Resoconti
I disturbi dell’alimentazione nell’infanzia e nell’adolescenza
I disturbi dell’alimentazione nell’infanzia e nell’adolescenza
Il 17 aprile a Firenze si è tenuto il convegno dal titolo I disturbi dell’alimentazione nell’infanzia e nell’adolescenza presso l’IPSICO, Istituto di Psicologia e Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale. Tale evento ha riunito e coinvolto il lavoro di psicologi, neuropsichiatri infantili e pediatri, figure centrali relativamente ad un ambito come quello dell’alimentazione e delle problematiche ad essa associate che oggi giorno riguarda più che mai ampie fasce della popolazione e in modo sempre maggiore l’infanzia e l’adolescenza.
A tal proposito interessanti sono stati i dati riportati dal Dott. Lauro Mengheri, Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana, che ci fanno capire come sia particolarmente grave la situazione e di come i disturbi dell’alimentazione riguardino una problematica sempre maggiore, sulla quale è necessaria un’attenzione continua e a 360 gradi. Secondo i dati dell’OMS ogni anno si ammalano 500.000 ragazzi dei quali 1 su 10 muore. Rispetto al passato i dati mostrano un equilibrio di queste problematiche in riferimento al genere, anche la popolazione maschile si trova a rischio in questo tipo di disturbi che fino a pochi anni fa sembravano riguardare un target in prevalenza femminile. Gli ultimi dati emersi dai monitoraggi dell’OMS indicano che nel 2005 in tutto il mondo circa 1 miliardo e 600 milioni di adulti si trovavano in una condizione di sovrappeso, tra questi 400 milioni di persone al di sopra dei 15 anni di età erano obesi. Le previsioni dicono che oggi dovremmo contare più di 2000 milioni di adulti in sovrappeso e almeno 700 milioni di obesi nel mondo. Il dato che dovrebbe maggiormente far riflettere è relativo ai 20 milioni di bambini con età inferiore ai 5 anni che nel 2005 si trovavano in sovrappeso.
Secondo gli ultimi dati messi a disposizione dal Ministero della Salute, di “alimentazione” si ammalano più di 9.000 persone ogni anno, soprattutto nella fascia di età tra 12 e 25 anni. In particolare l’incidenza dell’anoressia nervosa negli ultimi anni risulta stabilizzata su valori di 4-8 nuovi casi annui per 100.000 abitanti, mentre quella della bulimia nervosa risulta in aumento: 9-12 casi annui per 100.000 abitanti. La situazione specifica italiana non è delle più rosee, il 5% degli adolescenti risulta soffrire di disturbi alimentari e nel 40% dei casi questi si manifestano tra i 15 e i 19 anni. L’ età media di insorgenza è intorno ai 17 anni ma l’età di esordio risulta ulteriormente abbassarsi verso gli 8-12 anni con un incremento dell’insorgenza nel sesso maschile nella fascia d’età pre-adolescenziale ed adolescenziale. In generale i dati mostrano che la prevalenza del disturbo si rileva nella popolazione femminile, nella fascia 10-30 anni.
In Italia 0,8% soffre di anoressia nervosa, il 3% di bulimia e il 6,4% di disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati. I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) sono riconosciuti come disturbi psichiatrici gravi. La loro complessità dipende da una serie di variabili psicologiche, nutrizionali e mediche e si riscontrano tendenze alla cronicizzazione e alle ricadute e frequente comorbilità. Da questi dati emerge come le problematiche legate all’alimentazione e l’abbassamento relativo all’età di insorgenza necessitano di interventi d’equipe multidisciplinare, dove ogni figura professionale converge in un’analisi specifica caso per caso per seguire la persona sia da un punto di vista medico e nutrizionale che psicologico.
