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numero 15 - marzo 2014

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Adolescenti e gioco d’azzardo

Adolescenti e gioco d’azzardo

Per gioco d’azzardo (gambling) si intende una forma di intrattenimento in cui il giocatore scommette una certa quantità di denaro o di beni di valore sul risultato di un evento dall’esito incerto allo scopo di vincere una maggiore quantità di denaro o di aggiudicarsi gli oggetti in palio (Molde, Pallesen, Bartone, Hystad, & Johnsen, 2009). Nonostante sia comunemente percepito come un’attività ricreativa, se praticato in modo eccessivo, il gambling può avere conseguenze negative fino a trasformarsi in una vera e propria patologia. Nell’ultima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.; DSM-5; American Psychiatric Association, 2013), il “Disturbo da gioco d’azzardo” è stato inserito tra i “Disturbi senza sostanze” all’interno della nuova categoria diagnostica dei “Disturbi da dipendenza e correlati all’uso di sostanze”. Per la prima volta, quindi, tale patologia viene riconosciuta come dipendenza poiché, pur non essendovi sostanze, sono presenti le tre componenti basilari considerate sobstratum di tutte le dipendenze, ovvero ossessività, impulsività e compulsione (Caretti, 2013). Nella sua definizione clinica di comportamento persistente, ricorrente e disadattivo vengono considerati indicatori comportamentali (come l’aumento della frequenza di gioco per cercare di recuperare le perdite), correlati emozionali e psicologici (come l’essere eccessivamente assorbiti dal gioco) e problemi sociali ed economici (come avere messo a repentaglio o avere perso una relazione significativa a causa del gioco).

Nonostante in molti paesi il gioco d’azzardo sia vietato ai minorenni, nel corso degli ultimi anni si è registrato un marcato incremento di questo comportamento tra i più giovani tanto che, passando in rassegna indagini condotte in contesti culturali diversi, emerge che una percentuale compresa tra il 60% ed il 99% di ragazzi tra 12 e 20 anni abbia giocato d’azzardo almeno una volta (Splevins, Mireskandari, Clayton, & Blaszczynski, 2010). In Italia la situazione risulta essere in linea con quella degli altri paesi industrializzati, come testimonia l’indagine ESPAD (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs) condotta dall’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IFC-CNR) (Bastiani et al., 2010). Lo studio, a cui hanno partecipato 40.000 studenti di età compresa tra 15 e 19 anni dell’intero territorio nazionale, ha rilevato che dal 2008 al 2009 la percentuale di ragazzi che ha scommesso denaro nei giochi è aumentata dal 40% al 47% e che i minori che giocano d’azzardo corrispondono a circa il 43% (dato in crescita rispetto al 38% del 2008) dei minori italiani scolarizzati. Confermano questo dato una serie di studi condotti tra il 2012 e 2013 con circa 1500 studenti di scuola superiore di diverse aree territoriali della Toscana (Primi, Donati, & Chiesi, 2013) secondo i quali il 46% di loro gioca regolarmente.

Ciò che è ancor più grave è il fatto che sono stati riscontrati anche tra gli adolescenti comportamenti patologici di gioco d’azzardo. Molteplici ricerche hanno fatto emergere che la percentuale di giovani che gioca d’azzardo in modo patologico è rilevante e, addirittura, maggiore dei giocatori patologici adulti (Blinn-Pike, Worthy, & Jonkman, 2010). Utilizzando le definizioni di at-risk e problem gambler che si rifanno direttamente ai criteri diagnostici per il gioco patologico, la rassegna di Splevins e colleghi (2010) ha evidenziato che una percentuale di adolescenti compresa tra il 2% ed il 9% può essere classificata all’interno della categoria dei problem gamblers, mentre tra il 10% ed il 18% sono gli adolescenti che possono essere considerati at-risk gamblers. Per quanto riguarda il contesto nazionale, un’indagine effettuata con 2853 studenti di età compresa tra 13 e 20 anni ha evidenziato che il 7% degli adolescenti intervistati era classificabile come giocatore d’azzardo patologico (Villella et al., 2010), mentre gli studi condotti da Primi e colleghe (2013) hanno messo in luce che il 17% degli adolescenti mostrava comportamenti di gioco d’azzardo problematici.

Per quanto riguarda la spiegazione di tale fenomeno, è stato evidenziato che il comportamento problematico di gioco d’azzardo giovanile risulta essere associato ad un’ampia gamma di fattori che si riferiscono sia alla sfera personale degli adolescenti (fattori individuali) sia a quella ambientale a loro circostante (fattori ecologici).

Tra i fattori individuali, oltre al genere, per cui i maschi sono più problematici delle femmine (tra gli altri, Chalmers & Willoughby, 2006), è stato evidenziato che gli adolescenti che esibiscono un comportamento patologico di gioco manifestano livelli più elevati degli altri di sensation seeking e di impulsività, ovvero tendono in misura maggiore a ricercare esperienze forti (tra gli altri, Gupta, Derevensky, & Ellenbogen, 2006) e si caratterizzano per un più scarso livello di autocontrollo (Chiu & Storm, 2010). Inoltre, i giovani giocatori patologici presentano un quadro di forte difficoltà, ovvero tendono ad esibire anche altri comportamenti a rischio (tra gli altri, Gupta et al., 2006) e adottano più frequentemente stili di coping disfunzionali (tra gli altri, Bergevin, Gupta, Derevensky, & Kaufman, 2006). In ambito cognitivo, è stato evidenziato che i giovani giocatori problematici, pur non mostrando carenze nella conoscenza delle regole di probabilità, tendono a ricorrere a modalità di ragionamento veloci ed economiche (euristiche). Da ciò deriverebbe una tendenza sistematica a compiere errori come quelli legati all’euristica della rappresentatività, tra cui la gambler’s fallacy, che si verifica quando si ritiene, ad esempio, che dopo una serie risultati “testa” nel lancio di una moneta, sia più probabile il risultato “croce” (tra gli altri, Delfabbro, Lambos, King, & Puglies, 2009; Donati, Chiesi, & Primi, 2013). Da un’errata comprensione del concetto di casualità deriverebbero inoltre delle credenze erronee associate al gioco d’azzardo, come la tendenza a sovrastimare il ruolo dell’abilità personale (tra gli altri, Delfabbro et al., 2009), le credenze superstiziose (Moore & Ohtsuka, 1999) e la sovrastima della proficuità economica del gioco (Delfabbro et al., 2009).

