Recensioni
Kleines praxishandbuch coaching / Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo
Kleines praxishandbuch coaching / Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo
Harald Pühl, Katrin Thorun-Brennan
Kleines praxishandbuch coaching
Psychosozial-Verlag, 2023, Pp. 160
€ 22,90
Il titolo di questo lavoro a firma di Harald Pühl e Katrin Thorun-Brennan – Piccolo manuale pratico sul coaching – non rende pienamente il senso dell’opera che, al contrario delle attese innescate appunto dal titolo limitativo, si sviluppa in una dimensione di grande interesse sorretta da uno stile che è al contempo semplice, lineare e sintetico.
Il testo è sostenuto da una bibliografia non ampia ma specifica e selezionata, e al di là di voler dare al lettore uno sguardo complessivo sulle molteplici facce del coaching, indica gli elementi essenziali di questa pratica professionale, a mio avviso da sempre (cioè fin da quando si è andata delineando) necessariamente basata su una miscela feconda di professionalità e scientificità: lo Scientist-Practitioner Model (detto anche Boulder Model), ideato a valle del secondo conflitto mondiale in ambito clinico e come supporto alla formazione, e sviluppato in specie dal noto psicologo statunitense David Shakow (1901-1981). Un modello che è poi traslato in altri ambiti della psicologia delineando la figura dello psicologo scientist practitioner, soprattutto nella sua dimensione consulenziale e/o libero professionale.
Tornando al testo di Harald Pühl e Katrin Thorun-Brennan – di cui si apprezza la struttura e la suddivisione in capitoli che possono essere consultati in modo verticale con una lettura rapida e trasversale – sarebbe superficiale dire che esso sia rivolto ai principianti perché pure i più esperti professionisti possono trovare utile tornare, di quando in quando, ai basic delle loro discipline.
Infatti, in queste pagine sono tratteggiate (torniamo al criterio della scrittura concisa) non solo le tecniche, ma anche gli approcci, i modi di vedere e di riflettere sulla pratica, le derivazioni di genere teorico o, comunque, più ampio che sono utili non solo al coach-psicologo, ma anche a coloro che svolgono attività di sviluppo del capitale umano, non appartenendo all’area Psy. Da questo punto di vista le pagine di Kleines Praxishandbuch Coaching mi hanno fatto tornare in mente quelle di Coaching für Manager di Wolfgang Looss, un libro del 1991 che l’editore Franco Angeli ebbe la lungimiranza di tradurre in italiano poco dopo la sua uscita in tedesco. In entrambi i casi, le idee esposte aprono al lettore un panorama che va oltre il coaching, certamente oltre la sua semplice e troppe volte semplicistica pratica, costituendo un punto di riferimento per chiunque sia interessato a sviluppare conoscenze e competenze al fine di supportare lo sviluppo umano e professionale di coloro che svolgono attività professionali in organizzazioni complesse.
Il testo, dunque, si apre con una Introduzione e fin dalle prime parole si comprende che gli autori desiderano trasmettere la propria esperienza professionale (unendo cuore e mente, come recita il primo capitolo), tratteggiando subito l’aspetto essenziale di qualunque relazione di aiuto (vedi i lavori di Edgar Schein), cioè la relazione tra professionista e cliente. Questa dialettica tra ciò che si fa e ciò che si sente nel proprio animo – vedi i paragrafi Navigare intuitivamente e Il silenzio e la quiete come risorsa – si concretizza nelle numerosissime vignette, cioè nei casi di studio che forniscono al lettore l’aspetto applicativo di ciò che si illustra. Si parla, così, delle tecniche di ascolto e di domanda, della definizione dei piani di azione in vista del miglioramento di specifici aspetti di sé e sulla base degli scopi che si devono raggiungere, integrati da indicazioni volte a aiutare il soggetto a riflettere su sé stesso. Senza trascurare che “il coaching nei contesti di lavoro è definito, tra l’altro, dal cosiddetto contratto triangolare” (p. 39), quindi dall’attenzione nel relazionarsi con il cliente e con il committente.
Passo dopo passo si giunge al capitolo sulle fasi del processo di coaching e alle considerazioni sulle nuove realtà di lavoro, a cui segue la domanda: cosa significa tutto ciò per chi svolge il ruolo di coach?