Il convegno, dopo una prima parte maggiormente informativa circa i dati sui disturbi alimentari volti a rendere consapevoli dell’urgenza della problematica, è proseguito con l’illustrazione di alcune buone pratiche inerenti la presa in carico di pazienti con DCA, a tal proposito illuminanti sono stati gli interventi del Dott. Filippo Muratori dell’ IRCCS Stella Maris di Pisa e della Dott.ssa Maria Cristina Stefanini afferente al Dipartimento di Neuroscienze, Area del Farmaco e Salute del Bambino dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer. Il primo ha descritto l’iter previsto di presa in carico di persone con DCA soffermandosi in particolare sul ricovero, descrivendo gli obiettivi da perseguire e il coinvolgimento di un team fortemente interdisciplinare. È emerso come sia complesso il trattamento soprattutto in caso di adolescenti e pre-adolescenti per tutta una serie di motivazioni che oltre a quelle mediche riguardano quelle psicologiche e familiari che rendono l’intervento non pensabile se non considerato in un’ottica multidisciplinare. L’intervento di Maria Cristina Stefanini ha descritto invece le modalità operative del gruppo di lavoro AOU Meyer sui Disturbi Alimentari in Età Evolutiva, sulla falsariga dell’intervento precedente anche qui risulta essere di primaria importanza un lavoro interdisciplinare che preveda una forte interazione fra psicologi, dietisti, medici e genitori del ragazzo. In questo caso l’accento è stato puntato sui fattori predisponenti i DCA che consistono in un insieme di cause individuali, familiari e sociali, che fanno sì che sia necessario un intervento integrato che coinvolga anche la famiglia della persona che manifesta tali disturbi. Molto utilizzato e centrale nell’iter terapeutico è un modello terapeutico di tipo familiare che centri il proprio lavoro sull’autoconsapevolezza sia del ragazzo che della famiglia al fine di eliminare quelle cause che hanno portato ad un rapporto conflittuale e patologico con il cibo.
Questi due casi di buone pratiche sono due esempi di un modello, quello toscano, che da anni è impegnato nella creazione di una rete integrata di servizi, per definire degli standard di cura appropriati e per la costruzione e aggiornamento della mappa dei servizi,al fine di superare l’attuale frammentazione delle azioni e definire i livelli assistenziali necessari alla realizzazione delle rete dei servizi per il trattamento dei DCA. La Toscana in tal senso si conferma polo di attrazione per pazienti provenienti sia dal Sud Italia (Campania e Sicilia) sia dalle regioni limitrofe (Emilia-Romagna, Lazio e Liguria). La IRCCS Stella Maris rappresenta il polo di riferimento più significativo, con circa il 34% dei pazienti in carico provenienti da fuori regione.
Nella seconda parte della mattina centrale è stato l’intervento della Dott.ssa Laura Dalla Ragione, responsabile del Centro DCA, Palazzo Francisci di Todi. Oltre a riportare una serie di dati inerenti ai DCA e una di riflessioni sul rapporto fra problematiche psicopatologiche e disturbi alimentari, la Dott.ssa Dalla Ragione ha riportato l’esperienza diretta di Palazzo Francisci a Todi che tratta pazienti con diagnosi di anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificato e del Centro DAI a Città della Pieve che invece si occupa di pazienti con diagnosi di disturbo da alimentazione incontrollata e obesità. Tali centri costituiscono delle strutture residenziali vere e proprie in cui viene particolarmente curato l’ambiente in un’ottica strettamente ecologica, infatti le strutture sono situate in contesti non cittadini, ma rurali, e le giornate sono organizzate con attività terapeutiche e riabilitative, per impedire il rimuginare ossessivo dei pazienti, sono inoltre previste molte attività espressive, danza-movimento-terapia, laboratori teatrali, Tai-chi, laboratori di fotografia, laboratori di scrittura, il tutto finalizzate ad un lavoro sull’immagine corporea e sullo sviluppo di un rapporto maggiormente sereno con il proprio corpo. I pazienti vengono coinvolti direttamente, coadiuvati, assistiti e supervisionati dagli operatori anche nella preparazione del pasto e nell’esecuzione delle varie attività del centro. Inoltre, per motivi etici e scientifici, queste strutture hanno privilegiato la medicina complementare e in particolare l’agopuntura, l’auricoloterapia, l’omotossicologia e la meditazione. Anche in questo caso, un ruolo centrale viene affidato alla famiglia, come elemento terapeutico principale su cui poter lavorare, che può giocare un ruolo decisivo nel mantenimento del disturbo soprattutto in pazienti molto giovani e nel pieno dello sviluppo psicofisico e affettivo.
