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Cognitive Warfare. Aspetti psicologici e uso dei social media
Cognitive Warfare. Aspetti psicologici e uso dei social media
Con il concetto di guerra cognitiva, Cognitive Warfare – termine introdotto dal generale dell’aeronautica statunitense David L. Goldfein nel 2017 (“We are transitioning from wars of attrition to wars of cognition!”) – si intende oggi l’insieme della guerra psicologica e della cyberwarfare, quindi di un genere di guerra definito ibrida. Un genere di guerra che è fortemente supportata dall’impiego dei social media.
Nel momento in cui si parla di voler esercitare un’azione di influenza su una determinata persona, popolazione, nazione, gruppo di riferimento o targettizzato, si intende mettere in atto processi di suggestione, condizionamento e persuasione che – attraverso i social media utilizzati allo scopo – possono condurre a vere e proprie rivoluzioni cognitive nella persona o nel sistema che ne è oggetto.
Lo scopo (o, almeno, uno degli scopi più evidenti) è quello di modificare, indebolire, minare, sgretolare, rivoluzionare punti di vista, idee, convinzioni, opinioni e atteggiamenti del soggetto-target, costruendo una sorta di realtà parallela e alternativa in base alla percezione della quale la persona finirà con il comportarsi in modo diverso da prima e/o con l’esprimere idee differenti da prima, indirizzate secondo il volere di chi ha posto in essere la campagna di comunicazione.
In realtà l’impatto che hanno i social media utilizzati nell’ottica di esercitare un’influenza sul pubblico-target va molto al di là degli aspetti cognitivi per come essi sono declinati nell’ambito della psicologia. Si può, infatti, affermare che i messaggi non si limitano a condizionare la sfera cognitiva – ad esempio i processi di attenzione, memorizzazione, valutazione e le funzioni superiori, in senso lato – ma, passando attraverso di essa, giungono a coinvolgere la persona intera, esercitando un’influenza sul mondo psichico interiore, quindi sulla realtà emotiva. Ciò può provocare, con una certa facilità, il cambiamento di atteggiamenti e di modi di vedere le realtà senza che il soggetto ne divenga pienamente consapevole, o rimanendo del tutto all’oscuro delle influenze ricevute e del loro effetto nel proprio sistema di pensiero e di emozioni.
Sarebbe riduttivo (anche in questo contesto specifico, come in molti altri) vedere l’essere umano come un semplice elaboratore di dati ed informazioni, come una sorta di sistema o canale S-R che reagisce sulla base di meccanismi semplici come la ripetizione e il rinforzo. Ciò che si verifica, oltre a quelle che potremmo definire, paradossalmente, la normale modificazione del modo di vedere il mondo e di attribuire significati agli eventi, scava più in profondità nell’animo umano, agganciandosi a vissuti soggettivi che, ad esempio, sono legati alle modalità di gestione dell’aggressività (propria ed altrui), alla categorizzazione buono/cattivo, amico/nemico, e alla visione-vissuto del conflitto.
Nel concetto di guerra cognitiva vi si trova molto di ciò che è stato già sperimentato ed applicato decenni addietro, ad esempio nell’ambito della struttura organizzativa da cui si è sviluppata la Central Intelligence Agency, cioè l’OSS, l’Office of Strategic Services statunitense. Infatti, all’inizio degli anni quaranta del Novecento, su iniziativa del generale William Donovan, fu edificato l’OSS al quale furono assegnati diversi compiti il più famoso dei quali è probabilmente la selezione degli agenti di spionaggio, dei sabotatori, degli informatori e degli esperti di propaganda da impiegare sui diversi fronti di guerra – sullo sviluppo delle metodologie psicologiche attivate negli Assessment Center dell’OSS, orientate a valutare basilarmente le qualità soggettive e ciò che poi sarà definito potenziale di sviluppo, vedi il mio libro Il capitale umano nelle organizzazioni. Metodologie di valutazione e sviluppo della prestazione e del potenziale (Hogrefe, Firenze, 2020).
