Tema del mese
Functional impairment: definizione teorica e implicazioni diagnostiche
Functional impairment: definizione teorica e implicazioni diagnostiche
Dove eravamo e dove siamo
Il costrutto di compromissione funzionale (functional impariment), apparentemente semplice ed equiparabile a quello di disabilità (International Classification of Impairment, Disabilities and Handicaps - ICIDH), ha avuto una storia travagliata: sia la definizione, sia i parametri di misura sono stati oggetto di molteplici cambiamenti. Nell’arco dei decenni si è cercato risposta a innumerevoli quesiti: in quale modo la menomazione è correlata al numero di sintomi e alla gravità di una specifica condizione? Come sintomi e menomazioni concorrono a disabilità, all’handicap o a deficit nel funzionamento adattivo? Ci sono variabili all'interno della famiglia, della comunità e della cultura cui il soggetto appartiene che possono contribuire alla compromissione?
Nel corso degli anni la valutazione del “ritardo mentale/disabilità intellettiva” è stata oggetto di molteplici cambiamenti. Come scriveva Hunt, “la sfida più grande sarà quella di allargare la ricerca sull'intelligenza dalle osservazioni all'interno del paradigma convenzionale dei test alle osservazioni del comportamento nella vita quotidiana” (2011, p. 60). Già nella prima edizione della Vineland Social Maturity Scale, comparsa negli anni ’50 (1935-1953), Doll (1935) aveva voluto integrare funzionamento cognitivo e adattivo. Questa necessità nel corso dei decenni è diventata sempre più pressante. Da qui i vari cambiamenti che sono occorsi nei decenni, tra cui:
- la diversa attenzione nei manuali diagnostici (DSM, ICD e ICF) alla “misurazione del comportamento adattivo” (basti pensare alle successive edizioni del GAF e del WHODAS);
- il cambiamento del parametro età (da 18 a 21) e la proposta di un modello multidimensionale del funzionamento umano nelle successive edizioni dei manuali dell’AAMR prima e poi della AAIDD (si fa riferimento, nello specifico, alla 11° edizione);
- i cambiamenti dei criteri diagnostici per i disturbi psichici sia nell’ICD sia nel DSM.
Il “peso” dell’AAIDD nelle classificazioni attuali
L’AAIDD (American Association on Intellectual and Developmental Disabilities)[1], che nasce alla fine ‘800 (cfr. fig. 1), è stata oggetto di molteplici cambiamenti in quanto i nuovi saperi relativi al “ritardo mentale” hanno modificato nel corso degli anni i parametri per la diagnosi di disabilità intellettiva, anche nelle versioni antecedenti al 2007[2]. Nell’arco degli anni il termine impairment è stato diversamente impiegato, per cui si è dovuto:
- pervenire a un modello consensuale di compromissione funzionale;
-
considerare che la relazione tra condizione clinica e compromissione
- ha un diverso peso a seconda del sistema diagnostico di riferimento;
- avere in mente le complesse interazioni tra funzionamento e disabilità (vedi, ICF).

Dove eravamo
Per disabilità intellettiva (ID) oggi si intende un funzionamento intellettivo generale significativamente inferiore alla media, concomitante a un deficit nel comportamento adattivo, che si manifesta durante il periodo dello sviluppo e influisce negativamente sul rendimento scolastico del soggetto. Nel corso dei decenni ci sono stati molteplici cambiamenti, che, come si evince dalla fig. 2, consistono non solo in cambiamenti nella denominazione, ma riflettono anche l’evoluzione delle conoscenze cliniche.

Si può far risalire il cambio di prospettiva verso la disabilità intellettiva al 5 ottobre 2010, quando il Presidente Obama firma la legge S. 2781 (“Legge Rosa[3]”), in cui si sostiene la necessità, (nelle leggi federali, tra cui l'IDEA) di sostituire il termine “ritardo mentale” con quello di “disabilità intellettiva”. Già precedentemente – come testimoniato dalle successive edizioni dell’AAIDD – erano stati modificati sia i parametri per la valutazione della disabilità (livelli differenti di QI e/o livello di adattamento), sia l’età di insorgenza.
