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numero 66 - aprile 2019

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Il primo colloquio con la coppia

Il primo colloquio con la coppia

Il lavoro con la coppia è un lavoro bellissimo e complesso. Immaginate tutte quelle piccole ansie, quelle attenzioni e quei pensieri che fate ogni volta che entra una persona da voi e moltiplicatela… per tre! Già perché ci sono due individui e la coppia, un’entità relazionale che va oltre i due singoli individui. Avete presente quella famosa frase secondo cui “il tutto è più della somma delle parti”? In un certo senso è quello che si può dire rispetto a una coppia come insieme di due individui.

Come si gestisce un colloquio di coppia? Come prima cosa, la regola è sempre quella di non farsi prendere dall’ansia da performance altrimenti si perde di efficacia nell’ascolto. Non sapete cosa la coppia vi porterà e non sapete se potrete effettivamente fare qualcosa o meno.
L’accoglienza è l’altro elemento fondamentale. Sembra banale ma può fare la differenza fra l’”agganciare” o meno i due partner. Considerate che molto spesso uno dei due partner ha spinto l’altra persona a intraprendere un percorso di coppia, pertanto i livelli di motivazione iniziali possono essere molto diversi. L’obiettivo è quindi quello di far sentire entrambi i partner al sicuro e accolti anche con le loro diffidenze e motivazioni che è necessario comunque accogliere e a cui dare un significato.
In sintesi, quindi, nel primo colloquio abbiamo a che fare con due persone sofferenti dove una delle due può essere anche molto demotivata, diffidente e arrabbiata. Ottimo inizio no?
Per questo motivo l’altro elemento fondamentale è l’autenticità. Non recitiamo il ruolo dell’esperto, non serve a niente. Quando avete di fronte una persona che sentite “costruita” o non autentica, quanto vi sentite liberi di esporre le vostre fragilità? È così anche per gli altri, specie se prima di venire da noi avrebbero preferito camminare sui carboni ardenti…

Una volta sbrigati gli adempimenti burocratici (consenso informato e adempimenti sul trattamento dati), si si entra nel vivo del colloquio; questo è un momento fondamentale perché il passo iniziale può influire molto nell’atteggiamento della coppia verso di noi e verso il percorso. Cosa fate in un contesto nuovo in cui avete a che fare con interlocutori che non conoscete ma con cui andrete a parlare di cose importanti? Esatto! Parlerete il meno possibile e ascolterete il più possibile. Quindi pochi interventi e ascolto attivo.
La domanda con cui trovo efficace aprire la seduta di coppia è: “Che cosa vi porta qui?”. Precisa e destrutturata allo stesso tempo; va dritta al punto senza porre vincoli. Già la risposta a questa domanda ci fornisce informazioni preziose: chi inizia a parlare? come reagisce chi non parla? Ho notato che spesso l’incipt è: “Inizia tu che sei voluto/a venire”; osservazione che ci chiarisce alcuni aspetti relativi alla motivazione.

Scrivere o non scrivere? Videoregistrare o non videoregistrare? A discrezione vostra. La cosa importante è che vi sentiate comodi e sicuri nel modo in cui scegliete di lavorare. Personalmente la prima seduta non la videoregistro perché penso che la videocamera possa inibire molto l’espressione libera di sé a fronte, anche, degli elementi non facilitanti visti in precedenza. Mi trovo però bene a prendere alcuni appunti dividendo il foglio in due parti: una parte per uno dei partner, l’altra parte per l’altra persona. All’interno di ciascuna parte, inserisco le parole che mi sembrano chiave. Per il resto ascolto e osservo la dinamica prestando molta attenzione anche a ciò che ciascuno dei due partner mi trasmette a livello emotivo. Ovviamente, come per ciascuna psicoterapia che conduciamo, è necessario essere sufficientemente consapevoli di sé per non cadere in tranelli e in facili pregiudizi.

