Osservatorio Talent
Coaching in azienda: una esperienza dal campo
Coaching in azienda: una esperienza dal campo
Il coaching consiste in un metodo di sviluppo dei singoli, dei gruppi e delle organizzazioni, basato sul riconoscimento, la valorizzazione e l’allenamento delle potenzialità per il raggiungimento di obiettivi definiti dal cliente (coachee) e con l’eventuale committente. Interessante approfondire il significato etimologico della parola: in inglese la parola coach indica sia cocchio, un mezzo per andare da un luogo a un altro, che allenatore/insegnante.
Il coaching integra i due concetti: è un mezzo per andare da un luogo a un altro, per raggiungere una condizione desiderata a partire da quella attuale, attraverso un percorso di allenamento.
Il coaching è oggi una metodologia particolarmente apprezzata per la personalizzazione in funzione delle esigenze del cliente e nell’ambito di specifiche aree per l’allargamento delle strategie comportamentali che il cliente può adottare una volta diventato consapevole di alcuni aree di sé.
Approfondiamo questa metodologia facendo alcune domande a Cecilia Achilli, consulente psicologa impegnata spesso in questa attività presso importanti realtà nazionali e internazionali.
D. Quando e come hai iniziato a fare la coach in azienda?
R. Ho iniziato specializzandomi nell’ambito dell’executive coaching nel 2008, frequentando un percorso annuale e sperimentando su di me un percorso di coaching individuale. Per cui sono circa 10 anni che svolgo attività di coaching sia individuale sia di gruppo, in contesti organizzativi complessi.
La scelta di formarmi in questa pratica è nata dall’esigenza di svolgere con maggiore efficacia e professionalità le attività di sviluppo. Nello specifico, mi riferisco agli incontri di feedback che completano i progetti di assessment finalizzati alla mappatura delle competenze e alla valutazione del potenziale. In questi incontri, infatti, l’obiettivo è di restituire le osservazioni valutative reperite in sede di assessment e supportare la persona nello sviluppare un piano di azione che le consenta di prendersi cura delle proprie aree gap. Sentivo di avere il bisogno di dotarmi di strumenti che mi consentissero di essere di supporto e stimolo per la persona, per cui individuai nella pratica del coaching questa opportunità. E così è stato, in effetti. La mia formazione in business coaching è stata, in primo luogo, un’esperienza personale, poiché ho vissuto su di me la possibilità di individuare spazi di espressione alternativi a quelli abituali, in cui poter raggiungere un obiettivo a cui tenevo. Questa esperienza, unitamente ad alcuni strumenti di lavoro, è ciò che mi ha consentito poi di impostare l’attività di feedback e più in generale tutte le attività di sviluppo professionale in una modalità diversa, costruttiva per la persona o il team coinvolti, in cui la mia presenza diventa da stimolo maieutico per poter accedere alle proprie risorse ed orientarle consapevolmente verso un risultato scelto.
Al termine della mia formazione sul coaching, completata con una certificazione internazionale, ho poi ricercato un approfondimento in termini sia teorici, di paradigmi di personalità, sia esperienziali, di analisi personale e supervisione professionale, affinché potessi acquisire maggiore consapevolezza delle mie linee di forza e potessi modificare alcuni schemi comportamentali abituali divenuti inefficaci. Ho scelto, quindi, di formarmi come counselor organizzativa in Analisi Transazionale. Un percorso triennale, molto impegnativo come studio e come analisi personale, di cui sono molto soddisfatta, poiché mi ha completata professionalmente, potendo oggi scegliere di proporre ai miei clienti livelli diversi di intervento, in base ai bisogni espressi. L’Analisi Transazionale applicata alle organizzazioni è sicuramente un approccio molto potente per supportare il manager a superare momenti di impasse ed individuare nuove opzioni comportamentali, sprigionando le proprie potenzialità e riconoscendo le proprie linee di forza.
D. Quali sono le esigenze/bisogni, sulla base della tua esperienza, per cui un manager o un top manager chiede o viene coinvolto in azienda in un percorso di coaching?
R. Nella mia esperienza professionale ho verificato con soddisfazione come, in un contesto organizzativo, si possano utilizzare metodologie finalizzate a sensibilizzare le persone nel riconoscere quali siano le loro abitudini relazionali, quali funzionino meno e quali possibilità ciascuno possa mettere in atto, a partire dalla propria consapevolezza.
