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numero 46 - aprile 2017

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Gamification: anche le aziende giocano!

Gamification: anche le aziende giocano!

Chiunque cerchi di fare una distinzione tra apprendimento e divertimento non conosce le basi di entrambi.

Sul senso di questa massima del filosofo canadese Marshall McLuhan si basano i principi della gamification, ossia l’uso di elementi di gioco e di game design all’interno di contesti non propriamente ludici. MarketsandMarkets stima la crescita globale di questo mercato in circa il 43.6% nel 2016 rispetto all’anno precedente, con proiezioni di incremento che dovrebbero vedere il volume di affari andare dai circa 2.8 miliardi di dollari del 2016 a qualcosa come 11.1 miliardi di dollari entro la fine del 2020.

Ma cosa significa esattamente la parola gamification? E come può un’azienda trarre vantaggio dall’utilizzo di tale approccio all’interno dei processi organizzativi?

 

Cos’è la gamification

Secondo Fabio Viola (2011), tra i maggiori esponenti italiani sul tema, gamification non vuol dire trasformare un’esperienza in un gioco, ma prendere tecniche proprie del design dei giochi (quali ad esempio lo stimolo della competizione, l’enfatizzazione dello status, le modalità di guida del comportamento) e trasferirle all’interno di una cornice che le persone conoscono. Con il risultato che non ti accorgi neanche che stai giocando.

La radice della parola gamification rimanda, come è facile intuire, al concetto di “game”, cioè gioco. Il gioco è un’esperienza coinvolgente e ricca di stimoli, in grado di catturare e mantenere l’attenzione, attivare e motivare i soggetti, guidandoli all’acquisizione di nuove conoscenze, strategie e competenze. All’interno della comunità scientifica ormai è condivisa una convinzione utile alla comprensione del valore aggiunto del gioco in un processo di apprendimento: l’esperienza. Se è vero che le più funzionali esperienze di apprendimento si basano su di una forte motivazione, sulla declinazione di obiettivi chiari, sull’interpretazione dei risultati e su feedback immediati e continui, allora è vero anche che i giochi sono eccezionali strumenti di apprendimento, perché funzionano esattamente con queste caratteristiche.

Se si esamina la definizione di gioco che fornisce McGonigal (2011), direttore ricerca e sviluppo del settore giochi presso l’Institute for the Future di Palo Alto, ci si riferisce ad un tentativo volontario di superare ostacoli non necessari e sono quattro gli elementi che compongono qualunque tipo di gioco esistente: a) l’obiettivo da raggiungere, b)una serie definita di regole da rispettare per poter raggiungere quel determinato obiettivo, c) un sistema di feedback che indica al giocatore quanto è vicino al raggiungimento dell’obiettivo e d) la volontarietà della partecipazione al gioco stesso.

Inoltre Gee (2013), tra i più insigni linguisti statunitensi, sostiene che i giochi siano uno tra i migliori esempi di apprendimento tangenziale, cioè un apprendimento che non deriva dall’essere sottoposti ad insegnamento, ma dall’essere esposti a cose ed esperienze all’interno di un contesto in cui si è già fortemente coinvolti.

Quindi, riassumendo, è possibile definire la gamification come un insieme di prassi mutuate dal mondo dei giochi, che hanno l’obiettivo di applicare meccaniche ludiche ad attività che non hanno direttamente a che fare con il gioco; in questo modo è possibile influenzare e modificare il comportamento delle persone, favorendo la nascita ed il consolidamento di interesse attivo da parte degli utenti coinvolti verso il messaggio che si è scelto di comunicare, sia questo relativo all’incremento di performance personali o più in generale alle performance d’impresa.

Un processo “gamificato” si basa quindi sull’integrazione di elementi tipici del mondo dei giochi all’interno di contesti organizzativi e sono prevalentemente due gli aspetti che si considerano: meccaniche e dinamiche di gioco. Le prime sono gli strumenti base per creare l’infrastruttura ludica e rappresentano i dispositivi con cui interveniamo nelle organizzazioni, mentre le seconde rappresentano i bisogni e i desideri dei soggetti coinvolti, ciò che vogliamo soddisfare con le nostre azioni.

 

Gamificare le aziende

Nonostante il pregiudizio di alcuni, la gamification rappresenta un mercato in espansione soprattutto perché applicabile ai più svariati ambiti organizzativi: un sito, un servizio, una comunità, un contenuto, un processo aziendale o una campagna di marketing sono tutti contesti che possono essere “gamificati” (da to gamify) così da spingere l’interesse, il coinvolgimento e la partecipazione di clienti interni ed esterni.

I motivi per cui le aziende sono sempre più incentivate ad utilizzare la gamification al proprio interno sono molteplici. Fidelizzare i clienti, comunicare con i fornitori, motivare i propri dipendenti non basta più: la parola d’ordine è engagement, coinvolgimento, e la gamification è il modello migliore per assolvere in maniera attiva a questo compito.

Grazie alla motivazione e al divertimento si riesce ad aumentare il livello di soddisfazione e la felicità delle persone, generando valore funzionale al vantaggio competitivo aziendale riconducibile alla più ampia etichetta di employer branding.

Può essere utile, al fine di rappresentare meglio quanto si afferma, riportare di seguito qualche esempio di applicazione in diversi ambiti aziendali.

Il primo riguarda l’ambito della motivazione delle proprie Risorse Umane. Molte aziende motivano il proprio personale tramite ricompense e premi, seguendo la consuetudine secondo cui per stimolare i dipendenti a fare meglio ed impegnarsi maggiormente è necessario dar loro una gratifica. L’efficacia di un approccio gamificato sta proprio in questo: rappresenta un’alternativa a tale mentalità obsoleta, che non sempre restituisce i risultati sperati, perché tramite gli elementi del gioco applicati ai contesti lavorativi, essa va ad impattare sulla produttività dei dipendenti, i quali potranno eseguire un’attività in maniera piacevole, divertente e gratificante. Samsung Nation è un gioco sviluppato per Samsung che, tramite logiche di punteggio e progressione di livelli, ha incentivato i dipendenti a partecipare attivamente alla risoluzione dei problemi aziendali: per ogni problema risolto si avanza nella classifica aziendale.

