Recensioni
Atlante delle emozioni umane / Lettere 1907-1925. Edizione integrale
Atlante delle emozioni umane / Lettere 1907-1925. Edizione integrale
Tiffany Watt Smith
Atlante delle emozioni umane
Biblioteca UTET, 2024, Pp. 373
€ 18,00
Non vi è dubbio che un “atlante” dell’umana emozione sia, oggi, quanto mai utile e opportuno.
In un tempo in cui molti giovani a stento riescono ad articolare un discorso logico e comprensibile, in cui vi è il fenomeno dell’analfabetismo di ritorno (causato, tra l’altro, dall’utilizzo smodato dei device tecnologici con il loro lessico speciale), in cui nel mondo del lavoro si parla per sigle, slogan, power point, micro-messaggistica e emoticon, tornare a parlare delle emozioni, vedere le emozioni e il loro articolarsi scritto su carta, ha il merito di risvegliare nell’animo dei meno assonnati e appiattiti un moto di vitalità autentica.
Si ha davvero bisogno di ri-apprendere a parlare (anche) il linguaggio delle emozioni. Del resto, basterebbe pensare a quanti soggetti asettici, freddi e, al limite, alessitimici popolano il mondo del lavoro, e a quanti disastri la mancanza delle parole per dirlo provoca tra le persone di tutte le età. È stato scritto che spesso i giovani che diventano bulli, che perseguitano i compagni, che assaltano le compagne mettono in pratica, cioè, fanno, ciò che a parole non riescono a dire. Non hanno le parole. E, come ha recentemente ribadito Umberto Galimberti in una delle sue conferenze, chi non ha le parole non può avere nemmeno i pensieri, non riesce a pensare e quindi, di nuovo, agisce invece di riflettere, e agisce in una realtà emotivamente deprivata.
Dunque, aver raccolto e discorsivamente definito ben centocinquantasei emozioni, dalla A alla Z, corredando il testo di un poderoso apparato di Fonti e Approfondimenti, costituisce un prezioso dono che l’autrice, Tiffany Watt Smith, ha voluto fare alla comunità degli specialisti ma anche a tutte le persone in generale: infatti, lo stile discorsivo, l’aver richiamato elementi storici, culturali, antropologici, etimologici, artistici e filosofici, dona a questo libro il carattere di lettura globale e versatile, una lettura che può essere apprezzata dalle persone di cultura e da chi vuole avvicinarsi a questo mondo – che è, poi, il proprio mondo, il mondo più intimo che vi sia, la sfera emotiva!
Nella ricchezza del testo si possono notare i riferimenti che compaiono nella sezione finale, quella sopra citata delle fonti, in cui si leggono richiami alla filosofia e alla psicologia (Kierkegaard e Sigmund Freud, sono evocati per la voce Angoscia), alle produzioni cinematografiche (il Taxi Driver di Martin Scorsese per la voce Solitudine), all’alta politica (per il lemma Umiliazione è richiamato Abraham Lincoln), e con la voce Shock si scoprono i riferimenti a Shakespeare e a von Goethe. Ma ciò che coinvolge il lettore è l’analisi etimologica, puntuale ed intelligente di così tanti concetti, di così tante parole che, spesso, usiamo senza troppo pensare e senza nulla sapere: alla voce Delusione si legge, così, che “la parola inglese che esprime questa emozione rimanda a un appuntamento mancato (disappointment)” (p. 93), e introducendo la voce Nostalgia si scopre che “nel 1688 uno studente di medicina di nome Johannes Hofer scrisse un trattato su una misteriosa malattia divampata tra i soldati mercenari svizzeri che combattevano oltre i confini del loro paese… La malattia avanzava portandosi dietro letargia e tristezza, ‘frequenti sospiri’ e ‘sonno agitato’” (p. 203). Procedendo, si ha pure il piacere di scoprire parole nuove come, ad esempio, Abhiman, una emozione citata dai Veda, Ruinenlust, cioè “l’attrazione irresistibile che qualcuno prova nei confronti dei palazzi fatiscenti e dei luoghi abbandonati” (p. 251), o Żal, “la malinconia provocata da una perdita irreparabile” (p. 325). Si scoprono emozioni che hanno un loro nome soltanto in determinate culture, mentre colpisce la definizione assai sintetica della voce Dolce far niente: “il piacere di non fare niente” (p. 109).
Infine, una nota sull’autrice, Tiffany Watt Smith, di cui ricordiamo innanzi tutto un libro su un argomento inconsueto come è Schadenfreude. La gioia per le disgrazie altrui. Un lavoro che può ben integrarsi con ciò che è trattato in altri due testi: La vita segreta della mente.Come funziona il nostro cervello quando pensa, sente, decide,di Mariano Sigman, e Rumore, Un difetto del ragionamento umano di Daniel Kahneman, Olivier Sibony e Cass R. Sunstein (tutti editi da UTET).
Tiffany Watt Smithècomponente del comitato direttivo del Centre for the History of the Emotions, ed è docente presso la Queen Mary University di Londra. Nel 2014 è stata inclusa dalla BBC tra i New Generation Thinkers, e nel 2018 le è stato assegnato un importante premio per la ricerca scientifica, il Philip Leverhulme Prize.
Sigmund Freud, Karl Abraham
Lettere 1907-1925. Edizione integrale
Alpes Italia, 2024, pp. XIV+660
€ 44,00
Sono trascorsi molti anni da quando comparve la prima edizione in tedesco e in inglese del carteggio Freud-Abraham (1965), carteggio che nel 2002 l’editore Karnac tradusse, in seconda edizione, con il titolo The Complete Correspondence of Sigmund Freud and Karl Abraham. 1907 – 1925. Completed Edition (vedi la mia recensione in Rivista di psicoanalisi, 50, 1, pp. 272-277, 2004).