Contestualmente allo sviluppo delle metodologie di scelta-formazione delle risorse umane ebbero un impulso notevole le cosiddette special operations, codificate in letteratura con la sigla Psy-Ops (che non hanno naturalmente nulla a che fare con la cosiddetta operazione militare speciale lanciata da Vladimir Putin) – vedi, ad esempio, i due volumi del pamphlet The Art and Science of Psychological Operations: Case Studies of Military Application (Headquarters Department of the Army, Washington DC, 1976). Tra le differenti dimensioni delle special/psychological operations, e nel contesto delle azioni di intelligence, un posto di primo piano ebbero le campagne di propaganda e di controinformazione, ed è proprio questa area di intervento che ci conduce molto vicino a ciò che si sta vivendo oggi, nel contesto della guerra di aggressione voluta da Putin contro l’Ucraina.
In realtà, uno dei nuclei più importanti della guerra cognitiva (per molti, il punto centrale) è proprio quello che ruota intorno alla propaganda e alla gestione delle informazioni, compresa naturalmente la disinformazione o, per meglio dire, il disordine informativo (information disorder), composto da tre elementi: la disinformazione propriamente detta (disinformation), la misinformation, cioè la condivisione e il riecheggiamento di informazioni non verificate (vedi le echo chambers e le bolle informative), e la mala-informazione che utilizza le fughe di notizie, la diffusione di informazioni segrete o codificate, e così via. In questo quadro va pure collocata, sullo sfondo, la cosiddetta infodemia, cioè la circolazione caotica di grandi blocchi di informazioni non controllate né razionalmente articolate che impediscono alla persona di formarsi un’idea logica e fondata su determinati argomenti che rimangono, quindi, preda di messaggi provenienti da fonti inaffidabili o impossibili da verificare.
Alcune delle tecniche che sono utilizzate nella guerra cognitiva trovano un riferimento al settore del marketing e dell’azione commerciale; qui si collocano, ad esempio, la ripetizione del messaggio, il volgere in chiave positiva il contenuto del messaggio, ma anche l’attualissimo orientamento verso il costruire una narrativa, cioè edificare una storia che sia accattivante e ben strutturata, naturalmente indirizzata verso un preciso scopo. Nel mondo delle aziende orientate al mercato le cosiddette narrative di successo sono già da tempo impiegate per suscitare interesse e orientamento all’acquisto nel potenziale cliente: da tale punto di vista è come se la platea-target fosse vista come un gruppo di consumatori verso cui è necessario modellare e indirizzare l’orientamento all’acquisto!
Una modalità diversa di influenzamento dell’uditorio reale o potenziale è quella del rispecchiamento – si propone lo stesso messaggio proposto dalla controparte, con una conclusione identica ma opposta nel senso e/o nel contenuto – e del ribaltamento, cioè si inverte completamente il messaggio emesso dall’avversario, agendo attraverso una sorta di meccanismo boomerang.
L’utilizzazione intelligente dei social media va naturalmente molto, molto al di là del solo impiego delle fake news e dell’utilizzazione di influencer; volendo determinare un effetto significativo sul pubblico-target, i social media dovrebbero essere visti non isolatamente bensì come un vero e proprio sistema. Un sistema assai potente perché in mani distruttive può condurre ad effetti rilevanti come la distruzione della credibilità di un soggetto o di un gruppo, l’incrinatura della reputazione di un movimento di opinione, l’indebolimento generale di attenzione, motivazione e interesse nel seguire determinati avvenimenti con, unitamente, il diverso direzionamento dell’attenzione, fino ad erodere del tutto certezze, principi, valori, ribaltando visioni del mondo che, altrimenti, sarebbero rimaste salde al loro posto. Da tale punto di vista si può ben dire che il sistema dei social media può essere impiegato come un vero e proprio acceleratore e amplificatore delle azioni di propaganda e dis-informazione.
È significativo ricordare una frase scritta da Sigmund Freud ormai più di un secolo fa nel suo saggio del 1915 “Considerazioni attuali sulla guerra e la morte” (OSF, Volume VIII. Torino: Boringhieri, 1976, p. 123): “presi nel vortice di questo tempo di guerra, privi di informazioni obiettive, senza la possibilità di considerare con distacco i grandi mutamenti che si sono compiuti o che si stanno compiendo, o di prevedere l’avvenire che sta maturando, noi stessi non riusciamo a renderci conto del vero significato delle impressioni che urgono su di noi, e del valore dei giudizi che siamo indotti a pronunciare. Anche la scienza ha perduto la sua serena imparzialità; i suoi servitori, esacerbati nel profondo, cercano di trar da essa armi per contribuire alla lotta contro il nemico. L’antropologo è indotto a dimostrare che l’avversario è un essere inferiore e degenerato; lo psichiatra a diagnosticare in lui perturbazioni spirituali e psichiche”.
