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numero 19 - luglio 2014

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Il profiling investigativo degli omicidi seriali

Il profiling investigativo degli omicidi seriali

La nascita del concetto di delitto seriale trae origine in ambito investigativo da un’idea semplice, e cioè che una serie di delitti, i cui moventi sembrano essere incomprensibili, possano essere collegati tra loro. Alcuni omicidi, seppur commessi in aree distanti tra loro e a danno di vittime non collegabili, presentano caratteristiche comuni in riferimento a taluni parametri. È così che il Federal Bureau of Investigation (FBI) ha elaborato, a partire dai primi anni ’80, un sistema di collegamento (linking) tra omicidi inspiegabili e presuntivamente commessi da persone estranee all’ambiente familiare o di conoscenza della vittima.
Il linking e il risultato di un’operazione di immagazzinamento di alcuni dati, rilevati a seguito dell’osservazione e sopralluogo della scena del delitto e dall’analisi delle caratteristiche della vittima.
La scena del delitto, spiegano i ricercatori dell’FBI, porta spesso con sé le reali motivazioni del delitto, nonché aiuta a identificare il tipo di autore, ragion per cui il sopralluogo deve essere attento a ogni singolo particolare e guidato dall’assistenza di ausili fotografici e visivi. Spesso l’idea dell’assassinio seriale può sorgere quando, dall’analisi della scena del delitto e delle vittime di una serie di casi omicidiari, si presentano caratteristiche comuni che lasciano intravedere un identico modus operandi: ogni omicida seriale lascia sulla scena del delitto la propria firma, la propria caratteristica personale.
Basandosi sulle caratteristiche del modus operandi, gli investigatori dell’FBI hanno costruito la duplice distinzione degli omicidi in serie: gli omicidi organizzati e gli omicidi disorganizzati (Douglas, Ressler, Burgess & Hartman, 1986).
L’omicida organizzato (organized offender) pianifica innanzitutto il delitto; la vittima e di solito una persona estranea, ma che l’autore sceglie in virtù di determinate caratteristiche. L’organizzato ha di solito un buon livello culturale e sociale e usa con la vittima un approccio seduttivo come preludio all’attacco. Spesso e calmo e freddo durante la commissione del reato e la scena del delitto si presenta meticolosamente studiata. L’organizzato perfeziona, di delitto in delitto, la propria tecnica omicida e sceglie ossessivamente determinate categorie di vittime con una serie di comportamenti prestabiliti, le neutralizza immediatamente per poi infliggere loro il rituale che le porterà alla morte. 
L’omicida disorganizzato (disorganized offender), al contrario, non pianifica il delitto e le sue vittime sono casualmente scelte. L’intento omicida e evidente: il massacro (overkill), non preoccupandosi minimamente di dissimulare le tracce del delitto.

La tecnica del profilo

Come si sa, tradizionalmente, affinché un omicidio possa dirsi risolto, occorre almeno uno dei seguenti tre fattori: 1) una confessione; 2) un testimone; 3) una prova materiale.
La ricerca di testimoni e di prove segue un percorso che passa attraverso lo studio delle caratteristiche della vittima e l’analisi della scena del delitto. Nei casi di delitto seriale, la relazione tra autore e vittima di reato rende questo genere di delitti difficile da risolvere. È importante, in fase investigativa, stabilire quali delitti connettere tra loro, in modo da comparare le informazioni provenienti da ciascun evento delittuoso. Una delle tecniche investigative principali, maggiormente utilizzate al fine dell’identificazione di potenziali sospetti nei casi di delitti seriali, è il profilo psicologico (psychological profiling).
Il profilo può essere definito come l’analisi delle principali caratteristiche comportamentali e di personalità di un individuo, desumibili dall’analisi dei crimini che questi ha commesso (Douglas, Ressler, Burgess & Hartman, 1986). La costruzione di un profilo si basa sulla premessa secondo la quale una corretta interpretazione della scena del delitto può indicare il tipo di personalità di chi ha commesso il reato. La tecnica del profilo e basata sulla comparazione di casi simili e si avvale di sofisticate metodologie statistiche di analisi, il cui esito e un giudizio probabilistico della forma “se/allora”. In modo estremamente semplificato, il profilo risponde ai seguenti quesiti:

  • Che cosa è accaduto durante il delitto?
  • Che tipo di individuo potrebbe aver compiuto questo genere di delitto?
  • Quali sono le caratteristiche associate di solito a questo genere di persona?

