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numero 87 - maggio 2021

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #87

Rassegna stampa #87

La pandemia ha ridotto il consumo di sigarette

Da quando in Cina a fine dicembre 2019 è stato scoperto il primo caso di COVID-19 si è assistito ad uno sviluppo pandemico di questo virus che ha infettato oltre 100 milioni di persone nel mondo causando oltre 2 milioni di morti. La pandemia ha avuto un impatto devastante su molti ambiti di vita quotidiana delle persone e numerosi studi sono stati condotti per studiare questo fenomeno; nonostante ciò, non sono ancora dl tutto chiari gli effetti della pandemia sulla dipendenza dal tabacco, che causa oltre 8 milioni di decessi l’anno nel mondo. I primi studi hanno mostrato come il periodo del lockdown abbia ridotto il consumo di sigarette a causa delle restrizioni sui movimenti delle persone e della conseguente crisi di natura economica; oltre a ciò, la paura di sviluppare questa malattia, che ha conseguenze più severe per i fumatori, ha determinato un aumento della motivazione circa lo smettere di fumare. Dall’altro alto, l’isolamento sociale, la noia e le emozioni negative possono aver portato ad un aumento nel consumo di sigarette. Per meglio chiarire questi importanti aspetti, due ricercatori hanno condotto uno studio su oltre 13 mila persone, delle quali il 57.9% non fumava sigarette. Innanzitutto, è emerso come i fumatori siano soprattutto maschi, di età avanzata e con un basso titolo di studio; inoltre, il consumo medio era di circa 11 sigarette al giorno. I risultati hanno mostrato come durante la pandemia ci sia stata una riduzione statisticamente significativa nel numero di sigarette fumate in un giorno: in dettaglio, i maschi hanno mostrato una minor diminuzione delle femmine, così come le persone che risiedono in aree cittadine rispetto a chi vive in aree rurali. Infine, è emerso come la diminuzione del numero di sigarette fumate sia un predittore significativo del benessere fisico e psicologico. Per concludere, questo studio ha mostrato uno dei pochi effetti positivi della pandemia: ovvero, l’associazione con la diminuzione della dipendenza verso il tabacco; in maniera ancora più rilevante, le persone che hanno diminuito la frequenza di tale comportamento hanno anche mostrato livelli più elevati di benessere fisico e psichico, a conferma degli effetti positivi, non solo fisici, che questo determina.

Yang, H., & Ma, J. (2021). How the COVID-19 pandemic impacts tobacco addiction: changes in smoking behavior and associations with well-being. Addictive Behaviors, 119, 106917.

 

Come i nostri fratelli (o sorelle) possono influenzare il nostro comportamento

La prospettiva del ciclo di vita enfatizza l’importanza dei contesti strutturali e sociali per lo sviluppo delle persone; ad esempio, la fertilità è influenzata non solo da caratteristiche personali ma anche dai comportamenti della propria rete sociale. Un recente filone di studi si è concentrato sull’influenza delle reti a livello micro, come i fratelli, gli amici e i colleghi, per esaminare gli effetti di queste interazioni sociali sui comportamenti demografici, evidenziano delle relazioni positive tra i comportamenti adottati dalle altre persone nella rete su variabili come il numero di figli e il divorzio. Questi studi, però, hanno trascurato il fatto che l’influenza della rete sociale non è necessariamente limitata allo stesso dominio comportamentale, e che non è sempre positiva, ma può anche essere negativa, ovvero scoraggiare alcuni comportamenti. Per questo motivo, quindi, due studiosi tedeschi hanno condotto una ricerca incentrata sugli effetti dei comportamenti dei fratelli in un campione composto da oltre quattro mila persone. I risultati hanno mostrato che il fatto che un fratello abbia avuto un figlio influenzi positivamente questo stesso comportamento: tale associazione è forte nel breve periodo, diminuendo a distanza di tempo; inoltre, questa associazione non è risultata rilevante in merito ad un secondo figlio, così come non ha mostrato un impatto significativo sulla decisione di sposarsi. Il fatto che un fratello si sia spostato determina un aumento della probabilità di matrimonio, sia nel breve che nel lungo periodo. Allo stesso modo, il divorzio di un fratello determina una maggior probabilità di divorzio; questa stessa probabilità non è influenzata dal fatto che il fratello abbia avuto un figlio. Per concludere, questo studio ha evidenziato l’influenza sul nostro comportamento di quello che avviene nella vita dei nostri fratelli (o sorelle), attestando la presenza di effetti sia positivi che negativi, sul breve e sul lungo periodo, in variabili come la decisione di fare un bambino, di sposarsi o di divorziare.