Interessante anche il contributo del Dott. Riccardo Dalla Grave, Responsabile dell'Unità di Riabilitazione Nutrizionale Casa di Cura Villa Garda, Garda (VR) che ci propone una specifica forma di terapia cognitivo-comportamentale, focalizzata sulla psicopatologia del disturbo dell’alimentazione (non sulla diagnosi del DSM): la terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell’alimentazione potenziata (CBT-E). Derivata dalla CBT-BN (il trattamento più empiricamente supportato per i DCA – CBT-BN), ma ideata per essere più potente, affronta meccanismi comuni di mantenimento che riflettono la realtà clinica di una psicopatologia condivisa ed evolvente come quella dei DCA e non la diagnosi DSM, è creata su misura per il singolo paziente e quindi dotata di flessibilità proprio per il suo carattere personalizzato e individualizzato. Anche questo tipo specifico di trattamento terapeutico, in particolare con pazienti in età adolescenziale e pre-adolescenziale, riconosce il ruolo cruciale del coinvolgimento della famiglia.
Gli interventi del pomeriggio sono stati aperti dal Dott. Rodolfo De Bernard, presidente dell'Istituto di Terapia Familiare di Firenze, il quale ha centrato il suo contributo sull'importanza di lavorare nello specifico con questo tipo di pazienti sull'uso dell'immagine in terapia. Oggi viviamo un'epoca fortemente digitale, visiva, soprattutto gli adolescenti e pre-adolescenti basano fortemente la loro comunicazione ed espressività sulle immagini, basti pensare al dilagante utilizzo dei social network, degli smartphone, delle varie applicazioni per il cellulare. Impiegano un linguaggio molto differente da quello utilizzato dagli stessi adolescenti 10, 20, 30 anni fa e il terapeuta che si trova a lavorare con un giovane deve tenere conto di questo. Una psicoterapia che non prende in considerazione i cambiamenti sociali, l'utilizzo differente del linguaggio e della comunicazione da parte delle persone e l'importanza di adeguare il lavoro psicoterapeutico alle modalità comunicative, espressive e del loro cambiamento del tempo è destinata a fallire. In questo caso poi, dato che parliamo di adolescenti e disturbi alimentari è particolarmente importante portare nel lavoro terapeutico quanto il ragazzo ci offre da un punto di vista comunicativo relativo all'immagine, perché l'immagine corporea è particolarmente importante in questo tipo di problematiche.
Ultimo intervento della giornata, in senso temporale ma non di importanza, è stato quello del Dott. Valdo Fiori, pediatra di famiglia che ha descritto l'esperienza di chi, come medico, si trova di fronte a situazioni potenzialmente problematiche. Il ruolo del pediatra oggi nel riconoscere i segnali precoci di malattia e nel percorso eventuale di cura è sicuramente strategico. Di fronte a famiglie che spesso non notano o sottovalutano problematiche comportamentali come difficoltà dei figli a spogliarsi durante una normale visita medica, ad evitare il “confronto” con la bilancia, il pediatra può sicuramente avere un'importanza basilare nel sottolineare dei “campanelli d'allarme”. Il pediatra può incontrare delle difficoltà a causa di un atteggiamento spesso negazionista o di sottovalutazione del problema sia da parte del ragazzo e dei genitori, per questo è necessario anche un questo caso una rete che coinvolga più professionisti, a partire da agenti formali (scuola, Asl, associazioni o enti a contatto con i giovani) e informali (rete di pari in cui è inserito il ragazzo).
Questo ultimo intervento del convegno apre la strada ad un argomento davvero basilare e di primissimo piano, non trattato nello specifico, ma di cui è stata sottolineata l'importanza, ovvero quello della prevenzione. È necessario, dato l'abbassamento dell'età di insorgenza dei DCA, che oltre ad un preciso iter terapeutico della persona adolescente, in pre-adolescenza e in età adulta con DCA conclamato, si attuino una serie di strategie e programmi di prevenzione che coinvolgano a più livelli i servizi sul territorio, la scuola, le famiglie, con un'opportuna azione di sensibilizzazione e che creino un rete capace di intervenire sui primi segnali e di evitare l'insorgenza di nuovi casi.