Nel corso del tempo è cambiata la denominazione (da “deficienza mentale” a “ritardo mentale” a disabilità intellettiva). I tre elementi che contraddistinguono il quadro clinico (limiti nelle funzioni intellettive e nel comportamento adattivo ed età precoce di insorgenza) negli ultimi 60 anni non sono modificati in modo significativo. Tra la 9° e l’11° edizione del Manuale AAIDD la definizione non è cambiata in modo significativo. La 11° e la 12° edizione hanno mantenuto la medesima definizione, ad eccezione del criterio dell'età di insorgenza del disturbo (> 21 anni).
La diagnosi deve essere l’esito dell’integrazione di molteplici metodi e fonti di informazione, tra cui un'approfondita anamnesi di base e delle tappe evolutive, una anamnesi clinica, interviste a più caregivers, tra cui genitori e insegnanti, punteggi ai test standardizzati, comprensione delle differenze culturali (si veda più avanti) e ragionamento clinico, fondato su euristiche adeguate. Il clinico deve considerare problemi sensoriali/motori e la presenza di differenze culturali, sociali, etniche e linguistiche. In alcuni casi, può essere indicata la somministrazione di un test cognitivo non verbale [ad esempio, TONI-4 (Brown, L., Sherbenou, R.J., Johnsen, S.K., 2010) oppure UNIT-2 Universal Nonverbal Intelligence Test (2nd ed., Bracken, B.A., McCallum, R.S., 2016)[4].
Da qui il dissenso su formulare una diagnosi di disabilità cognitiva avvalendosi unicamente del punteggio del funzionamento cognitivo, dissenso chiaramente espresso nei manuali dell’AAIDD, nei sistemi diagnostici categoriali [ad esempio, DSM-5 TR (2022); ICD-11 (2022)], nei codici etici (ad esempio, APA, NASP) e negli standard dei test (APA, AERA, & NCME, 1999).
La definizione cui oggi bisogna riferimento è quella dell'AAIDD (2021)[5]. Nella nuova definizione si passa dal concetto di disabilità come problema presente in un individuo al concetto di disabilità che emerge (almeno in parte) nel divario tra capacità della persona e richieste dei contesti o ambienti tipici in cui vive (AAIDD, 2012). Il ritardo non è più una condizione statica e immutabile, ma una condizione che può cambiare nel tempo (Harris, 2006).
La definizione, contenuta nell'11° edizione del Manuale, è essenzialmente la medesima del Manuale del 2002, ma il termine ritardo mentale è sostituito da quello di disabilità intellettiva. “La disabilità intellettiva è caratterizzata da limitazioni significative sia nel funzionamento intellettivo sia nel comportamento adattivo, espresso in abilità adattative, concettuali, sociali e pratiche. Questa disabilità ha origine durante il periodo dello sviluppo, che è definito, in termini operativi, come il periodo che precede il raggiungimento dei 22 anni di età da parte dell'individuo” (AAIDD, 2021). Sottesi i seguenti presupposti:
- si devono considerare le limitazioni nel funzionamento attuale nel contesto di ambienti comunitari tipici dei coetanei e della cultura dell'individuo;
- bisogna valutare la diversità culturale e linguistica, così come le differenze negli ambiti comunicativi, sensoriali, motori e comportamentali;
- bisogna avere in mente che nell’individuo le limitazioni spesso coesistono con i punti di forza;
- l’obiettivo è sviluppare un programma dei supporti necessari;
- il funzionamento della vita della persona con disabilità intellettiva generalmente migliorerà (2021, p.1), se saranno erogati per un periodo prolungato i supporti appropriati.
Cambia il razionale sotteso. Nel sistema di classificazione dell'AAIDD dal 2002 non sono più inclusi i livelli di gravità. Diventa prioritario identificare le aree specifiche di “abilità”. Il razionale sotteso è duplice:
- promuovere il riconoscimento dei punti di forza relativi delle persone con disabilità;
- evidenziare a chi eroga i servizi, a ricercatori e a politici che la popolazione è estremamente eterogenea, anche all'interno di gruppi di individui con un medesimo QI.
