Osservatorio Orientamento
Counseling con fiducia nel domani: scuotere gli apatici e guidare alla reflexibility
Counseling con fiducia nel domani: scuotere gli apatici e guidare alla reflexibility
Un maestro spirituale indiano disse che non è importante aggiungere anni alla propria vita, bensì vita ai propri anni. Nei turbolenti gorghi della crisi economica emerge, oggi più che mai, la necessità di sollecitare da subito una consapevolezza nuova.
La conferenza internazionale di fine giugno su Life Design & Career Counseling ha lasciato negli oltre 400 iscritti provenienti da tutte le parti del mondo, un forte invito ad avere fiducia nel futuro. Quella che gli addetti ai lavori americani, come il Prof. Mark Savickas, uno dei fari illuminanti dell’evento, chiamerebbero hope e che noi italiani saremmo tentati di tradurre solo con speranza, ma che in realtà è – in effetti – fiducia nel domani, consci che le certezze del recente passato non esistono più.
Il counseling si sta evolvendo perché la società è drammaticamente diversa rispetto a solo 5-10 anni fa. Oggi chi vuole svolgere questa professione con pienezza di ruolo e di senso, lo deve fare con lo spirito, l’approccio giusto; deve aiutare il cliente a fare luce nell’opacità di uno scenario che non dà più certezze e con il quale bisogna, giocoforza, confrontarsi.
In un mondo pieno di discriminazioni il forte appello del Prof. Salvatore Soresi, è stato rivolto al counselor affinché “agiti le acque”, non stia apatico ma si indigni, prenda posizione, giacché il vero contributo è lo shakeraggio delle coscienze, lo scompaginamento dei luoghi comuni, lo sradicamento dei pregiudizi – contro i quali Soresi combatte da sempre. L’inclusione porta all’accettazione dell’altro.
La vocational guidance di Soresi invita alla condivisione, secondo il principio che la speranza è insegnabile. Il professore ha proposto una seria riflessione sulle prospettive della professione alla luce della crisi odierna, possibile preludio alla catastrofe. Ebbene, nello spirito dell’indefesso, eterno stimolatore che scuote il conformismo, per Soresi “avremo un futuro solo se la smetteremo di essere neutrali”. Occorre coraggio; bisogna che il professionista eviti l’ipocrisia di comodo e prenda posizione. Serve, in realtà, osare nel cambiamento di prospettiva: il counselor deve anzitutto investire nella propria formazione continua, mettendo in pratica quello che è chiamato oggi a fare con i propri clienti. Deve provvedere all’elevazione del proprio set di competenze, perché il mondo richiede sempre maggiore multitasking. Ha il dovere morale di scuotere i rassegnati, magari a cominciare da se stesso. È chiamato ad instillare la fiducia nel futuro (hope), partendo dalla fiducia in se stesso, quindi, nel prossimo. E, infine, sostiene fermamente Soresi, il professionista deve provocare – anche coloro che (apparentemente) non sono (ancora, dichiaratamente) in difficoltà.
Accanto all’approccio soresiano il congresso ha lasciato poi il campo, tra gli altri relatori, alla prospettiva di Mark Savickas, il noto guru del life disign in Nord America. Savickas nel suo intervento conclusivo ha rilanciato i propri principi teorici in una chiave nuova, anzi rinnovata, ancorché rinfrescata. Ha esposto un manifesto nuovo: una sorta di “neo-umanesimo” per il counselor di oggi e domani, chiamato con forza a trascendere da un’impostazione di vocational guidance, riflesso della standardizzazione sociale del tramontato XX° secolo (le persone vanno aiutate ad adattarsi al contesto ambientale/organizzativo). Ora, con coraggio e consapevolezza, siamo chiamati a “de-standardizzare”. Siamo infatti in una nuova era, post-corporate. È bene che il professionista si renda conto prima possibile – questo il messaggio – di volere intraprendere un nuovo percorso, abbandonando l’istituzionalismo per dirigersi – di fretta – verso l’individuo e muoversi attorno ad esso.
Ansietà e (anche per Savickas) hope: l’uomo di oggi va aiutato a popolare il suo futuro di eventi. Il concetto di carriera come un percorso lineare è scomparso, osserva il grande professore americano. Adesso la carriera è portatrice di significati (meanings). E, come tale, richiede – anche qui Savickas gioca con il termine inglese – reflexibility, che potremmo tradurre come “capacità di riflettere su se stessi”.
È a questo punto che l’autore statunitense ha tracciato, netto, nettissimo, un solco: tra orientamento e counseling, focalizzandosi quest’ultimo sull’unicità dell’individuo. Il counseling, dice Savickas, consiste nel far donare una storia, “la tua storia”. Ed ecco che, con il corso della nostra vita reimpostato verso l’individualismo, il professore dell’Ohio indica le due macro-competenze che ci permettono di scrivere la nostra storia: adaptability e identity. La prima, ben cara a Savickas, è la capacità di adattarsi alle circostanze. Ad essa si aggiunge ora l’identity, che potremmo proporre di tradurre con un ulteriore rafforzativo: identità individuale , ossia la consapevolezza del proprio ruolo, unico, nell’ambito della proprie vicende narrate e da narrare. È qui che viene proposto un mutamento di paradigma dalla personalità, cristallizzazione di una società stabile e organizzata a livelli standard, all’identità individuale, frutto di un’ormai più irrinunciabile chiamata interiore. Chiarisce il grande autore americano: “In un mondo incerto, si tratta di costruire certezza all’interno di noi stessi”. Si tratta perciò di fare la propria biografia (doing biography).
Il tema della carriera, sotto questa angolatura, diviene ora una guida per il nostro stesso sviluppo interiore. È così che Savickas propone di curare la propria MCS, acronimo per My Career Story, cioè la “storia della mia carriera”. Per farlo è opportuno sviluppare la propria “biographicity” – e rieccoci con i giochetti di parole americani – che potremmo tradurre come la capacità di narrare la propria storia. Così life design, narrability, calling, volition, meaning sono tutti concetti che volgono alla medesima missione che ci attende qui e ora. Perché, dice Savickas, il successo nella carriera è fatto sull’apprendere e sul diventare (learning and becoming) anziché sulla tattica di decidere le mosse più argute per seguire un percorso che non si può più definire a priori, dal momento che il mondo attorno a noi è, irrimediabilmente, cambiato.
Savickas traccia chiari i passi di trasformazione del counselor. Il cliente, metabolizzata la necessità di migrare dalla prospettiva di individuare e fare una singola scelta di orientamento professionale verso lo sviluppo di carriera, va ora supportato nel proprio career management. Il professionista, in questo “neo-umanesimo” savickiano, deve dare indicazioni, consigliare, pianificare, fare da coach, educare, guidare. Al centro, il cliente-uomo, con il quale – ricorda a tutti Savickas tra il serio e il faceto – il colloquio è più importante della scheda cliente.
Si dice che finché c’è vita c’è speranza. Ma a ben guardare è forse ancor più vero l’esatto opposto. E per alimentare la vita, occorre lavorare sodo su noi stessi per il lungo termine: ecco perché life design.