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numero 33 - dicembre 2015

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Il Natale come momento di confronto famigliare

Il Natale come momento di confronto famigliare

Il Natale per noi psicologi, dismessi i panni professionali e indossati quelli famigliari, si connota degli stessi significati che assume per i nostri pazienti. Per alcuni, un momento di confronto, di scambio e comunicazione con i propri famigliari, per altri, un momento di doloroso confronto con la realtà di relazioni famigliari frustranti e carenti, per altri, un momento di contatto con la solitudine e l’assenza.
Nel lavoro al Centro Europeo per l’Assessment Terapeutico dell’Università Cattolica di Milano (cristina.corvi@unicatt.it) capita che durante il periodo di Natale i pazienti elaborino i significati delle feste, mettendo al centro del lavoro il fatto che queste occasioni possano essere un simbolo delle relazioni e delle svolte esistenziali che essi vivono.

Giorgio ha 55 anni e inizia il suo Assessment Terapeutico tre anni dopo il termine di una lunga causa civile per mobbing intentata da lui alla multinazionale in cui esercitava come manager.
Ferito, recrimina contro la sentenza e gli avvocati, che non hanno supportato le sue ragioni adeguatamente. Si sente stupido e impotente perché non riesce a rientrare nel mondo del lavoro. Forse per via del periodo stressante, sente che la sua vita, senza una partner, senza figli e solo gli anziani genitori, non ha senso. Racconta che non solo nel mondo del lavoro, ma anche tra le sue amicizie si accorge che le proprie scelte lo espongono a sentirsi tradito, sfruttato, trattato senza riguardo. Ad esempio, da anni un cugino cui ha prestato 15.000 euro per una sua iniziativa commerciale “fa finta di niente” e non accenna a ridargli il prestito. Anzi, pochi mesi prima, il cugino lo confronta severamente sul suo atteggiamento (a suo dire) troppo remissivo nella vita e da allora Giorgio si vergogna a chiamarlo, e smette di avere rapporti con lui.
Le sue domande di assessment sono:

  1. Come mai mi sento inerme?;
  2. Cosa faccio di sbagliato per cui capito in situazioni in cui pago conseguenze altissime?;
  3. Come faccio a trovare delle persone che tengano a me, come io tengo a loro?

Giorgio compila l’Early Memories Procedure (Bruhn, 1984), che mette in luce un’infanzia segnata dal rapporto con un padre che gli diceva “se sopravvivi a questo, nella vita nulla ti potrà toccare”. In questo modo, lo esponeva a situazioni rischiose e potenzialmente traumatiche, commisurando la sua approvazione alla capacità di Giorgio di partecipare con entusiasmo e senza paura o altre reazioni negative a queste situazioni. La madre di Giorgio, invece, veniva dipinta come una donna fredda e distante, capace di confronto intellettuale ma non di sostegno emotivo. Con Giorgio esploriamo come l’attaccamento, inteso come sistema primario di identificazione del pericolo, nel suo caso non si sia potuto sviluppare, lasciandolo senza strumenti per capire quando si mette in situazioni e relazioni potenzialmente pericolose per sé.
Nelle sedute successive, Giorgio comprende velocemente come la sua incapacità a proteggersi sia alla base delle risposte alle sue domande di assessment.

Al termine dell’AT decidiamo di iniziare una psicoterapia.

Intorno allo scorso Natale, in una seduta di terapia Giorgio racconta di aver ricevuto da suo padre, quasi novantenne, come regalo “speciale” un diario della propria vita, in cui una parte iniziale era dedicata alla sua infanzia. Giorgio legge così i dettagli di quello che sapeva essere successo, ma senza essere stato in grado di apprezzarne l’impatto su di lui e sulla propria storia. Suo padre, di origine ebrea polacca, al termine della Seconda Guerra Mondiale era stato deportato ‒ ancora bambino ‒ in un campo di prigionia nazista. Nel diario il padre le racconta gli spaventi e il terrore che lui aveva provato negli anni di prigionia. Giorgio nelle sedute successive elabora come il pericolo, e la sua esperienza senza protezioni, avesse profondamente colpito suo padre e comprende, e muove i primi passi verso il suo perdono, le ragioni che lo avevano mosso a esporlo a pericoli enormi “per il suo bene”, perché non si trovasse “indifeso” come si era trovato lui durante la prigionia e la separazione dalla famiglia.
Nell’anno che è seguito, Giorgio ha continuato a rileggere la propria vita e i problemi della quotidianità in termini di possibilità di proteggersi. Aspetta questo Natale per incontrare il cugino, ed affrontare in modo assertivo come e quando avrebbe avuto indietro il proprio prestito.

L’Assessment Terapeutico (AT) è un percorso clinico semi-strutturato di adulti (Finn, 1994, 1996), coppie (Finn, 2005) famiglie con bambini e/o adolescenti (Smith, Handler e Nash, 2010 Tharinger et al., 2009).
L’Assessment Terapeutico rappresenta una particolare modalità di valutazione psicologica collaborativa che, attraverso una ricostruzione della storia personale del cliente, ne prende in considerazione i punti di forza, le problematiche, le relazioni e le esperienze significative mettendo al centro sia ciò che emerge nella relazione con il clinico sia quanto emerso dai dati dei test. Questi ultimi possono essere utilizzati non solo per classificare o fare diagnosi in senso tradizionale, ma anche a scopo terapeutico con la convinzione che i test rappresentino strumenti adatti per sostenere gli "insight" dei clienti e che possano quindi favorire un cambiamento e una rielaborazione dei loro vissuti. Nel caso di clienti adulti, l’assessment assume una valenza terapeutica in quanto sostiene un diverso modo di vedere sé, gli altri e le proprie relazioni, mira all’integrazione di emozioni dissociate e quindi alla riscrittura della narrazione di sé in senso più armonico, coerente e compassionevole.