Nello stesso periodo storico avviene un altro cambiamento importante, relativo al diverso modo di considerare la disabilità intellettiva in soggetti con doppia diagnosi (disturbo psichico e disabilità intellettiva): ICD e DSM pubblicano i nuovi criteri diagnostici da applicare nel caso di doppia diagnosi (DC-LD, Royal College of Psychiatrists, 2001; DM-ID, Fletcher, Loschen, Stavrakaki, & First, 2007; DM-ID-2, Fletcher, Barnhill, Cooper, 2017).

Possibili fattori di distorsione
Nonostante l’impegno e l’attenzione posti dal clinico nel raccogliere dati, bisogna considerare alcuni possibili fattori di “distorsione”:
- livello di comprensione - da parte del soggetto o dell’informatore - delle domande dello strumento;
- variabili culturali e padronanza della lingua;
- malingering.
Livello di comprensione della domanda
Quando si propongono al soggetto strumenti quali self-report, interviste e così via[6] il livello di comprensione del testo è una variabile fondamentale (Anderson, Mak, Keyvani Chahi, Bialystok, 2018). È quindi imprescindibile, prima di somministrare l’ABAS-3, raccogliere alcune informazioni al fine di valutare la competenza linguistica della persona che risponde. Come sappiamo, le differenze nello sviluppo linguistico possono variare notevolmente anche tra individui della medesima età.
Multiculturalità
Nella popolazione italiana oggi è presente una significativa percentuale di soggetti che appartengono ad altre culture. Non si può tralasciare questa variabile, perché incide sulla comprensione delle domande del test e quindi sulle risposte. Le prestazioni ai test, in particolare in soggetti monolingui e multilingui, sono direttamente attribuibili a differenze individuali nello sviluppo della lingua in cui si somministra il test (Cormier et al., 2014; Cormier et al., 2022; Ortiz, 2019; Ortiz et al., 2024). Da qui la necessità di valutare le competenze linguistiche di persone che hanno background differenti dal punto di vista culturale e etnico (Lopez, 2006; Okazaki & Tanaka-Matsumi, 2006; Ortiz, 2006).[7]
Simulazione o malingering
Nonostante il malingering sia uno dei fattori di rischio in tutti gli strumenti testologici, questa variabile è spesso sottovalutata. Determinare se la persona cui stiamo somministrando l’ABAS-3 stia rispondendo in maniera attendibile alle domande che gli poniamo è un compito complesso, per cui non sempre siamo in grado di asserire se le prestazioni di una persona siano un sintomo della sua disfunzione o di una condizione neurologica o se siano state “inventate” al fine di ottenere un guadagno secondario. Qualora il clinico ipotizzi che possa sussistere un problema di questo genere, abbiamo a disposizione uno strumento facile da somministrare che è l’Inventory of Problems – 29 (IOP-29; Viglione e Giromini, 2020). È uno strumento di primo livello, breve e autosomministrato, che valuta la credibilità della persona che risponde. Qualora lo psicologo subdori la presenza di questo problema, la sua somministrazione, che dovrebbe precedere quella degli altri test, è estremamente semplice e può avvenire sia in versione computerizzata (da remoto o in presenza, tramite PC o tablet) sia in versione carta-e-matita; in entrambi i casi, la sua compilazione impiega 10 minuti o meno (Viglione e Giromini, 2020).
[1] L’AAIDD è un'organizzazione americana senza scopo di lucro che si occupa di disabilità intellettiva e delle correlate disabilità dello sviluppo.
[4] Quando si sceglie un test per valutare il funzionamento cognitivo è fondamentale non avvalersi di test di screening o di una forma breve di un test.
[5] Nel 2007 l'Associazione Americana sul Ritardo Mentale (AAMR) ha modificato la propria denominazione in Associazione Americana sulle Disabilità Intellettive e dello Sviluppo (AAIDD). In quell'occasione, la denominazione di «ritardo mentale» è stata sostituita da «disabilità intellettiva» (Schalock et al., 2007).