A causa della sua natura probabilistica, il profilo deve prendere in considerazione una serie di caratteristiche in comune a vari autori di delitti di natura simile. Le variabili prese in considerazione possono essere fisiche, come l’età, il sesso, la razza; sociali, come lo status socio-economico, la residenza dell’autore di reato, il grado di scolarità, lo stato civile e il tipo di attività lavorativa svolta, le preferenze sessuali (omosessuale, eterosessuale, pedofilo, ecc.) o il tipo di adattamento sociale; storico-giudiziarie, riguardanti cioè i precedenti penali e psichiatrici; investigative, come il comportamento successivo al delitto, il metodo di trasporto della vittima e la possibilità che vi siano complici.
Ai fini della stesura del profilo si prendono in esame diversi aspetti, tra cui scena del delitto, informazioni sulla vittima (l’età, il tipo di lavoro, le abitudini, la condizione di salute, i precedenti penali, le relazioni familiari, gli hobby e il collocamento sociale), dati autoptici, ora e luogo del delitto. Nel profilo vengono elencate le caratteristiche socio-demografiche, fisiche e comportamentali del sospetto, unitamente alla descrizione dei possibili stili di vita e del tipo di occupazione. Il profilo del sospetto ha la funzione di indirizzare le investigazioni di polizia; una volta catturato e giudicato il colpevole, il profilo viene raffrontato con le sue caratteristiche reali, in modo da poter “correggere” e meglio valutare ulteriori elementi investigativi.

Procedure statistiche di profilo

Una delle procedure classiche per stendere un profilo e costituita dalla forma semplice dell’analisi univariata. In questo caso, i dati riguardanti un determinato reato o le caratteristiche di un determinato autore di reato vengono analizzate singolarmente.
Ad esempio, se analizziamo i fascicoli giudiziari riguardanti un determinato numero di casi di omicidio, siamo in grado di conoscere le variabili sociali, demografiche e giudiziarie del campione di autori e vittime presenti nel nostro caso, anche se, non raramente, restano fuori dall’analisi le componenti psicologiche e comportamentali, le motivazioni e lo studio della scena del delitto. In questo senso il profilo psicologico è altro da una classica ricerca criminologica, sia per quanto riguarda la diversa utilizzazione delle fonti di reperimento dei dati, sia per i diversi fini a cui tende: investigativi, nel caso del profilo; descrittivi, nel caso della ricerca empirica.
È sopratutto dall’analisi dell’azione (o comportamento) criminale, infatti, che si possono ricavare informazioni sulle caratteristiche di personalità dell’autore di reato.
Lo scopo del profilo è dimostrare che esistono relazioni significative tra comportamento delittuoso e caratteristiche del delinquente, anche a livello di specifiche relazioni tra variabili (sul punto, Ciappi, 1998).
E per questo motivo che le tecniche di profilo si avvalgono di differenti procedure di raccolta dei dati rispetto alle classiche indagini criminologiche. Le variabili vengono di solito estrapolate dai verbali di polizia, dalle testimonianze, dai fascicoli dell’obitorio e vertono essenzialmente su caratteristiche comportamentali dell’autore durante l’esecuzione del delitto, e più specificatamente: a) il tipo di attività sessuale; b) il grado di violenza e aggressività; c) l’impersonalità o meno del rapporto con la vittima; d) la pianificazione del reato.

