L'intervista
Cesare Cornoldi
Cesare Cornoldi
Cesare Cornoldi è stato Professore ordinario di Psicologia dell’apprendimento e della memoria presso la Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Padova, ed è senza dubbio uno dei protagonisti della storia della psicologia italiana. Recentemente ha segnato un nuovo punto di svolta nella sua lunga carriera, concludendo il suo percorso universitario. Ha celebrato l’evento pubblicando un volume “Attraverso cinquant’anni di psicologia italiana” (Erickson) in cui condivide eventi, ricerche, intuizioni e aneddoti che hanno caratterizzato e dato forma al suo percorso professionale.
D. Professor Cornoldi, quali sono secondo lei i momenti più emblematici della sua lunga carriera?
R. Dal punto di vista della mia carriera scientifica ci sono sicuramente alcuni momenti particolarmente significativi che hanno coinciso con l’avvio di una nuova linea di ricerca che si è aggiunta (mai sostituita del tutto) alle linee preesistenti. È del 1972 l’impegno per introdurre nella comunità scientifica italiana i nuovi modelli cognitivisti, che mi ha visto coinvolto inizialmente soprattutto nello studio della memoria e delle immagini mentali. Nel 1977 ho cominciato ad applicare questi modelli agli apprendimenti scolastici e ai disturbi correlati e ho incontrato la necessità di produrre strumenti di assessment, prima utilizzati nella ricerca e poi anche nella pratica psicopedagogica e clinica. Il coinvolgimento di operatori mi ha portato a costituire un gruppo, il Gruppo MT, con cui poi abbiamo condiviso moltissime esperienze. Fra i temi successivi che mi hanno impegnato in modo particolare citerei la metacognizione (a partire dal 1990 circa) e l’intelligenza (a partire dal 2000 circa).
D. In oltre cinquant’anni di lavoro ha avuto la fortuna di incontrare e collaborare con alcuni dei più celebri psicologi italiani e stranieri. Chi non è riuscito ad incontrare, ma avrebbe voluto conoscere?
R. Ho avuto contatti soprattutto con i paesi occidentali e quindi non ho mai avuto la possibilità di interfacciarmi con i paesi dell’Est (e in primo luogo con i grandi maestri russi) e dell’Asia.
D. Ha vissuto in prima persona la nascita e il cambiamento della figura dello psicologo: da quando eravate poche centinaia ad oggi, in cui sembra che di psicologi ce ne siano fin troppi. Ci sono stati secondo lei dei cambiamenti in merito alla percezione dello psicologo da parte della gente?
R. Quando ho cominciato a occuparmi di Psicologia eravamo così pochi che probabilmente la gente non aveva nessuna idea dello psicologo, poi ci siamo moltiplicati e la gente ha cominciato a conoscerci, ma anche a diffidare di noi. Oggi mi pare ci sia un atteggiamento più informato e realistico.
D. Attraverso lezioni universitarie, corsi, master e scuole di specializzazione ha formato e avviato alla professione migliaia di giovani psicologi. Al di là di conoscenze e competenze specifiche, quali sono gli insegnamenti che ha voluto trasferire loro?
R. Per me la passione e l’interesse sincero costituiscono la chiave fondamentale del lavoro psicologico, da cui discendono la serietà dell’impegno e la capacità di sopportare frustrazioni e incomprensioni. Per la mia particolare impostazione sono inoltre risultati importanti due aspetti della ricerca e della pratica psicologica non sempre facili da coniugare: supporto empirico (per cui si porta avanti un lavoro solo se c’è evidenza empirica che lo sostiene) e rilevanza (per cui tale lavoro deve portare un contributo significativo).
D. Lei è stato uno dei primi a fare ricerca sul tema dei Disturbi Specifici dell’Apprendimenti, quando ancora la definizione di DSA non esisteva. Come si è passati secondo lei in un trentennio dal non conoscere nemmeno l’esistenza della problematica, al grande interesse che ora il tema suscita nei contesti più disparati?
R. È in effetti curioso che di questi problemi in ambito psicologico poco si parlasse (qualcosa, ma poco di più, in ambito della pedagogia speciale). Ma la scarsa conoscenza riguardava altri disturbi del neurosviluppo, come per esempio ADHD e autismo. Credo che il cambiamento sia avvenuto in relazione ad un concorso di cause, fra cui la progressiva specializzazione della Psicologia, l’applicazione dei modelli cognitivi all’apprendimento, lo sviluppo delle neuroscienze.
D. Avendo preso parte alla storia della psicologia degli ultimi cinquant’anni, quali pensa possano essere le nuove frontiere che interesseranno questo campo nel prossimo futuro?
R. Mi è difficile anticipare queste nuove frontiere. Sicuramente mi aspetto passi avanti significativi da modelli di intervento integrati (che non si basino su una singola modalità di lavoro), dalle ampie ricerche longitudinali a lungo termine, dalle neuroscienze.
D. Alla luce di una carriera lunga e ricca di successi e soddisfazioni, viene spontaneo chiedersi se ha qualche rimpianto.
R. Operare nella più grande sede universitaria di Psicologia d’Italia e forse anche d’Europa (titolo che probabilmente Padova ha condiviso con Roma, Madrid, Parigi e Londra) mi ha fornito il privilegio di condividere stimoli e scambi con molti colleghi di grande valore, ma sicuramente mi ha limitato nello spazio di manovra e nella capacità di valorizzare giovani validissimi che poi hanno dovuto cercare spazio altrove.
D. Quali sono i sui progetti per il futuro?
R. Ci sono ancora alcuni progetti che devono essere conclusi e questo richiederà qualche anno. Abbiamo poi il nostro Servizio sui Disturbi dell’apprendimento, di cui sono rimasto Direttore, che è tuttora attivo. Ma certamente avrò più spazio per la mia vita privata e per la famiglia.