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numero 77 - maggio 2020

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Autismo, criteri diagnostici e prevalenza: una riflessione critica

Autismo, criteri diagnostici e prevalenza: una riflessione critica

L’ultima indagine epidemiologia condotta negli USA sui Disturbi dello Spettro Autistico ha evidenziato un aumento della prevalenza, pari al 10% nell’ultimo biennio. La ricerca, condotta nel 2016 sui bambini di 8 anni, conta un soggetto su 54 affetto da Disturbi dello Spettro Autistico, rispetto a 1 su 59 nel 2014 (per un approfondimento sui dati pubblicati nel 2018 si rimanda ad altra sede). 
In Italia l’ISTAT, che con “Disturbi dello sviluppo” abbrevia “Disturbi evolutivi globali dello sviluppo psicologico”, rileva una prevalenza di quasi 1 su 100, in rapidissima ascesa: “L’incremento degli alunni con sostegno, che ha interessato le scuole primarie e secondarie di primo grado negli ultimi anni, si osserva per ogni tipologia di problema, tuttavia la quota maggiore è imputabile all’aumento di alunni con disturbo dello sviluppo che negli ultimi 5 anni sono quasi raddoppiati, passando da poco più di 22 mila nell’anno scolastico 2013/2014 a oltre 43 mila nell’anno scolastico 2017/2018, in linea con quanto rilevato dagli studi epidemiologici internazionali.” Cfr. ISTAT Report 3 Gennaio 2019: Anno scolastico 2017-2018. L’inclusione scolastica: accessibilità, qualità dell’offerta e caratteristiche degli alunni con sostegno.

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Per spiegare le cause di tale crescita e cercare di fare una quantificazione dell’aumento del fenomeno reale occorre considerare attentamente i criteri diagnostici dell’autismo che vengono utilizzati nelle migliori indagini che sono attuate nel mondo, prima fra tutte quella di Centers for Disease Control and Prevention(CDC) di Atlanta. Dal 2000, ogni due anni, il CDC effettua un’indagine accurata sui bambini di 8 anni, che raggiunge 11 Stati degli USA, valendosi della collaborazione degli insegnanti, che effettuano un primo screening individuando i due allievi nella loro classe che più rispondono alle caratteristiche del comportamento autistico. Su questi casi selezionati interviene una piccola équipe di esperti che fanno diagnosi valendosi delle diverse classificazioni: il DSM-5 pubblicato dall’APA nel 2013 e il precedente DSM-4, che consente di avere dati confrontabili con quelli delle rilevazioni precedenti, e ICD-10 redatto dall’OMS.