La localizzazione geografica del delitto seriale

Il settore disciplinare della criminologia ambientale e dell’approccio geografico (o ecologico) al crimine rappresenta uno dei più importanti strumenti tecnici di localizzazione degli autori di delitti seriali. 
La maggior parte dei lavori empirici sull’argomento dimostra infatti come l’attività criminale sia largamente concentrata in aree vicine all’attività di residenza dell’autore. Bullock (1955), ad esempio, mostra come oltre il 40% degli omicidi verificatisi a Houston sia avvenuto nello stesso quartiere dell’aggressore e come oltre il 74% di questi si verificasse nel raggio di due miglia dall’abitazione del malfattore.
A partire dai risultati di questi studi è stata messa a punto un’ipotesi, definita come legge di decadimento (distance-decay law): l’attività criminale descresce all’aumentare della distanza del luogo del reato dall’abitazione o quartiere dell’autore (Brantingham & Brantingham, 1984).
Una successiva ipotesi deriva invece dal fatto che gli aggressori tendono ad avere un alto grado di mobilità all’interno di un’area di sicurezza (awareness space), spazio ben conosciuto o frequentato dal malvivente. Lo sviluppo urbano, affermano Brantingham e Brantingham (1981), tende a far coincidere questo spazio con l’area dei centri commerciali e le aree ad alta concentrazione di edifici lavorativi.
L’attività criminale, secondo questa ipotesi, segue un percorso che va dai luoghi di residenza e dai quartieri dove risiede l’aggressore e si indirizza verso le zone rappresentate dai quartieri ad alta concentrazione di edifici commerciali e lavorativi. È in queste aree che, quindi, vi è una maggiore probabilità di commissione dei reati e, di conseguenza, una maggiore probabilità di cattura dell’aggressore.
In accordo con le ipotesi ecologiche, una delle prime preoccupazioni in tema di identificazione e cattura dell’autore di delitti seriali e rappresentata dall’individuazione della probabile zona di residenza o di quella di maggiore attività del sospetto.
Holmes e De Burger (1988) descrivono al riguardo le varie possibilità di localizzazione del sospetto autore di delitti seriali, identificando tre tipologie di autori: 1) i serial killer geograficamente stabili (home stable) che compiono delitti motivati in senso sadico-sessuale e selezionano accuratamente vittime incontrate o residenti nella medesima zona dell’aggressore; 2) i serial killer viaggiatori (travellers) che comprendono, invece, autori che commettono il delitto per il gusto del rischio e per fantasie di dominio e che, al contrario, commettono i delitti in aree diverse tra loro, distanziate dal luogo di residenza dell’autore; 3) una fattispecie mista.
In uno studio effettuato da Robbins (1991 cit. da Ciappi, 1998), su un campione di 20 autori di delitti seriali è stato evidenziato che i serial killer “geograficamente stabili” operano in aree composte da persone appartenenti al loro stesso gruppo etnico, scelgono una vittima specifica e pianificano e organizzano il delitto in anticipo. I cadaveri delle vittime vengono inoltre trasportati in luogo diverso dalla scena del delitto, scelto anticipatamente dall’assassino.
Differentemente i serial killer “viaggiatori” hanno una storia di abusi nell’infanzia, tendono a essere meno organizzati, hanno un più basso livello di educazione e una vita sociale caratterizzata da rotture drammatiche con l’ambiente familiare, con le amicizie e con gli ambienti di lavoro. Le loro vittime non sono preselezionate, non inscenano durante il delitto rituali di alcun genere e cambiano spesso metodi di commissione dell’omicidio e tipo di arma. Le vittime tendono difficilmente a essere ritrovate.
In breve, lo studio di James evidenzia il fatto, alquanto significativo, che esiste una sovrapposizione in termini spaziali tra l’area di sicurezza dell’aggressore e il luogo di incontro tra l’aggressore e la vittima. Questo fenomeno di “sovrapposizione” (overlapping) e l’ipotesi che viene più generalmente accolta negli studi di localizzazione geografica del delinquente di natura seriale.

Bibliografia

  • Douglas, J., Ressler, R. K., Burgess, A. W., & Hartman, C. R. (1986). Criminal profiling from crime scene analysis. Behavioral Sciences and the Law, 4, 401-421.
  • Ciappi, S. (1998). Serial Killer. Metodi d’investigazione e procedure investigative. Milano: Franco Angeli.
  • Bullock, H. A. (1955). Urban homicide in theory and fact. Journal of Criminal Law, Criminology and Police Sciences, 45, 565-575.
  • Brantingham, P. J., & Brantingham, P. L. (1984). Patterns in Crime. New York: MacMillan.
  • Brantingham, P. J., & Brantingham, P. L. (1981). Environmental Criminology. Beverly Hills, CA: Sage.
  • Holmes, R., & De Burger, J. (1988). Serial Murder. Newbury Park, CA: Sage Publications.

Estratto da: Ciappi, S. e Pezzuolo, S. (a cura di) (2014). Psicologia giuridica. La teoria, le tecniche, la valutazione. © Hogrefe Editore, Firenze.