale (somministrazione, siglatura, conteggi e interpretazione degli indici formali). In secondo luogo, riprendendo una felice espressione di Finn, il test va portato “alla vita” ovverosia possiamo utilizzare il test di Wartegg nella cosiddetta “extended inquiry”, fase in cui il test viene riproposto all’esaminato e insieme a lui si cerca di verificare se nei disegni fatti possa essere emerso qualche elemento altamente significativo ed individualizzato della sua vita personale. Se ciò avviene, la sua analisi da luogo quasi sempre ad insight utilissimi nell’AT (Crisi, 2011).
D. Domanda da un milione di dollari: come si diventa un buon psicodiagnosta?