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numero 109 - marzo 2024

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Gli effetti dell’apprendimento musicale su cervello-corpo-mente: evidenze recenti dalla ricerca in psicologia e neuroscienze della musica

Gli effetti dell’apprendimento musicale su cervello-corpo-mente: evidenze recenti dalla ricerca in psicologia e neuroscienze della musica

La musica esiste da sempre ed ha accompagnato la nostra specie homo sapiens fin dai suoi albori 30.000-40.000 anni fa, e forse anche prima (Tuniz et al., 2012). Ascolto o produzione di musica segna sia la quotidianità che i momenti di crisi e di passaggio, da sempre in tutte le epoche e società umane. Questa pervasività della musica e la ricerca delle leggi fisiche ad essa sottese hanno caratterizzato il pensiero filosofico a partire da Pitagora, anche se con la produzione musicale sempre più articolata nel mondo occidentale si è cristallizzata una cultura musicale che ha reso la musica oggetto principale della riflessione umanistica più che dell’indagine scientifica. Questo stato di cose è mutato nei decenni finali del secolo scorso.

A partire dagli anni ‘80, grazie alle evidenze derivanti dagli studi sui pazienti cerebrolesi con deficit selettivi per specifiche capacità musicali a fronte di capacità percettive, cognitive, motorie e linguistiche non compromesse svolti soprattutto dalla neuropsicologa Isabelle Peretz (ad esempio, Peretz et al., 1997) e dei primi studi sulla localizzazione neurale della percezione musicale distinta dalla percezione linguistica svolti da neuroscienziati come Robert Zatorre (Zatorre et al., 1992) o Mireille Besson (Besson & Macar, 1987), si è venuta a formare una concezione della musica come facoltà cognitiva comune a tutti gli esseri umani e, dunque, passibile di indagine scientifica controllata (Brattico & Pearce, 2013; Peretz & Zatorre, 2003; Proverbio, 2019). 

Gli anni recenti hanno visto un accumulo esponenziale di studi nell’ambito della psicologia sperimentale e delle neuroscienze cognitive della musica sugli effetti dell’ascolto e della pratica musicale sul cervello, sul corpo e sul comportamento umano (Figura 1). Le tecnologie di neuroimmagine ed in particolare la risonanza magnetica funzionale o fMRI e la magnetoencefalografia o MEG (a partire dagli anni ‘90), i nuovi approcci sperimentali con paradigmi innovativi e la fusione interdisciplinare di vari ambiti di conoscenza hanno contribuito ad incrementare la credibilità del settore supportandone l’applicabilità in ambito clinico, sociale, scolastico e, più in generale, educativo. Non a caso, gli anni 2000 hanno visto la concessione di enormi finanziamenti per la fondazione di centri di eccellenza internazionali dedicati esclusivamente alla ricerca sulla musica: il primo in ordine di tempo è stato l’International Laboratory for Brain, Music and Sound Research BRAMS presso l’Università di Montreal in Canada, fondato da Isabelle Peretz e Robert Zatorre, il secondo è stato il Finnish Center for Interdisciplinary Music Research presso le università di Helsinki e Jyväskylä in Finlandia (Eerola, 2012), il terzo è il Center for Music in the Brain (MIB) presso l’Università di Aarhus in Danimarca, e da ultimo in ordine cronologico il Center for Interdisciplinary Studies in Rhythm, Time and Motion RITMO presso l’Università di Oslo in Norvegia.  

Le ricerche di psicologia sperimentale e neuroscienze cognitive svolte da tali centri e non solo hanno prodotto numerose evidenze su come l’ascolto e la pratica della musica siano esperienze estremamente arricchenti, pervasive, “coinvolgenti” (Brancatisano et al., 2020) in quanto in grado di coinvolgere simultaneamente diverse funzioni cerebrali: attenzione, apprendimento, memoria, emozione, analisi uditiva, pianificazione e aspettativa, o funzioni comportamentali e fisiologiche come risposte motorie, respirazione e frequenza cardiaca. 

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Fig. 1 - Bar chart che rappresenta la tendenza dal 1950 al 2023 del numero di paper accademici pubblicati contenenti come parole chiave «Music e Psychology», «Music Brain» e «Music Therapy».

