Osservatorio Talent
Brainbow. Migliora la tua vita con i colori della mente
Brainbow. Migliora la tua vita con i colori della mente
Siamo l’insieme di scelte, di schemi e apprendimento
Lasagne al ragù o parmigiana di melanzane? Tiramisù o crostata di mele?
Preferire qualcosa è, nella nostra quotidianità, un fatto che implica scartare qualcos'altro.
Proseguendo sull’analogia del cibo la maggior parte delle persone alterna le pietanze: oggi scelgo la parmigiana, domani le lasagne, dopodomani una zuppa ecc. ma osservando il ripetersi di un sufficiente numero di pasti posso veder emergere uno schema, arrivare cioè a intuire i gusti di quella persona. I gusti sono schemi percettivi.
Nelle relazioni accade lo stesso: preferisco la compagnia di un certo tipo di persone e non di altre, ben sapendo che non posso "piacere a tutti", né che tutti sono di mio gradimento. Così, frequentando una persona, ponendo sufficiente attenzione a come si comporta, arrivo ad accumulare abbastanza informazioni/indizi da poter scorgere schemi che si ripetono, arrivando anche a individuare quelle che nel modello Brainbow definiamo dominanze.
Se una scelta ripetuta molte volte porta a uno schema, uno schema ripetuto molte volte porta a una preferenza, una preferenza ripetuta molte volte porta a una dominante. Un processo incessante, che inizia nell'infanzia, forse prima, e che attraverso l'accumulo delle esperienze porta a una maturazione delle dominanze che, infine, da adulti ci contraddistingue e, in parte, ci co-determina.
Noi, quindi, siamo anche quelle dominanze, quell'aggregato di schemi che, se ci riflettiamo, ci può rendere agli occhi degli altri abbastanza prevedibili. È difficile stupire chi ci conosce, perché è difficile cambiare o mostrare comportamenti nuovi. In altre parole, le dominanze arrivano a dominarci, possiamo anche dire che "dominare una dominanza" è piuttosto faticoso, un processo lento che esige impegno e disponibilità a provare e sbagliare. Infatti, modificare le nostre abitudini col passare degli anni diventa sempre più faticoso e costoso emotivamente, cognitivamente e in molti casi anche fisicamente.
D’altra parte, la bella notizia è che in ogni età possiamo allenarci ad aggiustare il tiro. Se non possiamo cambiare gli occhiali, possiamo però guardare da altre angolazioni, da altre posizioni.
Comportamenti e giudizi
Volendo ora definire di che materia sia composto il comportamento possiamo dire che comportamento è tutto quello che una persona fa e dice. È tutto il nostro agire: i comportamenti sono elencabili, descrivibili, ripetibili. Dati oggettivi.
Il giudizio è invece la valutazione soggettiva che assegniamo a un certo comportamento (o sequenza), sia esso nostro o altrui. Osservo una persona e mi faccio un’idea di lei. Sintetizzo ciò che osservo in un’etichetta. Lo facciamo con grande velocità e quasi sempre in modo inconsapevole. Un processo automatico che si fonda sul nostro modo di percepire e reagire, sulla sensibilità personale, sui nostri schemi, la cultura, il contesto e anche l’umore del momento.
Il mix di questi fattori (e altri) crea quelle differenze individuali per cui uno stesso comportamento espresso dallo stesso individuo può essere letto in modi molto diversi, persino divergenti, dalle persone che lo osservano.
Nelle relazioni interpersonali: tra marito e moglie, genitori e figli, responsabile e collaboratore, insegnante e alunno o tra colleghi, ogni volta che giudico qualcuno mi pongo in una posizione superiore, cioè ritengo, faccio capire di essere, anche se animato dalle migliori intenzioni, migliore di lui/lei. Dire allora: “tu sei pignolo” è un giudizio che può innescare certe reazioni, mentre imparare a dire: “vedo che ordini tutto con estrema cura” è neutro e focalizzato sul comportamento dell'ordinare e non sulla persona in sé.
Imparare a osservare, distinguere e censire i comportamenti ci permette di utilizzare un linguaggio capace di costruire relazioni decisamente più efficaci e funzionali. Allo stesso modo ci potenzia il saper contenere la nostra tendenza a esprimerci con sintetici giudizi, etichette che possono diventare pre-giudizi estremamente dannosi nei rapporti interpersonali. Il metodo Brainbow se da una parte attraverso il test arricchisce la consapevolezza personale di ognuno permettendogli di scoprire le sue dominanze, il suo punto di vista sulla realtà, dall’altra vuole, attraverso la sua proposta formativa, irrobustire la capacità di osservare i comportamenti e aumentare la flessibilità nell’utilizzo di diversi registri comunicativi.
Il modello Brainbow
Il modello Brainbow trae origine dalla sintesi di diversi approcci allo studio della mente e del cervello. Le neuroscienze, la psicologia, l'anatomia funzionale, l'endocrinologia e la medicina tutta hanno ancora molto da scoprire e rivedere per quel che riguarda le conoscenze sul funzionamento di mente e cervello. Oggi, a far da ponte tra le discipline, abbiamo strumenti come la PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia, Bottacioli, 2015) che si offre di studiare le relazioni tra questi quattro sistemi, ma anche nuove incredibili tecnologie di neuroimaging che solo 10 anni fa erano fantascienza. La strada è ancora lunga, entusiasmante e riserverà grandi sorprese, molto di ciò che sappiamo dovrà essere rivisto e forse anche soppiantato, ma ne sapremo sempre di più.
