Recensioni
I fantasmi della psicologia
I fantasmi della psicologia
Jerome Kagan
I fantasmi della psicologia
Bollati Boringhieri, 2014, Pp. 303
Euro 26,00
Quali possono essere i “fantasmi” della psicologia? Una prima indicazione proviene dal sottotitolo di questo libro (scritto da uno dei maggiori psicologi contemporanei) La crisi di una professione, ma prima di tutto conviene spendere alcune parole proprio sull’autore, attualmente professore emerito di psicologia presso la Harvard University. Jerome Kagan è nato nel 1929 a Newark (New Jersey) e, fin dai primi studi di psicologia alla Yale University, ha dedicato la propria vita alla ricerca e allo studio in ambito accademico. Durante la guerra di Corea ha partecipato a un team di ricerca delle forze armate americane, e successivamente è stato chiamato a collaborare al National Institute of Mental Health e al National Research Council. Una gran parte della sua vita è trascorsa ad Harvard e qui ha conseguito la fama scientifica nel campo della psicologia dell’età evolutiva, impegnato inizialmente nel Human Development Program. Ma i suoi interessi sono andati molto al di là della psicologia evolutiva in senso stretto, e ciò è testimoniato sia dal testo che presentiamo, sia da molti altri libri tradotti in italiano tra cui segnaliamo La trama della vita. Come geni, cultura, tempo e destino determinano il nostro temperamento (Bollati Boringhieri, 2011).
Il primo aspetto considerato in questo lavoro è costituito dalla criticità che emerge nelle ricerche di psicologia nel momento in cui i ricercatori appaiono del tutto disinteressati ai contesti sociali e ai setting nei quali le informazioni sono raccolte. Ciò vale per l’area della psicologia sociale, sia per quella della clinica e della psichiatria e, secondo Kagan, il risultato finale è di ignorare del tutto il background culturale e sociale dei soggetti di ricerca. Tale argomento ha una ricaduta specifica su come sono interpretati i risultati di ricerche che attengono a variabili quali il pensiero, le rappresentazioni, i valori, i progetti, le motivazioni, i sentimenti e le emozioni. Le limitazioni alle generalizzazioni che tale problema dovrebbe portare con sé sembrano assai deboli, ingenerando confusione e indebite inferenze: “Il monito dell’oracolo di Delfi: ‘Conosci te stesso’, andrebbe così riformulato: ‘Conosci te stesso in ogni contesto’” (p. 29).
Kagan ripercorre così, pur se in estrema sintesi, l’evoluzione delle scuole principali della psicologia, fino al cognitivismo, e fino a giungere all’attuale interesse per la ricerca delle basi biologiche, neurofisiologiche e cerebrali della condotta umana.
Una seconda critica più specifica portata avanti da Kagan si indirizza contro i questionari self-report e soprattutto contro le liste di aggettivi e di descrizioni libere in base alle quali le persone sono chiamate a descrivere loro stesse dai ricercatori che vogliono comprenderne gli stati mentali e le strutture di personalità. Uno dei problemi è che le stesse parole sono usate in modi differenti, e in molte culture non vi sono termini specifici (che invece sono presenti in altre società) per designare gli stati soggettivi; inoltre ogni persona dispone di un vocabolario assai limitato, e infine molte esperienze interiori non raggiungono il livello della consapevolezza e pertanto non sono verbalizzabili. L’autore richiama l’osservazione paradigmatica di uno psicologo britannico il quale chiese, in un convegno, per quale motivo gli psicologi ponessero i soggetti in ambienti artificiali di studio per poi applicare alla vita generale i risultati che ne traevano… Un’osservazione assolutamente valida ancora oggi, purtroppo!
In altri casi i questionari che vogliono indagare ampi aspetti della vita delle persone pongono domande le cui risposte hanno ben poco significato. Un esempio Kagan lo vede nelle indagini sul benessere soggettivo, indagini in cui sono poste domande del tipo Quanto sei soddisfatto della tua vita? L’autore afferma che è come se un medico proponesse in un questionario la domanda Quanto è buona la tua memoria? traendone conclusioni precise sulla capacità mnemonica di colui che risponde.
Un’aspra critica coinvolge la psicologia clinica e la psichiatria: come decidere se un dato comportamento rappresenta un disturbo oppure una normale reazione di fronte a particolari eventi di vita? Basandosi soltanto sui sintomi la visione delle situazioni è talmente limitata che di fronte ai tentativi portati avanti dai diversi DSM, fino all’attuale quinta versione, è più che lecito sollevare diversi dubbi. Ma altrettanti dubbi si possono indirizzare alle terapie, sia farmacologiche, sia psicologiche, in quanto esse non sembrano pressoché mai essere specifiche rispetto a specifiche situazioni di sofferenza: “molti farmaci funzionano un po’ come una botta in testa e l’efficacia di una data forma di psicoterapia dipende dalle aspettative del paziente in merito alla sua validità, piuttosto che dalle procedure approntate dal terapeuta” (p. 16).
Si tratta dunque di un libro che svolge una serrata critica in merito a diverse situazioni: i programmi di ricerca, le procedure diagnostiche, i trattamenti terapeutici. Il tutto sullo sfondo della mancanza di significatività causata dalla noncuranza con la quale si trattano variabili importanti come sono quelle sociali, culturali e biografiche: la decontestualizzazione ha causato, secondo l’autore, l’inutilità dei risultati di ricerca e l’indimostrabilità dell’efficacia delle forme di terapia farmacologica e psicologica.