Ritengo l’executive coaching una potente pratica di sviluppo personale/di team, che consente di offrire un supporto a richieste di intervento su criticità in vari ambiti propri di un manager: leadership, gestione del collaboratore e del team, gestione delle relazioni e dei conflitti, motivazione ed ingaggio dei collaboratori, intelligenza emotiva ed intelligenza sociale.
Ad un livello intermedio di managerialità, le aree sulle quali si richiede l’intervento del coach (business coaching) possono essere meno strategiche e più realizzative, comunque altrettanto importanti, quali: lo sviluppo di alcune skills (ad esempio commerciali, di comunicazione efficace, di gestione del tempo e dello stress ecc.).
In sintesi, i processi di coaching permettono ai clienti (singoli professionisti) o ai sistemi di clienti (team, funzioni ecc.) di sviluppare consapevolezza, opzioni e capacità di gestione dei problemi e dello sviluppo professionale nella vita quotidiana, attraverso il potenziamento delle loro forze e risorse.
D. Come gestisci il delicato rapporto tra gli obiettivi del manager e l’altro eventuale committente aziendale?
R. Interpreto sia l’attività di coaching che di counseling organizzativo come attività professionali all’interno di una relazione contrattuale.
Il contenuto del coaching parte da una richiesta, personale o dell’organizzazione, che va compresa e resa concreta per poter essere trasformata in una sorta di “contratto psicologico”, ovvero di impegno bilaterale (tra coach e coachee) o trilaterale (committente – coach – coachee), finalizzato ad un obiettivo chiaro ed esplicito.
Concretamente, il contratto relativo agli interventi di coaching all’interno di un’organizzazione è duplice:
- contratto di consulenza: è l’accordo tra cliente-azienda e coach sulle aree di intervento (competenze da valorizzare, aspetti manageriali da potenziare, accompagnamento al ruolo, schemi ripetitivi che alimentano conflitti ecc.), sul processo (step previsti e relativi obiettivi: di apprendimento, di approfondimento relazionale e comportamentali) e, genericamente, sulle metodologie utilizzabili. È in questa sede che sarà importante distinguere l’interesse del committente per finalità di impatto organizzativo da attese poco realistiche. In quest’ultimo caso, il coach ha la responsabilità di riconoscerle e renderle esplicite, al fine di massimizzare la chiarezza di obiettivi e finalità dell’offerta di coaching.
- contratto psicologico, focalizzato sui processi di apprendimento, di problem solving, sulle dinamiche relazionali; sugli strumenti e metodi con cui si intende affrontare tali aree; sulle finalità che si possono raggiungere (ad es. lo sviluppo e l’espressione delle proprie potenzialità, l’efficacia del gruppo, la capacità di usare più opzioni, la possibilità di raggiungere l’autonomia dai condizionamenti); su quale aspetto del proprio ruolo professionale, delle relazioni professionali, o di altri temi il coachee intende focalizzarsi, mantenendo ben esplicite le aree di finalità dell’intervento concordate con il committente (ad es. leadership, gestione del cliente, gestione del feedback con i collaboratori ecc.).
Gestisco la complessità dei due livelli contrattuali attraverso 4 step:
- fase preliminare, quella dell’affidamento dell’incarico (contatto committente-coach)
- primo incontro: committente-coach
- secondo incontro: committente-coach-coachee
- fase di avvio del percorso di coaching: coach-coachee.
D. Quali sono le attenzioni chiave perché il percorso di coaching sia efficace?
R. Per me è il considerare il percorso di coaching come una competenza relazionale, co-creativa e generativa.
È relazionale poiché avviene in una relazione a due (coach-coachee), che prevede un momento iniziale, uno intermedio, uno finale di relazioni a tre/quattro (committente-coach-coachee-capo del coachee).
È co-creativa poiché sarà la relazione stessa, con la conduzione del coach, a stimolare l’individuazione di nuove opzioni, da parte del coachee nel qui-e-ora dello scambio.
È generativa poiché si avvale del metodo maieutico, ossia di un paradigma dialogico basato su una serie di domande, finalizzate ad attivare nel coachee una riflessione su abitudini, contraddizioni, convinzioni infondate, pre-giudizi, al fine di individuare nuove possibilità e valori profondi ai quali far riferimento per allargare le proprie possibilità di efficacia.