È quello che è accaduto agli inizi del 2000 quando il gruppo di ricerca condotto da Rizzolatti si è imbattuto (per caso, coincidenza e intuito) nei neuroni specchio. Un meccanismo di riconoscimento dell'agire che mostra come il nostro cervello sia "cablato" per comprendere le azioni degli altri (Rizzolatti e Sinigaglia, 2005 e 2019). E questo confermerebbe secoli di riflessione filosofica e di osservazioni antropologiche sul nostro essere animali sociali.
Brainbow poggia le sue basi proprio su argomentazioni di questo tipo rappresentando il cervello e i suoi collegamenti come frutto di una sovrapposizione tra la stratificazione evolutiva proposta McLean nel suo triune brain (un modello, non una teoria) e la suddivisione intra-emisferica di Sperry (e lavori successivi).
Brainbow traduce le complessità accademiche e sperimentali, semplificandole senza svilirle, in uno strumento capace di fornire all’utente inesperto sia una mappa facilmente navigabile sia dei profili dei diversi stili comportamentali fruibili. Brainbow è quindi una mappa capace di guidarci attraverso la diversità interpersonale, per capire qualcosa in più di noi e degli altri.
Il modello individua 4 tipologie principali di stili comportamentali, 4 dominanti: Blu, Giallo, Rosso, Verde. Questi profili-colore condensano un insieme peculiare di attitudini e capacità visibili nei comportamenti.
Nessun colore è sbagliato
Il modello non è valutativo, ma descrittivo. Ognuno di noi, pur avendo a disposizione l’intero ventaglio di possibilità espressive, tende come abbiamo visto a prediligerne solo alcune. In altre parole, è orientato ad adottare sempre i medesimi schemi percettivo-reattivi e a comportarsi in modo riconoscibile e riconducibile a questi quattro stili principali:
- il BLU è orientato ai RISULTATI
- il GIALLO è orientato all’ESPERIENZA
- il ROSSO è orientato alle RELAZIONI
- il VERDE è orientato ai DETTAGLI
Pur possedendo un cervello pieno di potenziali colori, arriviamo ad accordare la nostra preferenza a uno specifico mix, il nostro profilo. Diventarne consapevoli, più esperti, ci permette di ricorrervi in modo più funzionale e con un po' di disponibilità ed esercizio potenzia la nostra flessibilità. Ovviamente non esiste una persona caratterizzata monoliticamente da un unico colore, così come non esiste nessuno completamente privo di una dominanza colore. Quello che il modello si pone di sviluppare è la capacità di osservare i comportamenti per arrivare a tradurli. A questo serve il profilo personale: a capire di che “colore” siamo. E poi a riversare questa competenza nelle relazioni.
Osservare contenendo il giudizio, agire con cognizione, esplorare approcci.
Le relazioni oggi
Il mondo digitale e in particolare i social da una parte ci permettono di separarci dalla necessità di essere presenti dal vivo, ma dall'altra ci iper-espongono, rendendo permanente la nostra storia in messaggi, foto, video. Tutto "da remoto", senza poter veramente assistere al feedback dell'altro.
Questo porta, maggiormente sulle fasce di popolazione più giovani, a un aumento di visibilità – o desiderio di essa – ma allo stesso tempo a un aumento della paura del fallimento nelle relazioni dal vivo.
Da un lato l’interazione digitale ci tutela dai feedback degli altri, dall’altro rende più fragili nell'accettarli, apprezzarli, comprenderli o anche opporvisi con argomenti.
Osservando i più giovani interagire digitalmente è immediato rilevare l’estrema disinvoltura che hanno coi i nuovi strumenti di comunicazione, abilità che però non si traduce in una pari capacità di stare nelle relazioni in presa diretta.
Nei contesti personali, in presenza, abbiamo osservato maggiori e più frequenti difficoltà a stare nel conflitto, nella discussione, ad accettare feedback, a darli, ad accettare l’ambiguità e la complessità dei contesti di gruppo dove le informazioni si disperdono o arrivano con ritardi sistemici ecc. Si è sviluppata la disabitudine alla lettura e all'interpretazione dei segnali non verbali. Mentre si è acuita l'abilità di suscitare l'attenzione (fugace) sul media.
Vent'anni fa i partecipanti dei corsi di public speaking possedevano una maggiore coscienza del proprio livello, delle proprie difficoltà: erano “imbranati”, ma consapevoli del gap e disponibili a un lavoro su di sé. Oggi, dove saper parlare a un pubblico è ancora più fondamentale, rileviamo un gap simile, se non più profondo, ma una acutissima inconsapevolezza del proprio livello di efficacia nel parlare in pubblico o peggio di interagirvi attivamente. La coscienza di sé, del proprio modo di comunicare, è calata drasticamente e Brainbow in questo senso può diventare una vera a propria palestra di riattivazione “muscolare”. Ma c’è da lavorare sodo. Divertendosi.
Bibliografia
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- Rizzolatti, G. e Sinigaglia, C. (2005). So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio. Milano: Raffaello Cortina.
- Rizzolatti, G. e Sinigaglia, C. (2019). Specchi nel cervello. Come comprendiamo gli altri dall'interno. Milano: Raffaello Cortina.
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