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numero 98 - giugno 2022

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #98

Rassegna stampa #98

Le bugie sono tutte uguali?                                                                                                                                    

Nella quotidianità vi sono molteplici occasioni dove ci troviamo a dover decidere se mentire o meno; mentire non è moralmente corretto, tuttavia può essere un buon modo per raggiungere i propri scopi, o meglio, per aumentare la possibilità che ciò accada. Molto spesso, infatti, non è certo che mentire automaticamente porterà a un guadagno sicuro. Uno studio particolarmente interessante ha indagato questo comportamento inserendolo in due scenari diversi: il primo è caratterizzato da una condizione di guadagno, mentre il secondo da una condizione di perdita. Nel primo caso, i partecipanti vengono informati della possibilità di vincere un premio in denaro tirando un dado a 6 facce: il risultato del lancio indica quante palline “vincenti” vengono inserite in un’urna, assieme a quelle “perdenti”; il partecipante poi estrarrà in modo casuale una pallina. Al contrario, nella condizione di perdita ai partecipanti viene detto che hanno già il denaro e che l’estrazione della pallina determinerà se lo terranno o se invece lo perderanno. È chiaro, quindi, che mentire sul risultato del lancio del dado aumenta le possibilità di estrarre una pallina vincente e, di conseguenza, di ricevere o di non perdere il denaro. La letteratura sull’argomento informa che la tendenza a mentire è maggiore in situazioni dove si vuole prevenire un qualcosa di negativo, piuttosto che ottenere qualcosa di positivo. In linea con questa premessa, i ricercatori hanno osservato che le persone nel setting di guadagno hanno riportato, come esito del lancio, più frequentemente un 4 o un 5: probabilmente, questo avrebbe permesso loro di attribuire la probabile vincita alla fortuna e non solo all’aver mentito, lasciando quindi un’immagine di sé integra o non eccessivamente alterata. Riportare un 6 avrebbe ovviamente aumentato le possibilità, ma non avrebbe lasciatp alcun dubbio: se il partecipante estrae una pallina vincente è perché ha mentito. In condizione di perdita, invece, la salvaguardia della propria immagine non sembra importante tanto quanto mantenere lo status quo: i partecipanti hanno riportato più frequentemente un 6, cercando di ridurre al minimo le possibilità di perdita. In conclusione, il contesto influenza il modo in cui le persone mentono e, probabilmente, le motivazioni per cui lo fanno.                                                              

Steinel, W., Valtcheva, K., Gross, J., Celse, J., Max, S., & Shalvi, S. (2022). (Dis)honesty in the face of uncertain gains or losses. Journal of Economic Psychology, 90, 102487.               

               

L’insegnante virtuale funziona? E il suo stato d’animo influenza l’apprendimento degli studenti?

L’idea che l’emotività manifesta dei docenti influenzi gli alunni si basa su due concetti: il principio di positività, secondo cui le persone imparano meglio da educatori che mostrano emozioni positive piuttosto che negative, e l’ipotesi dell’equivalenza, secondo cui gli studenti rispondono con la stessa caratura emozionale di quella manifestata dall’insegnante. Uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’università della California verifica queste due ipotesi: ai partecipanti è stato chiesto di visionare una tra 8 brevi lezioni su concetti statistici, che si differenziano per l’emozione mostrata dal docente e rispetto al fatto che esso sia virtuale o in carne e ossa; i concetti spiegati nei diversi video sono sempre gli stessi. Per quanto riguarda il principio di positività, è stato osservato che gli studenti sono in grado di riconoscere le emozioni dell’insegnante e che hanno anche valutato quest’ultimo più credibile e più coinvolgente nell’insegnamento nel caso in cui mostra emozioni positive. Tuttavia, contrariamente a quanto auspicato, la performance dei partecipanti misurata in un test successivo alla lezione non mostrava differenze significative tra il gruppo che aveva avuto un docente “positivo” e quello con insegnante “negativo”. Riguardo l’ipotesi dell’equivalenza, l’obiettivo principale era valutare la differenza tra un’insegnante virtuale e uno reale; è stato visto come gli studenti riconoscono e rispondono in egual modo alle emozioni manifestate, sia dall’insegnante umano che da quello virtuale, e che non vi è differenza riguardo la qualità dell’apprendimento tra l’uno e l’altro docente: di conseguenza, l’abilità di trasmettere informazioni e la performance degli studenti non differiva in base al tipo di insegnante, umano o virtuale. Questo studio ha delle ripercussioni pratiche molto diverse tra loro: in primo luogo, emerge che è importante che gli insegnanti siano motivati e lavorino “con il sorriso” al fine di aumentare l’engagement degli studenti. Dall’altro lato, però, la sostituzione dell’insegnante con un automa virtuale non ha portato ad un peggioramento dell’apprendimento, aprendo scenari impensabili fino a poco tempo fa. Ovviamente, questo studio non considera variabili sociali e relazioni che risultano fondamentali in questo contesto.

Lawson, A. P., & Mayer, R. E. (2022). Does the emotional stance of human and virtual instructors in instructional videos affect learning processes and outcomes? Contemporany Educational Psychology, 70, 102080.