Alle tecniche e alle strategie di intervento, come si è detto, sono affidate diverse pagine, sempre accompagnate da riflessioni sul senso che l’applicazione di una tecnica può avere sia per il coach, sia per il coachee: in fondo, si tratta di sviluppare consapevolezza (un tema centrale, a mio avviso, dell’autentico coaching psicologico!). Un processo che è bene che prosegua in parallelo nel professionista e nel cliente: altrimenti si aprono i rischi, i dilemmi, gli impasse, il girare a vuoto…
Un processo che deve essere supportato da conoscenze specifiche e, infatti, gli autori richiamano alcune teorie, soprattutto la psicologia umanistica e il modello dell’intelligenza emotiva, cercando anche di contribuire all’annosa questione di se, come e quanto il coaching (psicologico-organizzativo, aggiungerei) si differenzi dalla psicoterapia.
Il libro si centra giustamente sul coaching individuale, tralasciando le dimensioni del team coaching e del group coaching – argomento a cui Harald Pühl (insieme a Klaus Obermeyer) ha dedicato un testo specifico – ma un’indicazione importante sta nell’avvertire il coach che deve rimanere aperto a suggerire al suo cliente altre e diverse strade, nel momento in cui si rendesse conto che il coaching individuale non riesce ad aiutarlo oltre un limite.
Pühl e Thorun-Brennan insistono sulle competenze del coach, ad esempio, nel mantenere ciò che si potrebbe definire il giusto equilibrio tra l’essere neutrali e la necessità di fornire consiglio, supporto, indicazione, fiducia e quant’altro – ma ciò (aggiungo) varia molto in relazione alle impostazioni teoriche del coach.
Rimangono certamente centrali capacità come l’empatia e l’atteggiamento non giudicante (curiosamente, due capacità di base per la totalità delle impostazioni di psicoterapia!). E nell’ultimo capitolo, Intervision und Netzwerk dedicato alla intervisione, gli autori auspicano che il coach porti avanti un lavoro di rete e di super/intervisione, in modo tale da potersi sempre confrontare con i colleghi soprattutto nei passaggi più complessi del percorso.
Infine, una parola sugli autori, entrambi di Berlino. Harald Pühl, direttore dell’Istituto Triangel ed esperto coach, ha pubblicato numerosi testi e insegna in diverse università tedesche e austriache, negli ambiti della supervisione, consulenza organizzativa e mediazione, tra Berlino e Amburgo.
Katrin Thorun-Brennan, psicologa freelance, è impegnata presso il Triangel Institute di Berlino e Amburgo occupandosi di formazione, supervisione e coaching.
Vittorio Lingiardi
Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo
Giulio Einaudi, 2021, Pp. 144
€ 12,00
Ancora una volta Vittorio Lingiardi sorprende il lettore con una riflessione netta e limpida su una tematica che è allo stesso tempo classica e di attualità. Il tema, in questo caso, è il narcisismo, e il libro che compare nella collana Vele di Einaudi, segue Diagnosi e destino (2018), una profonda riflessione sulla diagnosi e sull’essere diagnosticati, sul senso della stessa e sugli infiniti modi in cui la (psico)diagnosi è formulata ed è recepita dal cliente-paziente (v. la mia recensione a questo libro di Lingiardi pubblicata nella rivista Psicoterapia e Scienze Umane, vol. 53, n. 1, 2019, pp. 185-186).
Il grande mare del narcisismo, trattato da poeti, romanzieri, registi, sociologi e psicologi, e persino dai consulenti di management organizzativo e dagli psicologi del lavoro – i quali hanno da tempo riscontrato le personalità narcisistiche (o i tratti di narcisismo) che sono alla base di numerosi (e disastrosi) stili di leadership – emerge in queste pagine sotto ottiche diverse e in dimensioni inaspettate. Non solo i contenuti di questo agile volume sono ben trattati, snelli nella loro formulazione e precisi nell’indicare le diverse fisionomie del fenomeno; anche la stessa struttura del testo si presenta, nella sua apparente schematicità, utile e innovativa.
Ecco, così, la prima sezione del libro dal titolo Il caso mitico, alla quale segue la seconda e finale sezione (molto ampia) intitolata Il caso clinico.
Con queste due aree si copre, in sostanza, tutto lo spettro della fenomenologia narcisistica, dagli antichi miti ai nostri giorni – giorni che sono collocati nel pieno della società e della cultura del narcisismo, come insegna Christopher Lasch con il suo intramontabile – e da rileggere, assolutamente! – La cultura del narcisismo (pubblicato nel 1979; traduzione italiana Bompiani, Milano, 1981), un libro che ha fatto epoca e in cui si leggono brani come i seguenti: “in una cultura al tramonto, il narcisismo sembra incarnare – sotto le spoglie della ‘crescita’ personale e della ‘consapevolezza’ – la più alta conquista dell’illuminismo spirituale” (p. 261).