[6] Già Yerkes negli anni 20 del secolo scorso aveva posto il problema
[7] La competenza culturale riflette una base di conoscenze o un'esperienza diretta di valori, di atteggiamenti, di credenze e di consuetudini di una particolare cultura che può essere utilizzata sia come guida che come contesto per la raccolta e la valutazione di tutti i dati di valutazione (Lopez, 2006; Okazaki & Tanaka-Matsumi, 2006; Ortiz, 2006).
Bibliografia
- AAIDD (2021), Schalock, R.L., Luckasson, R., Tassé M.J., Intellectual Disability: Definition, Diagnosis, Classification, and Systems of Supports, 12th Edition, AAIDD, Silver Spring.
- AAIDD (2010), Schalock, R.L., Borthwick-Duffy, S.A., Bradley, V.J., et al., Intellectual Disability Definition, Classification, and Systems of Supports, 11th Edition, AAIDD, Silver Spring.
- AERA, APA, & NCME (1999). The Standards for Educational and Psychological Testing. Washington: AERA Publications Sales.
- American Psychiatric Association (2022). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta edizione. Text Revision. DSM-5 TR. Tr.it. Raffaello Cortina, Milano, 2023
- Anderson, J. A., Mak, L., Keyvani Chahi, A. K., Bialystok, E. (2018). The language and social background questionnaire: assessing degree of bilingualism in a diverse population. Behav. Res. Methods, 50, 250–263. doi: 10.3758/s13428 017-0867-9
- Bracken, B.A., McCallum, R.S. (2016). Universal Nonverbal Intelligence Test, Second Edition - UNIT2. Lutz, FL:PAR.
- Brown, L., Sherbenou, R.J., Johnsen, S.K. (2010). Test of Nonverbal Intelligence Fourth Edition (TONI-4). San Antonio, TX: Pearson
- Harris, J. C. (2006). Intellectual disability: Understanding its development, causes, classification, evaluation, and treatment. Oxford University Press
- Hunt, E. (2011), Human Intelligence, Cambridge University Press
- Lopez, E. C. (2006). English language learners. In G. G. Bear & K. M. Minke (Eds.), Children’s needs III: Development, prevention, and intervention (pp. 647–659). Bethesda, MD: National Association of School Psychologists
- Okazaki, S., & Tanaka-Matsumi, J. (2006). Cultural considerations in cognitive–behavioral assessment. In P. A. Hays & G. Y. Iwamasa (Eds.), Culturally responsive cognitive-behavioral therapy: Assessment, practice, and supervision (pp. 247–266). Washington, DC: American Psychological Association.
- OMS (2019). Classificazione Internazionale delle malattie (ICD-11)
- Ortiz, S. O. (2006). Multicultural issues in working with children and families: Responsive intervention in the educational setting. In R. B. Menutti, A. Freeman, & R. W. Christner (Eds.), Cognitive behavioral interventions in educational settings: A handbook for practice (pp. 21–36). New York: Brunner-Routledge.
- Ortiz, S.O., Cehelyk, S.K., 2024. The Bilingual Is Not Two Monolinguals of Same Age: Normative Testing Implications for Multilinguals. Journal of Intelligence 12: 3. ttps://doi.org/10.3390/jintelligence12010003
- Royal College of Psychiatrists, 2001, DC-LD (Diagnostic Criteria for Psychiatric Disorders for Use with Adults with Learning Disabilities/Mental Retardation), Gaskel, London
- Schalock RL, Luckasson RA, Shogren KA, Borthwick-Duffy S, Bradley V, Buntinx WH, Coulter DL, Craig EM, Gomez SC, Lachapelle Y, Reeve A, Snell ME, Spreat S, Tassé MJ, Thompson JR, Verdugo MA, Wehmeyer ML, Yeager MH., The renaming of mental retardation: understanding the change to the term intellectual disability. Intellect Dev Disabil. 2007 Apr;45(2):116-24. doi: 10.1352/1934-9556(2007)45[116:TROMRU]2.0.CO;2. PMID: 17428134.
- Viglione, D. J., Giromini, L. (2020). Inventory of Problems–29: Professional Manual. Columbus, OH: IOP-Test LLC
- Yerkes, R. M. (Ed.) (1921). Psychological Examining in the U.S. Army: Memoirs of the National Academy of Sciences (Vol. 15). Washington DC: U.S. Government Printing Office.