Ora, questa nuova edizione delle lettere, a cura di Mario Bottone, Riccardo Galiani e Francesca Napolitano, è condotta sull’edizione tedesca Briefwechsel 1907-1925. Vollständige Ausgabe, a cura di Ernst Falzeder e Ludger M. Hermanns (Turia+Kant, Vienna, 2009) e rappresenta un atto coraggioso da parte dell’editore Alpes, tenuto conto quanto poco interesse commerciale, generalmente, suscitano i carteggi, pur se tra personaggi illustri – vedi le lettere tra Sigmund e Anna Freud, mai tradotte in italiano: Sigmund Freud and Anna Freud Correspondence 1904 -1938, a cura di Ingeborg Meyer-Palmedo Cambridge (UK) & Malden, MA (USA), Polity Press, 2014 (ed. orig.: Sigmund Freud - Anna Freud Briefwechsel 1904-1938. Frankfurt am-Main: Fisher Verlag, 2006) – v. la mia segnalazione di questo libro in Psicoterapia e Scienze Umane, 2, 2015 (pp. 325-326).
Ma l’editore Alpes già annuncia la pubblicazione in italiano di altri tre importanti carteggi, quelli di Sigmund Freud con Eugen Bleuler, Otto Rank e Max Eitingon, il primo dei quali dovrebbe vedere la luce entro la fine del 2024.
Quando Karl Abraham morì il 25 dicembre 1925, aveva solo 48 anni. In quel giorno il Movimento psicoanalitico internazionale perse una delle sue persone più importanti: il presidente dell'Internationalale Vereinigung Psychoanalitische e della Berliner Psychoanalytische Vereinigung, uno dei suoi più preziosi analisti di training (tra i suoi allievi: Edward e James Glover, Karen Horney, Melanie Klein, Carl Müller-Braunschweig, Sándor Rado, Theodor Reik ed Ernst Simmel), un membro del Comitato Segreto, un appassionato esploratore delle prime fasi dello sviluppo psicosessuale e della formazione del carattere, un acuto clinico e un eccellente teorico, che ha saputo affrontare – tra i primi – il trattamento psicologico delle gravi psicopatologie depressive in virtù della sua esperienza psichiatrica istituzionale: infatti, Abraham (unico tra i primi analisti) ebbe l’opportunità di svolgere la sua attività presso la famosa clinica psichiatrica di Zurigo, il Burghölzli, ambiente nel quale lavorava Carl Gustav Jung.
Per molto tempo Karl Abraham è stato un autore poco conosciuto e poco citato al di là dei suoi due contributi più importanti sulla formazione del carattere e sulle prime fasi di sviluppo libidico; quasi del tutto ignorati i suoi contributi di psicoanalisi applicata al di fuori della clinica – il saggio sul pittore Giovanni Segantini, ad esempio, è eccellente – ed è spesso ricordato solo come analista di Melanie Klein e quindi come precursore di alcuni sviluppi del pensiero psicoanalitico, in particolare la teoria delle relazioni oggettuali. I contributi più importanti di Abraham sono collocati tra il 1916 e il 1924 – e queste lettere scambiate con Freud coprono gli anni che vanno dal 1907 al 1925 – soprattutto se si considera il suo lavoro come un ponte per numerose strade evolutive imboccate dalla clinica analitica: è dunque trascorso un secolo ma, nonostante questo, lo studio delle sue opere ed anche degli scritti minori (molti dei quali reperibili solo in tedesco) può ancora oggi sorprendere.
A mio avviso, nonostante il contributo pubblicato nel 1974 della figlia maggiore Hilda, anche lei psicoanalista – Mio padre Karl Abraham (Boringhieri, 1985), uscito in inglese sul primo numero della International Review of Psychoanalysis, pp. 17-72) – l’opera di Abraham aspetta ancora di essere elaborata a fondo, anche negli interessanti rapporti con i colleghi del tempo e, in specie, con Ferenczi, come ho evidenziato nel mio articolo “Note storiche sull’attività scientifica e organizzativa di Karl Abraham e Sándor Ferenczi” (Giornale Storico di Psicologia Dinamica, VII, 14, 71-87, 1983).
In queste lettere e altri documenti (oltre cinquecento) si possono seguire importanti dibattiti che ruotano intorno ai principali argomenti discussi in quel periodo (e non solo): tematiche scientifiche, come la metapsicologia; argomenti strettamente clinici; e considerazioni sull’evoluzione del movimento psicoanalitico, oltre a note, osservazioni e giudizi su singole persone.
Chi volesse procedere ad una lettura in parallelo con le lettere che Sigmund Freud scambiò con Sándor Ferenczi (l'enfant terrible della psicoanalisi) troverà molti spunti interessanti. Com’è noto, uno degli ultimi argomenti da loro trattati fu la questione dell’opportunità di offrire una consulenza al regista, sceneggiatore e produttore Georg Wilhelm Pabst da parte non solo di Abraham ma anche di Hanns Sachs (nel 1926 uscì il film I misteri dell’anima (Geheimnisse einer Seele): un argomento che produsse un vivace scambio di opinioni tra i due.
Su Abraham, in italiano, esistono ad oggi solo due saggi: Franco De Masi, Karl Abraham. Alle radici della teoria analitica (Armando, 2002) e Andrea Castiello d’Antonio, Karl Abraham e la psicoanalisi clinica (Bulzoni, 1981).