Del resto, sottolinea Lingiardi, “il narcisismo ci costringe a fare i conti con domande a cui non vorremmo rispondere: valgo qualcosa? Quanto conta per me il giudizio degli altri? Ho bisogno di sentirmi importante? Sono molto invidioso? Uso gli altri per i miei scopi?” (p. XIV).
Lingiardi tratta la materia con uno sguardo colto e molto ampio, non limitandosi agli aspetti della psicopatologia narcisistica ma affrontando il tema inserito nel contesto delle arti, delle leggende, delle storie e dei personaggi (persone, maschere) che hanno inciso, ed incidono, sulle nostre vite. Così non poteva mancare il riferimento a Donald Trump, una sorta di caso clinico su cui molto è stato già scritto – si veda, ad esempio, il testo del 2017 dello psichiatra Allen Frances, Il crepuscolo di una nazione. L'America di Trump all'esame di uno psichiatra (Bollati Boringhieri, Torino, 2018). Ma il narcisismo ha diversi volti, non solo quello onnipotente, arrogante e minaccioso di Trump (per alcuni, assai vicino alla psicopatia): ecco, quindi, emergere la fisionomia del narcisista fragile, cioè il soggetto che copre il proprio narcisismo con un modo di fare sottile e lieve, rimanendo per così dire in attesa che il mondo riconosca il suo enorme spessore. Tecnicamente detto dallo psicoanalista britannico Herbert Alexander Rosenfeld, nel lontano 1987, narcisismo covert, a pelle sottile, è da contrapporre al soggetto a pelle spessa che espone il proprio narcisismo in modo aperto, eclatante e vittorioso (overt). Tipologie, tra molto altro, ben descritte nel testo di Rosenfeld Comunicazione e Interpretazione (Bollati Boringhieri, Torino, 1989). Ma esistono, come Lingiardi sottolinea, anche altre forme di narcisismo, meno impattanti e meno patologiche, come quelle ad alto funzionamento, fino a giungere alle numerose modalità in cui può essere vissuto il narcisismo sano che caratterizza la persona normale che ha cura di sé stessa, possiede un livello di autostima equilibrato e ben dimensionato rispetto alla realtà, conosce il proprio valore (insieme ai propri difetti) e sa godere delle proprie realizzazioni – ma tiene presente anche gli insuccessi!
In sostanza, un essere vivente che riesce a vivere la vita e i rapporti interpersonali con una sufficiente serenità e reciprocità.
In effetti, la figura del sano narcisista tende a coincidere con quella di personalità normale, ma va tenuto presente che in questo campo – come in quasi tutte le aree della vita – non si può procedere in senso dicotomico, bianco-nero, bensì considerare tutte le mille sfumature. I concetti di continuum e di dimensione, di sfera e di approssimazione ben segnalano questo aspetto. Ciò non toglie che anche per Lingiardi – psichiatra, psicoanalista e accademico italiano, professore ordinario di Psicologia Dinamica presso la facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza – “i pazienti con disturbo di personalità sono tra i più impegnativi da seguire in psicoterapia” (p. 77), ed è per questo che coloro che si accingono a un così arduo compito devono essere ben attrezzati, anche andando oltre i classici (e deleteri) steccati che dividono le diverse scuole di psicoterapia.
Dunque, navigare tra gli arcipelaghi dei narcisismi è cosa per pochi, dato che vi si può rimanere molto facilmente impigliati e incastrati – un po’ come accadeva ai primi analisti che, con espressione poetica (ma con danni assai reali!) si bruciarono al fuoco dell’inconscio.
Il problema ulteriore è che un danno che accade al terapeuta è pressoché sempre anche un danno che si verifica nel paziente… Quindi emerge il tema della responsabilità etica e professionale per la quale – tra le molte altre cose – è richiesto allo psicoterapeuta l’esercizio di una sana autocritica e di un’altrettanta sana formazione continua.
Tornando al testo, credo che sia da sottolineare la modestia e il senso del limite delle parole dell’autore, ad esempio quando scrive, introducendo il paragrafo Come si diventa narcisisti? “Nessuno sa rispondere alla domanda: come diventiamo quelli che siamo?” (p. 100). E su questo punto credo che valga la pena chiudere queste note.