Nel primo colloquio, quindi, il vostro obiettivo è ascoltare e creare accoglienza, nulla di più. Sembra facile e banale ma quando ci troviamo in presenza di situazioni scomode, come ad esempio un tradimento, può non essere sempre facile mantenere quell’accogliente neutralità che ci serve per lavorare.
Il tradimento, metaforicamente, lo associo alle sirene di Ulisse: è molto facile cadere nella tentazione di prendere la parte della persona tradita (“Ha ragione ad odiarlo/a”) o della persona che ha tradito (“Ovviamente ha tradito, in questa situazione come non comprenderlo/a?”); tuttavia dobbiamo fare in modo che la nostra capacità di accettazione emotiva (non dei comportamenti, non siamo dei giudici!) e la nostra empatia ci trattengano dal cadere nella trappola del giudizio.
Pertanto, se il nostro obiettivo è quello di comprendere e mettere insieme i pezzi di ciascun puzzle, quello di ciascun partner, dobbiamo avere un doppio focus: sui fatti e sui significati emotivi. Una cosa, infatti, è: “Quando è avvenuto il tradimento?” e una cosa il “Che cosa ha significato il tradimento”. L’evento è lo stesso ma nel primo caso diamo una collocazione temporale oggettiva mentre nel secondo caso una connotazione soggettiva. Quando i livelli di sofferenza sono elevati, non è raro vedere i partner non concordare neanche sugli aspetti oggettivi (“È successo dopo che hai cambiato lavoro; l’hai conosciuta subito quella lì”; “No, molto dopo che ho cambiato lavoro, avevo già terminato il periodo di prova e ancora non la conoscevo”). Quindi, anche per dare una collocazione spazio-temporale agli eventi occorre prestare molto attenzione alla narrazione.
La domanda iniziale “Che cosa vi porta qui?”, permette di mettere in luce già alcuni aspetti della dinamica di coppia (Chi parla di più? Come reagisce l’altra persona alle parole dette dal partner? Ribatte? Parla sopra? Resta in silenzio mostrando un comportamento non verbale contrariato o aggressivo?).

Chiaramente è necessario iniziare a comprendere bene quando e perché la crisi sia iniziata e quali siano state le strategie messe in atto da ciascun partner per farvi fronte; mi sento di dirvi con ragionevole certezza che il più delle volte prima di venire in terapia di tentativi di risoluzione individuali o di coppia le persone ne hanno provati a fare. Quello che noto è che spesso, quando la crisi esplode è perché era già nell’aria spesso da molto tempo. Magari si scopre che la coppia ha due figli di 11 e 8 anni ed escono frasi del tipo: “Dopo la nascita del primo figlio io sono praticamente scomparso, dopo il secondo poi ti sei dimenticata di avere un marito!” oppure: “Ho scelto di rinunciare alla mia carriera per fare spazio a te con enorme fatica ma tu non ti sei neanche posto il problema. Ora, a distanza di cinque anni, non pensi che ne abbia abbastanza di pensare solo ai tuoi di bisogni?”.

Quando i livelli di conflitto sono elevati, è facile cadere nella sterilità emotiva e di contenuti che si traduce unicamente in scambi di giudizi reciproci. Questi conflitti sterili non ci servono a molto, ci fanno vedere che le persone stanno cercando di proteggere sé attaccando l’altra persona. Importante, certo, ma non per l’intera durata della seduta. A volte, purtroppo, disinnescare il conflitto sterile è veramente difficile perché i livelli di dolore e paura di essere feriti sono talmente alti che basta un soffio per toccare un nervo scoperto. Tuttavia, noi dobbiamo provare a rifocalizzare il colloquio mettendo in evidenza che in questa prima fase ci interessa comprendere prima di tutto cosa è successo e che nei colloqui successivi ci sarà modo di approfondire anche la visione più precisa di ciascun partner.

Lavorare con le coppie è molto bello e anche molto difficile. Però se riusciamo a non sentirci onnipotenti (ricordiamo che l’obiettivo della terapia di coppia è aiutare la coppia a trovare soluzioni efficaci per il proprio benessere e questo non sempre coincide con la scelta di restare insieme), se riusciamo a non entrare in ansia e se alle spalle abbiamo una preparazione ferrea sulle dinamiche di coppia allora possiamo addentrarci tra le strade di uno dei lavori più belli del mondo.

Bibliografia

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  • Greenberg L. (2004), Lavorare con le Emozioni in psicoterapia Integrata, Roma: Sovera Multmedia.
  • Shaver P., Hazan C. (1993), Adult romantic attachment: Theory and evidence. Advences in personal relationship, in Perlman D., Jones W., London PA: Jessica Kingsley.