I riferimenti diagnostici

Le classificazioni del DSM e dell’ICD si basano su parametri comportamentali, in parte variati nel tempo, e che, a seconda della fase storica, hanno allargato o ristretto gli item nucleari e i sintomi che definiscono l’autismo. Anche tutta la psichiatria condivide questa modalità di diagnosi in quanto non sono ancora stati individuati marker laboratoristici e/o strumentali. 
I due manuali diagnostici sono stati messi a punto e aggiornati dagli originali organismi di riferimento in tempi diversi. Per di più l’ICD-10 dell’OMS in Italia è stata tradotto e pubblicato da privati con grande anticipo rispetto alla traduzione e pubblicazione ufficiale del Ministero, dove F84 è stata tradotta come “Disturbi evolutivi globali dello sviluppo psicologico”, quando nella pratica era già invalso l’uso della dizione “Disturbi generalizzati dello sviluppo” oppure “Disturbi pervasivi dello sviluppo”, versione “pirata” ma più letterale di Pervasive developmental disorders.
La differenza fra le classificazioni e fra le traduzioni ha generato e genera incongruenze e dunque discrepanze nel numero e nella tipologia di diagnosi effettuate in base al fatto che si faccia riferimento alle indicazioni dell’una o dell’altra. Il DSM-5 si è discostato molto dal DSM-4, che invece quasi coincideva con F84 dell’ICD-10.
La recente modifica ICD-10-CM (Clinical Modification) non ha seguito la strada del DSM-5 e ha soltanto apportato piccole modifiche. Il DSM è autorevole ma è pur sempre opera di una privata società scientifica che si limita alla psichiatria e che non dovrebbe distaccarsi dalla classificazione ufficiale di tutte le malattie dell’OMS, anche se vi si ritrovano criticità: restando all’interno delle ultime classificazioni ufficiali ICD dei Disturbi del Neurosviluppo, secondo ICD-10 l’ADHD riceve il codice F90, mentre stranamente ricade in F84. 4 se l’iperattività è associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati; soltanto nell’ICD-10-CM F84. 4 scompare.
F84 “Disturbi evolutivi globali dello sviluppo psicologico” appare un contenitore estremamente inclusivo e poco specifico perché comprende F84. 0 “Autismo infantile”, F84. 1 “Autismo atipico”(che finalmente scompare nell’ICD10-CM), F84. 5 “Sindrome di Asperger”, F84. 8 “Disturbo evolutivo globale di altro tipo”, F84. 9 “Disturbo evolutivo globale non specificato” ed anche F84. 3 “Sindrome disintegrativa dell’infanzia di altro tipo”.
L’avanzamento della genetica e dell’epigenetica verificatosi negli ultimi decenni dovrebbe  aumentare la conoscenza delle diverse eziologie focalizzando l’attenzione diagnostica sui casi dove non è ancora possibile ottenere una diagnosi basata su di una specifica alterazione già nota. I casi nei quali si riconosce l’eziologia monogenica dell’autismo riguardano soltanto il 20% circa del totale. Il riconoscimento dell’eziologia non impedisce che il caso venga escluso da F84: infatti l’ICD-10 ed anche l’ICD-10-CM comprendono fra tutti i disturbi citati del gruppo F84 “Disturbi evolutivi globali dello sviluppo psicologico” anche la Sindrome di Rett, F84. 2. Al contrario il DSM-5 riclassifica la Rett fra le malattie genetiche, in quanto dopo la pubblicazione dell’ICD-10 e prima del DSM-5 sono stati individuati i geni (MEC P2 e CDK L5) che provocano i gravissimi disturbi della Sindrome di Rett.
La stessa definizione data nel 1943 da Kanner “Autismo precoce infantile” è stata confondente per diversi motivi. Gli aggettivi “precoce infantile” erano utilizzati a indicare che esordisce precocemente nell’infanzia. Infatti, colpisce il cervello in evoluzione fin dalle fasi embrionali e la precocità è la precipua caratteristica del disturbo, ma l’aggiunta di “infantile” ha fatto credere che finisse con l’infanzia. Purtroppo invece è un disturbo cronico che dura tutta la vita. Le poche diagnosi che venivano fatte ai bambini fino agli anni ’80 del secolo scorso venivano cambiate quando la competenza passava dai neuropsichiatri agli psichiatri, che spesso ridefinivano questi casi “Handicap mentale adulto”, impedendo ancor oggi la quantificazione del fenomeno nelle fasce alte della popolazione. Inoltre, il termine “autismo” era già usato per definire un comportamento proprio di altre patologie psichiatriche ed era facile predire che sarebbe stato un elemento confusivo, ripreso dal DSM-5 settanta anni dopo con “Disturbi dello spettro autistico” (Autism Spectrum Disorders, in sigla ASD). 
Non ci si può stupire se i sintomi di questa sindrome si confondono con altre patologie e consentono di teorizzare le co-occorrenze, una parola nuova per significare le comorbilità, che non offende coloro che ritengono la sindrome di Asperger una neurodiversità e non una sindrome, sinonimo di patologia.

Quale dovrebbe essere la classificazione dell’autismo?

Il nostro gruppo (V. Balestra, E. Pipitone, L. Minarini, D. Mariani Cerati, L. Rabbi e R. Roversi) nella facoltà di scienze statistiche dell’Università degli Studi di Bologna aveva cercato inutilmente un soddisfacente raggruppamento di oltre 200 casi di autismo italiani mediante la cluster analysis su tutte le caratteristiche descritte da Kanner già nel 1988, con risultati talmente scarsi da fare abbandonare le speranze di ritrovare un fenotipo che potesse dare indicazioni delle cause per un qualunque raggruppamento omogeneo. (cfr. Hanau, Mariani Cerati e Balestra, 1988;  Hanau e Minarini, 1991; Hanau, Balestra, Rabbi, Roversi e Pipitone, 1992).
Bourgeron puntava a trovare il o i geni dell'autismo partendo da caratteristiche cliniche molto pure e tipiche. Alla luce dei dati emersi dalle ricerche internazionali, egli ritiene che la ricerca genetica (e non solo) debba partire da un'ampia gamma di sindromi, oggi tenute distinte nelle classificazioni internazionali. Questo dopo la constatazione che non c’è corrispondenza biunivoca tra alterazioni genetiche e sindromi cliniche. Prendendo da Chirstopher Gillberg l'acronimo ESSENCE, Bourgeron (2016) ha fatto il punto della situazione di questo nuovo orientamento della ricerca dove ESSENCE è l’acronimo per “Early Symptomatic Syndromes Eliciting Neurodevelopmental Clinical Examinations” ovvero “sindromi sintomatiche precoci che richiedono esami clinici dello sviluppo del sistema nervoso”. ESSENCE è un termine che si riferisce alla condizione di bambini di età inferiore a 3-5 anni che presentano una sintomatologia clinica debilitante nei campi seguenti: (1) sviluppo globale; (2) comunicazione e linguaggio; (3) interazioni sociali; (4) coordinazione motoria; (5) attenzione; (6) motricitá; (7) comportamento; (8) umore; (9) sonno.
Sulla stessa linea si ritrova Polyak (2015) quando afferma che per lungo tempo i ricercatori hanno cercato di distinguere i disturbi dello sviluppo in categorie basate su caratteristiche cliniche osservabili, ma quando si parla di autismo è difficile perché ogni individuo può presentare una differente combinazione di sintomi. La parte difficile è distinguere i pazienti che presentano diagnosi multiple, perché i sintomi dell’autismo sono presenti anche in individui con altri deficit neurologici o cognitivi. Dallo studio emerge ad esempio che i pazienti affetti da patologie genetiche “classiche”  mai associate a disturbi dello spettro autistico, se valutati per l’autismo ricevono spesso una diagnosi proprio di questo tipo (ad esempio: 19% nella sindrome di Down, 63% nell’X fragile). Risultati che evidenziano come i criteri diagnostici dell’autismo debbano essere migliorati anche nei casi di pazienti con gravi patologie genetiche “classiche”.