Per quanto concerne i fattori ecologici, è stato ampiamente documentato il ruolo cruciale del comportamento di gioco di familiari ed amici. In particolare, è emersa una forte associazione tra il comportamento di gambling dei genitori e quello dei figli (Hardoon, Gupta, & Derevensky, 2004) ed è stato evidenziato che la diffusione del gioco d’azzardo nel gruppo degli amici influenza la pratica del gioco stesso tra gli adolescenti (Gupta & Derevensky, 1998). Infine, alcuni recenti studi hanno riscontrato che i messaggi pubblicitari dei mass-media sul gioco d’azzardo e la disponibilità dei giochi nella comunità di appartenenza possono esercitare un’influenza significativa sulla probabilità degli adolescenti di iniziare a giocare d’azzardo e di sviluppare comportamenti patologici di gioco (tra gli altri, Derevensky, Sklar, Gupta, & Messerlian, 2010).

Relativamente all’intervento sul fenomeno, attività di prevenzione del gioco d’azzardo patologico negli adolescenti sono state avviata relativamente tardi, con la prima pubblicazione in materia risalente al 1993 (Gaboury & Ladouceur, 1993). A partire da questo lavoro, molteplici iniziative educative sono state intraprese con gli adolescenti per la prevenzione del comportamento patologico di gioco anche se la verifica dell’efficacia è stata condotta solamente in pochi casi (Blinn-Pike et al., 2010). In linea generale, gli interventi condotti e valutati si sono prevalentemente focalizzati sulla promozione di un cambiamento riguardo alle conoscenze corrette e le false credenze sul gioco d’azzardo (tra gli altri, Capitanucci et al., 2010) oppure hanno agito con lo scopo di modificare fattori cognitivi e disposizionali come il ragionamento e l’atteggiamento (Turner, Macdonald, & Somerset, 2008).

Recentemente, però, data la natura multifattoriale del fenomeno, si sta sempre più delineando la necessità di mettere a punto interventi di prevenzione a carattere integrato, ovvero i cui contenuti rispecchino la multidimensionalità del fenomeno stesso (Williams, West, & Simpson, 2008). Adottando questo approccio, alcuni ricercatori statunitensi (Williams, Wood, & Currie, 2010) hanno verificato una riduzione del comportamento di gioco d’azzardo come effetto a lungo termine del loro intervento. Alla luce dell’efficacia di tale prospettiva, un recente studio condotto in ambito nazionale (Donati, Primi, Chiesi, 2013) ha verificato l’efficacia di un intervento in cui sono stati presi in considerazione in modo integrato un insieme di fattori cognitivi e disposizionali con studenti di scuola secondaria di secondo grado. L’intervento in questione ha fatto registrare effetti positivi in termini di cambiamento a breve termine dei fattori considerati (incremento delle conoscenze corrette sul gioco d’azzardo e riduzione della percezione ottimistica del gioco dal punto di vista economico e del pensiero superstizioso), ma è anche risultato efficace nel modificare questo insieme di dimensioni proprio nei giocatori più a rischio. Inoltre, è stata anche verificata la stabilità degli effetti a sei mesi di distanza dalla conclusione dell’intervento ed una riduzione del comportamento di gioco patologico tra gli adolescenti che avevano partecipato all’intervento.

Per concludere, dalle prove a favore dell’adeguatezza di modelli di intervento che includono molteplici fattori, in linea con la natura multifattoriale del comportamento patologico di gioco d’azzardo negli adolescenti, possiamo trarre indicazioni per gli sviluppi futuri della ricerca e dell’azione in questo settore. In primo luogo, la natura integrata del costrutto in questione suggerisce che sarebbe necessario il coinvolgimento di un insieme di figure professionali diverse, ad esempio tra operatori dell’ambito scolastico (dirigenti scolastici, insegnanti), accademico (ricercatori, docenti) e socio-sanitario (educatori professionali, psicologi). In secondo luogo, sarebbe necessario che tali figure professionali avessero un più stretto contatto con le figure politiche preposte alla legiferazione in materia di regolamentazione del gioco d’azzardo, al fine di formarle sull’impatto che l’accessibilità dei giochi ha sul comportamento degli adolescenti e persuaderli alla messa in atto di leggi a tutela della salute dei giovani e delle loro famiglie. In terzo luogo, un punto imprescindibile per favorire un efficace lavoro di prevenzione e di intervento integrato sul fenomeno riguarda la misurazione del comportamento patologico di gioco d’azzardo. Nello specifico, tutti gli operatori e ricercatori del settore dovrebbero disporre di strumenti di misurazione che siano in grado di rilevare con precisione i diversi livelli di severità del comportamento di gioco d’azzardo nei giovani, in linea con la nuova definizione del DSM-5. La disponibilità di tali strumenti consentirebbe, infatti, una maggiore condivisione, coordinazione e scambio.

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