Grazie a paradigmi naturalistici di ascolto continuo (non interrotto) di melodie musicali durante la registrazione del magnetoencefalogramma, si è scoperto che nel breve termine la musica, in quanto complessa architettura di proprietà formali che si sviluppano nel tempo, si costituisce come una forma di stimolazione arricchita proprio perché coinvolge più regioni cerebrali simultaneamente richiedendo al nostro cervello di attivare funzioni percettive, di codifica e categorizzazione (Bonetti et al., 2021; Quiroga-Martinez et al., 2019). 

I ricercatori si sono, inoltre, domandati cosa accada nel nostro cervello (e, di riflesso, nel nostro comportamento individuale, relazionale, sociale) quando ci si espone giornalmente per ore, mesi e anni, alla pratica di uno strumento musicale. Quando un musicista suona uno strumento musicale (o canta) recluta l’intero sistema corpo-mente-cervello: per produrre precisi “gesti musicali”, ovvero atti motori intenzionali che permettono di produrre un suono così come descritto dallo spartito musicale, il musicista deve coordinare gli arti, le dita o la bocca. Al fine di elaborare, valutare e regolare i suoni prodotti si attiva, in un ciclo di feedback, un complesso sistema di risposte uditive, somato-senso-motorie, interocettive e limbiche (ovvero relative al sistema emotivo). Zatorre e colleghi (Zatorre et al., 2007) hanno illustrato la considerevole interazione sensorimotoria tra i sistemi uditivi e motori: ciascun movimento è associato alla produzione di un suono; il sistema uditivo analizza il suono prodotto e fornisce un feedback che orienta e regola l'azione successiva al fine di produrre il suono desiderato. 

Una recente revisione della letteratura e meta-analisi su 84 studi di neuroimmagine evidenzia come l'esperienza di ascolto e pratica musicale costante nel corso degli anni nei musicisti produce neuroplasticità ovvero cambiamenti adattivi sia nella morfologia che nel funzionamento di diverse aree e circuiti cerebrali che sottostanno non solo a funzioni uditive, motorie ma anche cognitive, emotive e relazionali ovvero genera neuroplasticità (Criscuolo et al., 2022; Reybrouck et al., 2018b). Il concetto di neuroplasticità, emerso alla fine del XIX secolo dagli studi di Ramón y Cajal, ha ridefinito la nostra comprensione del cervello, inizialmente considerato immutabile. Le tecniche di neuroimmagine hanno dimostrato la dinamicità e la plasticità cerebrale, anche oltre l'infanzia, smentendo l'idea che la neuroplasticità fosse limitata agli anni giovanili. L'apprendimento musicale si costituisce come un'attività stimolante che a livello molecolare può attivare la neuroplasticità attraverso il rilascio di fattori neurotrofici come il Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF), coinvolto nella crescita e nella differenziazione neurale. Difatti, studi su animali e umani hanno evidenziato aumenti di BDNF correlati all'attività musicale, suggerendo un potenziale per migliorare la plasticità cerebrale anche negli adulti (Brattico et al., 2021). Sebbene siano necessari ulteriori studi per comprendere appieno la relazione tra attività musicali e neuroplasticità, è evidente che l'apprendimento musicale può modellare le funzioni cognitive e le basi cerebrali e corporee lungo tutto il ciclo di vita.

I cambiamenti cerebrali riscontrati nei musicisti rispetto ai musicisti sono, però, molto probabilmente modulati non solo dallo studio dello strumento musicale ma anche da altri fattori. In primis, sembra che l’entusiasmo e la motivazione a suonare e studiare lo strumento siano degli importanti mediatori dei cambiamenti anatomofisiologici sul cervello e delle modifiche anche nel comportamento. Uno studio su popolazione adulta di Fasano e colleghi (Fasano et al., 2020) ha dimostrato che il processo di apprendimento di una sonata per pianoforte di D. Scarlatti, durato due settimane, produce cambiamenti consistenti nelle aree cerebrali sensoriali (uditive e visive), nelle aree fronto-parietali, deputate all’osservazione dell’azione, e che questi sono particolarmente evidenti quando i musicisti riferivano livelli più elevati di entusiasmo e motivazione. Non solo, a questi cambiamenti si aggiungevano anche, nei musicisti più entusiasti dello studio, attività neurali nello striato, un’area che fa parte del circuito del piacere e della ricompensa.