Freud scriveva queste parole nel pieno del primo conflitto mondiale, una fase storica in cui sembrava che il mondo avesse perso del tutto i minimi parametri di riferimento della vita civile, aggiungendo che ciò che egli definiva attitudine alla civiltà rappresentava un orientamento spesso fragile; un orientamento, potremmo aggiungere noi, oggi, fin troppo poco curato, coltivato, educato e socializzato, non solo nei regimi autoritari e coercitivi, ma soprattutto nelle moderne democrazie. Non a caso è emersa l’idea della cosiddetta democrazia illiberale, cioè di un sistema caratterizzato da una sorta di falsa, parziale, artefatta democrazia, che pure può attrarre, e addirittura affascinare, più di una persona.
Tornando al tema dei social media come elemento costitutivo della guerra psicologica in grado di edificare una sorta di realtà parallela, se non di realtà aumentata, può essere utile notare che con la guerra Russia-Ucraina vi è stata necessità di richiamare la realtà di questa guerra, quasi a dire che non si trattava di un video-gioco, non era una guerra virtuale, non esisteva solo in rete, ma le persone morivano realmente. E dunque, ancora con le parole di Freud, “la morte non può più oggi esser rinnegata; siamo costretti a crederci. Gli uomini muoiono veramente; e non più uno alla volta, ma in gran numero…” (ibidem, p. 139).
In questo contesto, l’impatto specifico della cyberwarfare apparentemente non causa lesioni e distruzioni concrete ma, in realtà, attraverso il blocco dei sistemi informatici, la loro manomissione, le interferenze, gli attacchi hacker, l’invio di messaggi e istruzioni che danneggiano i software e che giungono a minare la sicurezza dei data center, possono essere provocati o innescati danni enormi, nel contesto della messa in crisi della sicurezza di intere nazioni.
È dal 2016 che il Cyberspace è stato individuato in ambito NATO come un’area specifica pur se trasversale, intangibile e ampiamente supportata da altri fattori costituenti come quello elettromagnetico, cioè una sorta di nuovo campo di battaglia, in cui possono essere coinvolti, contemporaneamente, e senza alcuna distinzione, soggetti militari e civili.
Una ulteriore caratteristica di questa nuova area di potenziale conflittualità, di questo ecosistema della manipolazione, sta nella grande difficoltà nel rintracciare le fonti da cui partono o riecheggiano gli attacchi informatici dato che l’utilizzo di un gran numero di server dislocati in diverse aree del mondo e adeguatamente protetti, con l’impiego parallelo di falsi IP, concede agli aggressori (almeno inizialmente) una sorta di invisibilità e, quindi, di invulnerabilità.
L’aggressività distruttiva usata contro gli obiettivi nemici si muove dunque dai terreni concreti a quelli virtuali con il supporto dell’intelligenza artificiale i cui sistemi consentono di mettere insieme, analizzare, decodificare grandi quantità di dati, ma anche apprendere da essi, trasformandoli in informazioni significative artatamente distorte e manipolate. In tal modo il monitoraggio dei dati e della rete in tempo reale e il circuito di auto-apprendimento consentono di indirizzare sui diversi bersagli di volta in volta messaggi adatti al fine di indirizzare le opinioni, le percezioni e quindi anche le emozioni associate.
Siamo dunque in presenza di una sorta di automazione della disinformazione, ben visibile nell’impiego dei botnet che, per mezzo di un accorto coordinamento dei diversi mezzi di influenza e social media, possono inondare la rete di… credibili falsificazioni.
I domini di riferimento in cui possono svilupparsi i conflitti dell’era contemporanea si sono dunque arricchiti di un nuova dimensione: oltre alla terra, al mare, all’aria e allo spazio, la dimensione cyber è entrata prepotentemente in gioco e non ne uscirà né facilmente né in tempi brevi, essendo ormai una parte costitutiva dell’approccio militare Multi-Domain (MD).
Come è stato detto, il nuovo campo di battaglia è la mente umana!