 

Videogiochi e gioco d’azzardo: quando un passatempo diventa un problema

Recentemente le loot box, letteralmente “scatole con bottino” da acquistare nei videogiochi, hanno sollevato un crescente interesse tra i ricercatori. La peculiarità di questa meccanica, comune a molti videogames, è la casualità del contenuto della scatola, il che rende l’apertura delle box molto simile, concettualmente, al gioco d’azzardo: il brio e l’eccitazione nel trovare un oggetto etichettato come “raro”, “super raro”, “epico”, “leggendario” e quant’altro, può essere comparabile alla soddisfazione derivata dalla vincita di una scommessa o da un’estrazione fortunata al lotto. Dei ricercatori inglesi hanno indagato se l’acquisto delle loot box possa in qualche modo predire futuri comportamenti di gioco d’azzardo. Per testare questa ipotesi, i ricercatori hanno condotto uno studio su un gruppo di persone che giocavano d’azzardo e che compravano loot box: è stato chiesto ai partecipanti se l’acquisto delle box abbia influenzato la decisione di iniziare a giocare d’azzardo. I risultati hanno mostrato che l'80% dei partecipanti non ritenevano che l'acquisto di loot box li avesse spinti a giocare poi d'azzardo, questo suggerisce che la maggior parte dei videogiocatori non sono a rischio di sviluppare problemi di gambling. Nonostante nella maggior parte delle misure self-report non sia emerso il problema, il numero dei giocatori d’azzardo reputati patologici tra coloro che acquistano le loot boxes, e le consideravano predittrici del successivo gambling, superava di tre volte il valore medio della popolazione; in particolare, queste persone riportavano punteggi più alti nella valutazione di videogaming problematico, impulsività e spendevano più soldi nel gioco e nell’acquisto di loot box, a prescindere dallo stipendio percepito. Questi risultati suggeriscono che i giocatori d’azzardo patologici, che aprono scatole, sono a rischio di sviluppare pattern nocivi di acquisto di loot box. Tra le diverse motivazioni sottostanti,la ricerca di eccitazione e il brivido, connesso a questo comportamento, erano le più comuni: assieme al livello di impulsività, queste caratteristiche potrebbero fungere da predittrici per l’individuazione di gamer maggiormente a rischio. Particolarmente interessante il fatto che per coloro che avevano dichiarato che il gioco d’azzardo aveva influenzato la decisione di iniziare ad aprire scatole, la seconda motivazione sottostante più comune era la percezione che le box fossero più sicure rispetto al gioco d’azzardo. Questi risultati mettono in chiaro la necessità di porre attenzione, e di sviluppare politiche di prevenzione, non solo per le più classiche modalità di gambling, ma anche per l’uso e lo sviluppo delle loot box, che possono essere considerate come una sorta di anticipatore emotivo e comportamentale del gambling.

Spicer, S. G., Fullwood, C., Close, J., Nicklin, L. L., Lloyd, J., & Lloyd, H. (2022). Loot boxes and problem gambling: Investigating the “gateway hypothesis”. Addictive Behaviors, 131, 107327.

 

Un gioco per ridurre la solitudine

La solitudine è un fenomeno in costante crescita negli ultimi anni; oltre all’isolamento sociale causato dalla pandemia, telefoni, auricolari e altri device tecnologici hanno un effetto negativo sulle interazioni interpersonali: uno studio condotto da un team anglo-statunitense ha valutato e cercato di migliorare le abilità e le aspettative, riguardo il contatto sociale, di due gruppi: uno sperimentale, dove era richiesto di parlare a degli sconosciuti, e uno di controllo, in cui si richiedeva ai partecipanti solamente di osservare degli estranei. L’idea innovativa di questi ricercatori è stata di proporre ai partecipanti del gruppo sperimentale vere e proprie sfide sociali, tramite una sessione di “caccia al tesoro” durata 5 giorni: inizialmente sono state raccolte le previsioni che i partecipanti avevano riguardo le interazioni sociali, che erano per lo più negative; sono stati poi monitorati i pareri e i giudizi lungo l’arco della settimana e, infine, il parere finale, sia subito dopo la conclusione della “caccia al tesoro”, sia a una settimana di distanza. I risultati hanno mostrato che i partecipanti della condizione sperimentale riportavano un’attitudine più positiva verso l’interazione con gli sconosciuti, si sentivano meno a disagio e avevano più fiducia nelle loro capacità conversazionali rispetto a quanto mostrato prima dell’inizio dell’esperimento. Inoltre, l’intervento aveva anche migliorato il piacere e le impressioni che le persone pensavano di avere sugli estranei: anche il gruppo di controllo ha riportato un incremento in queste due caratteristiche, suggerendo che anche la sola osservazione di sconosciuti può avere dei benefici. I sondaggi giornalieri somministrati ai partecipanti del gruppo sperimentale mostrano che i risultati più importanti sono la diminuzione della paura di rifiuto, dell’imbarazzo e il miglioramento delle abilità di conversazione. È chiaro quindi che le aspettative dei partecipanti erano esageratamente pessimistiche e che il giudizio riguardo l’interazione con gli estranei è andato via via migliorando nel tempo. Secondo gli autori, questi effetti sono dovuti alla ripetitività delle interazioni avute e al fatto di aver proposto in forma di gioco l’esperimento, così che il parlare o osservare gli sconosciuti fosse visto come una sfida e non come una minaccia. L’importanza di questo studio è data non tanto dagli effetti diretti derivanti dalla maggiore frequenza di contatti con altre persone, i cui esiti sono ampiamente ipotizzabili dalla letteratura scientifica di riferimento e confermati da questa ricerca, quanto dagli effetti indiretti che sono stati registrati anche sul gruppo di controllo: ciò apre varie possibilità ai professionisti che lavorano quotidianamente con problematiche simili.

Sandsrtom, G. M., Boothby, E. J., & Cooney, G. (2022). Talking to strangers: A week-long intervention reduces psychological barriers to social connection. Journal of Experimental Social Psychology, 102, 104356.