Un altro ambito di sicuro interesse per le aziende è la formazione: apprendere nuove nozioni non sempre risulta entusiasmante, soprattutto se ci si prospettano corsi tecnici, lunghi ed estenuanti. Eppure, soprattutto nel contesto lavorativo, nuove competenze ci permettono di migliorare le nostre prestazioni e nonostante l’acquisizione di nuove competenze lavorative sia indispensabile, il sistema di apprendimento talvolta risulta demotivante. Con un approccio gamificato invece, grazie a caratteristiche distintive del gioco come livelli, punti e classifiche, gli utenti possono controllare il proprio stato di avanzamento rispetto ai colleghi, monitorare gli obiettivi raggiunti e quindi migliorarsi. Mc Donald’s, ad esempio, ha deciso di formare il personale sul nuovo sistema di cassa implementato in alcuni punti vendita tramite un simulatore che ricreava la loro attività quotidiana. Proprio come nella realtà l’obiettivo era di evadere gli ordini e soddisfare i clienti nel modo migliore e con il minor tempo possibile.

Uno degli ambiti nel quale la gamification ha trovato un ottimo terreno fertile di sviluppo è sicuramente quello del marketing e comunicazione. Un esempio è stata l’azienda di abbigliamento Original Marines che nel 2014 ha lanciato il concorso #PlayOriginal: per partecipare i clienti dovevano dimostrare la propria fedeltà ed interesse al brand mediante il compimento di azioni presso i punti vendita (per esempio l’acquisto di un capo) e online (come la condivisione sulla pagina Facebook di foto con indosso i vestiti Original Marines o la registrazione alla newsletter). Una volta portate a termine queste “missioni”, il cliente guadagnava dei bonus che si sommavano e coloro che totalizzavano più punti alla fine del contest vincevano un premio. Questo concorso è stato molto astuto e ben studiato perché ha permesso al brand di aumentare la propria visibilità, acquisire, profilare e fidelizzare i clienti, invogliare gli acquisti e le interazioni sui social e guadagnare dei brand ambassador.

Infine un altro ambito saliente per le organizzazioni è quella della selezione del personale che sempre più sta virando verso una ricerca di talenti. In questo senso le aziende hanno la duplice esigenza di ridurre il margine di errore di scelta del candidato e riuscire ad attrarre i candidati migliori tramite un potenziamento del proprio employer branding. Tramite il gioco è possibile valutare un ampio set di competenze trasversali, con una modalità più immediata e meno artefatta: il candidato, immerso nel contesto ludico, dimentica quasi di essere coinvolto in un assessment riuscendo a comportarsi in maniera più naturale e spontanea. In questo modo emergono anche quei fattori che durante i normali colloqui si cercano di nascondere. Un esempio è il modello Laborplay, sviluppato dall’omonimo spin-off dell’Università degli Studi di Firenze che abbiamo fondato nel 2015. Tale modello permette di classificare il comportamento professionale testando le caratteristiche personali a preferenze e abitudini di gioco. Attraverso un test, 52 item sulle preferenze delle meccaniche di gioco (ad es., “Mi piace difendere il mio spazio di gioco dagli attacchi nemici o dell’avversario”), ed un set completo di dispositivi ludici (sia digitali che analogici) si possono valutare le più importanti soft skill necessarie per poter individuare un giovane talento durante un assessment di valutazione.

Il candidato si trova, ad esempio, a dover “giocare” con il classico mattoncino Lego o con alcuni dei più noti videogiochi per un processo di assessment più coinvolgente e più attendibile, proprio perché l’attività di gioco è difficile da manipolare.

 

Conclusioni

Certo la gamification non può essere considerata la panacea di tutti i mali e non sempre si vedono processi gamificati nel modo opportuno. Di base non è soltanto una questione “tecnologica”: prima di tutto è una questione metodologica e strategica. Bisogna aver chiari gli obiettivi, il target, il budget sul quale possiamo fare affidamento, il tipo di ritorno che ci aspettiamo ed i tempi di realizzazione.

Non basta stilare una classifica o assegnare dei punti o dei badge (la cosiddetta pointsification) per poter affermare di aver fatto vera gamification: a lungo andare questi stimoli risulteranno banali e non incentiveranno l’utente/cliente a continuare il gioco e l’obiettivo del coinvolgimento, primo step di qualunque processo gamificato, andrà perduto inevitabilmente.

Infine non basta trasformare un “qualcosa” in un “qualcosa gamificato” per renderlo di successo. Bisogna sempre pensare che la gamification è un metodo, uno strumento che non cambia il contenuto che stiamo veicolando. Quindi si deve riflettere se tale metodo è quello maggiormente adatto per il contenuto e per il target.

La gamification non è una moda passeggera, ormai questo è chiaro, e sarà destinata a diventare sempre più pervasiva nelle nostre vite di consumatori, lavoratori e cittadini. Il gioco che porterà con sé forse potrà aiutarci a rendere più leggere e divertenti molte delle nostre attività quotidiane. Forse anche il lavoro.

 

Bibliografia

Gee, J.P. (2013). Come un videogioco. Insegnare e apprendere nella scuola digitale. Milano: Raffello Cortina.

McGonigal, J. (2011). La realtà in gioco. Perché i giochi ci rendono migliori e come possono cambiare il mondo. Milano: Apogeo