Inoltre, Brattico e colleghi (Brattico et al., 2015) mettono in evidenza come la formazione musicale correli a cambiamenti nell’attività neurale all'interno del sistema limbico. La musica è in grado di suscitare emozioni tramite un vero e proprio processo empatico che coinvolge il sistema di osservazione dell’azione e il sistema limbico tramite l’insula: questo permette di interiorizzare gli atti intenzionali di un musicista e di comprenderne in maniera significativa la valenza e la natura espressiva ed emotiva (Juslin, 2013; Koelsch, 2014; Reybrouck et al., 2018a). Ricerche comportamentali confermano quanto evidenziato tramite studi di neuroimmagine: la pratica musicale favorisce lo sviluppo di competenze emotive, empatiche e di comportamenti prosociali; facilita la costruzione di relazioni interpersonali, lo sviluppo del senso di connessione sociale (Kirschner & Tomasello, 2010; Rabinowitch et al., 2013). Inoltre, un legame forte tra capacità empatiche e sensibilità al piacere musicale é stato stabilito di recente sia nei bambini in età scolare che negli adulti (Carraturo et al., 2022).

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Fig. 2 - Progetto MiddleMusic: somministrazione di test musicali in una Scuola Secondaria di I grado ad indirizzo musicale per valutare gli effetti del training musicale sulle funzioni cognitive, emotive, relazionali
 

Diversi sono anche gli studi che evidenziano il legame tra la pratica di uno strumento musicale e una migliore performance nei compiti legati alle funzioni esecutive (Jamey et al., 2023). Queste funzioni, essenziali sin dall'infanzia come predittori del successo scolastico e del benessere mentale, continuano a svilupparsi nell'adolescenza e possono essere potenziate attraverso determinate attività. La partecipazione attiva a corsi musicali richiede, di fatto, sia la capacità di focalizzare l'attenzione che quella di esercitare un controllo inibitorio per monitorare costantemente le proprie prestazioni (Fasano, M.C., Brattico, E., Siemens, I., Gargiulo, A., Kringelbach, M.L., Semeraro, C., Cassibba, R., 2022). L’acquisizione della competenza musicale in bambini sottoposti ad un apprendimento orchestrale è stata associata a una capacità più efficiente di controllo del comportamento e di regolazione delle risposte, misurate, prima e dopo due mesi di pratica orchestrale, da un test di perforance per la funzione esecutiva del controllo inibitorio (Test delle Ranette) e da questionari sull’impulsivitá (Fasano et al., 2019). Inoltre, sono stati trovati vantaggi nelle capacità cognitive generali misurate con le matrici di Raven e con un test computerizzato di memoria di lavoro visuo-spaziale (Jack&Jill) in ragazzini delle scuole secondarie di I grado musicali che imparavano a suonare uno strumento nel corso dei tre anni di scuola rispetto ai ragazzini che seguivano il curriculum standard (Lippolis et al., 2022; Figura 2). Nonostante esista un ampio consenso nella comunità scientifica riguardo al potenziale della musica nel favorire la neuroplasticità, è importante sottolineare che alcuni studiosi sollevano interrogativi circa il reale effetto neuroplastico della musica. A questo proposito, servono più trials controllati randomizzati con un gruppo di controllo attivo che permetterebbe di confrontare gli effetti dell’apprendimento musicale con l’esercizio legato ad altre attività come lo sport (Brattico et al., 2021).

Pertanto, è possibile affermare che la formazione musicale può portare a benefici solidi e duraturi sul comportamento e non solo, contribuendo a promuovere così un benessere complessivo grazie alla sua capacità di influenzare in modo significativo le reti cerebrali coinvolte in una varietà di processi uditivi e non uditivi. Quindi, riprendendo il pensiero del filosofo greco Aristotele secondo il quale la musica è elemento fondamentale della παιδεία (paideia), ovvero dell’educazione intesa in senso ampio ed integrale, che comprendesse l’istruzione formale e lo sviluppo di virtù intellettuali e morali, si può concludere sulla base delle evidenze più recenti che l’apprendimento musicale, sia nella componente di ascolto che di produzione, rappresenta un modo per crescere, prosperare e contribuire in modo costruttivo a sé stessi e al proprio significato, nel proprio mondo e nella vita degli altri. 

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