Prospettive per il futuro

Per la caratteristica della precocità, i casi di autismo si possono accomunare agli altri “Disturbi del Neurosviluppo”, termine che attualmente si sta affermando sempre più spesso nella pratica clinica, ad indicare la mancanza di confini netti fra un disturbo e l’altro, anzi molto spesso presenti in associazione. Si auspica perciò che le future classificazioni di queste condizioni utilizzino la dizione: “Disturbi precoci del neurosviluppo” che chiama in causa la competenza neurologica sulle cause oppure per esteso “Disturbi evolutivi globali precoci dello sviluppo psicologico”, che riprende l’attuale traduzione ufficiale italiana dell’ICD-10 aggiungendo l’aggettivo “precoci”. Si dovrebbe inoltre ristabilire il limite di età entro il quale i sintomi si devono manifestare, che i recenti progressi diagnostici consentono di lasciare ai tre anni. Si perderebbero molti casi di Asperger, che generalmente si manifestano e vengono diagnosticati più tardi, che per la loro particolarità non si dovrebbero includere fra i disturbi globali, proprio perché non sono globali ma riguardano specificamente l’incapacità di interazione sociale.
Altra caratteristica che accomuna questi casi, ma che difficilmente potrebbe essere un fattore discriminante per una classificazione, si trova nella scarsa rispondenza a quei farmaci che sono stati sperimentati sulle malattie psichiatriche ad esordio tardivo, che vede qui ridursi la percentuale di rispondenti e l’aumento degli effetti collaterali. La cosa non è sorprendente poiché gli psicofarmaci sono stati pochissimo sperimentati sui bambini. Il loro uso dovrebbe essere fatto con grande circospezione e lungimiranza, come tutte le prescrizioni off label, senza cercare scappatoie come quella di inserire nell’aggiornamento della Linea guida n.21 sull’autismo la raccomandazione di prescrivere a bambini e adulti con autismo i farmaci indicati per i disturbi psichiatrici con esordio più tardivo. Si vorrebbe “consigliare” e cioè legittimare come se fosse indicata, la prescrizione degli psicofarmaci ufficialmente indicati per le varie psicopatologie degli adulti utilizzando il termine della co-occorrenza che il prescrittore crede di potere vedere nel caso specifico. Questa trasposizione automatica, che tradisce la base stessa dell’EBM, deve essere condannata come un atto di medicina difensiva, destinato a coprire la malpractice molto diffusa in questo campo e, quel che è peggio, a togliere un incentivo alla ricerca farmacologica sui minori, oggi assolutamente carente.
La proposta che ritengo di fare a tutti i clinici è di usare l’ICD-10-CM come riferimento diagnostico, perché mantiene la distinzione della sindrome di Asperger e di Rett ed è la classificazione ufficiale italiana e dell’OMS oggi in vigore, in vista di avanzamenti della scienza.

Bibliografia

  • Hanau, C., Mariani Cerati, D., & Balestra, V. (1988). Epidemiologia della sindrome autistica infantile: una proposta di indagine. I Congresso nazionale di biometria e statistica medica: atti. Università degli Studi di L’Aquila, Europa, Roma, p.105.   
  • Hanau, C., & Minarini, L. (1991). Nosografia dell’autismo. Il Bollettino dell’ANGSA, 1, 19-29.
  • Hanau, C., Balestra, V., Rabbi, L., Roversi, R., & Pipitone, E. (1992). Questionario problemi delle famiglie con un soggetto autistico: indagine preliminare. In Salute e famiglia, a cura di M. Bolzan e L. Fabris, CLEUP, Padova, 1992.
  • Bourgeron, T. (2016). The genetics and neurobiology of ESSENCE: The third Birgit Olsson lecture. Nordic Journal of Psychiatry, 70(1), 1-9. 
  • Polyak, A., Kubina, R.M., & Girirajan, S. (2015). Comorbidity of intellectual disability confounds ascertainment of autism: Implications for genetic diagnosis. American Journal of Medical Genetics, Part B, 168B, 600-608.