QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

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numero 75 - marzo 2020

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Come pensiamo

Come pensiamo

come-pensiamo ok.jpg John Dewey
Come pensiamo
Raffaello Cortina, 2019
Pp. XXIV+277, Euro 24,00 

John Dewey è nato a metà dell’Ottocento nel Vermont ed è scomparso nel 1952 a New York: uomo dai mille interessi, con il suo pensiero ha esercitato un influsso notevolissimo non solo nell’area nordamericana ma a livello mondiale, imprimendo un nuovo impulso in diversi settori, primo fra tutti quello dell’education. È sorprendente l’attualità di Come pensiamo, un testo al quale il lettore potrebbe avvicinarsi con qualche perplessità o con l’aspettativa di trovarsi di fronte a un’analisi fortemente intellettuale nel senso di teorica e astratta, ma non è affatto così. Non solo sono sorprendenti le tematiche, ma lo è anche il modo, lo stile con cui sono esposte: uno stile chiarissimo, diretto, comprensibile ai non addetti ai lavori ma, nello stesso tempo, adatto a far ragionare approfonditamente i cultori della materia, i professionisti e gli studiosi.
Curato ed introdotto da un bel contributo di Chiara Bove, il testo si articola in tre parti che, in modo molto sintetico, fanno riferimento al significato del pensiero, agli aspetti (psico)logici dell’attività riflessiva, e a come educare le persone a pensare in modo intelligente.
La preoccupazione dell’autore prende le mosse da come funziona il sistema scolastico e, quindi, da come gli insegnanti si pongono rispetto alle materie, ai discenti e al senso del loro mestiere in generale. Ciò che interessa Dewey è quella forma di pensiero che egli denomina riflessivo, “quel tipo di pensiero che consiste nel ripiegarsi mentalmente su un soggetto e nel rivolgere a esso una seria e continuata considerazione” (p. 3). Declinando gli elementi del pensiero riflessivo il lettore si rende immediatamente conto del senso della ricerca, della caratterizzazione “scientifica” dell’orientamento di Dewey il quale, peraltro, dà grande ed importante spazio alla creatività: quindi, non solo pensiero logico-deduttivo, inferenziale o astratto, ma anche pensiero laterale, come diremmo noi oggi (e si potrebbe richiamare il concetto di intelligenze multiple sviluppatosi, non a caso, nel Nord America).
Ciò che rende possibile l’azione è il pensiero: con questo punto di riferimento, semplice ma ineludibile, l’autore lega le capacità mentali con il concreto agire, e da qui si dipartono numerose considerazioni sui difetti dell’istruzione (di allora e pienamente visibili ancora oggi). Interessanti ed attuali le distinzioni tra acquisire una informazione e saperla utilizzare dandole un significato; tra il memorizzare nozioni e l’essere spinti, attratti (cioè motivati) a capire; tra ciò che si nota nel soggetto al momento attuale e le sue potenzialità. Senza contare i molteplici riferimenti a concetti squisitamente psicologici, dalle attitudini mentali ai fattori inconsci.
Imparare significa imparare a pensare: con questa breve frase si può riassumere una buona parte del pensiero di Dewey, aggiungendovi la critica che egli fa al dogmatismo educativo, al considerare i formandi come recipienti da riempire, e al non distinguere l’informazione dalla conoscenza e dalla comprensione. Da ogni pagina traspare la fiducia che nutre l’autore nelle capacità naturali del giovane essere umano a pensare in modo significativo, andando spontaneamente alla scoperta con il gusto di scoprire e capire; e ciò per tutto l’arco della vita – un’anticipazione del nostro attuale concetto di lifelong learning –. Illustrando le cinque fasi del pensiero riflesso, Dewey critica ogni tipo di apprendimento meccanicistico che non produce altro che “uniformi modi esteriori di azione” (p. 84), così come l’apprendimento per imitazione che “non farebbe mai sorgere il pensiero; se potessimo imparare come i pappagalli, con il semplice copiare dall’esterno gli atti degli altri, non avremmo neppure bisogno di pensare” (p. 198).
Direi che questo volume di Dewey è un testo sulla formazione, sull’istruzione, sul ruolo dell’educatore e sul senso delle strutture educative (di ogni ordine, genere e grado, dalle scuole per l’infanzia ai master post-laurea e alle academy dei grandi gruppi internazionali). È un testo sul senso civico, sul “come fare” a formare persone che siano adulte e cittadini migliori, sviluppando, tra l’altro il senso di (e la gestione delle) responsabilità – su questo argomento c’è assolutamente da consultare il bel libro di Mario Vergani, Responsabilità (Raffaello Cortina, 2016) –. È una riflessione che aiuta a identificare le tante (purtroppo) modalità per mezzo delle quali la formazione, l’education in senso lato, non produce alcun risultato – si veda il mio libro Come, quando e perché la formazione non funziona. Cause e rimedi per una formazione utile e sostenibile (Franco Angeli, 2014) –. Inoltre è un testo sull’intelligenza umana, uno degli aspetti fondamentali che ci distingue dal mondo animale: e anche questo tema è qui trattato in modo attento, accurato, profondo, analitico, riflessivo, concretamente comprensibile e, pertanto, applicabile nei vari contesti.
Dewey, nella sua vita, ha pubblicato numerosi volumi di grande rilevanza, ma in italiano sono reperibili solo pochissimi testi tra i quali va segnalato Esperienza e educazione (Raffaello Cortina, 2014).