Buyukkececi, Z., & Leopold, T. (2021). Sibling influence on family formation: a study of social interaction effects on fertility, marriage, and divorce. Advances in life course research, 47, 100359.

 

L’alimentazione intuitiva nelle donne di oltre 60 anni

L’alimentazione intuitiva incoraggia gli individui a rifiutare la “mentalità dietetica” e cioè il processo di affidarsi a fattori non fisiologici, come il controllo cognitivo, per determinare l’assunzione di cibo, piuttosto che basarsi sul sistema di autoregolazione naturale del corpo; tale modalità raccomanda di mangiare concentrandosi intenzionalmente sui segnali fisiologici di fame e sazietà e non sugli stimoli esterni. Numerosi studi hanno evidenziato un’associazione positiva con una miglior percezione del proprio corpo e con il benessere. Nonostante ciò, questi studi si sono concentrati principalmente su ragazzi giovani: non si hanno studi in merito condotti su anziani; per questo motivo, è stata progettata una ricerca per esplorare le relazioni tra alimentazione intuitiva, immagine corporea, depressione e disturbi alimentari in donne anziane. Il campione che ha preso parte alla ricerca era composto da 222 donne di età compresa tra 60 e 75 anni. I risultati hanno evidenziato come al crescere dell’utilizzo dell’alimentazione intuiva si associno minori problemi relativi ai disordini alimentari e alla percezione del proprio corpo, così come minori sintomi depressivi e un minor indice di massa corporea (BMI). Questo insieme di risultati, quindi, offre una conferma a quanto evidenziato nelle donne più giovani: questo tipo di approccio risulta essere utile anche in persone di oltre 60 anni, e non solo in ragazze giovani. Ciò è testimoniato anche dalla relazione con l’indice di massa corporea che permette di avere un controllo sul peso corporeo, variabile molto importante e di difficile gestione in donne anziane. Infine, il minor numero di sintomi depressivi è il risultato più rilevante di questo studio, soprattutto in funzione del fatto che è stato condotto su una popolazione ad alto rischio depressione, come quella composta da donne di oltre 60 anni.

Carrad, I., Rothen, S., & Rodgers, R. F. (2021). Body image concerns and intuitive eating in older women. Appetite, 164, 105275

 

La depressione post-partum ai tempi del COVID-19

Tra i tanti effetti della pandemia da COVID-19 attualmente in corso, si hanno numerose conseguenze negative come disturbi di panico, stress, ansia e depressione. Numerosi studi si sono concentrati su questi fattori, evidenziando che le donne sperimentano livelli più elevati degli uomini per quanto riguarda stress, ansia e depressione. Soprattutto durante la gravidanza e poco dopo il parto, le donne sono ulteriormente a rischio di sviluppare sintomi depressivi, che culminano con la diagnosi di depressione post-partum. L’obiettivo di un team di ricercatori cinesi era quello di indagare gli effetti psicologici della pandemia in donne che hanno appena partorito, in modo tale da valutare possibili effetti sulla depressione post-partum. Per questo motivo hanno condotto uno studio su oltre 200 donne in stato interessante di età compresa tra 20 e 44 anni (età media: 30 anni). Oltre la metà delle donne ha riportato un punteggio tale da essere considerata a rischio di depressione post-partum: circa una donna su quattro manifestava una tendenza depressiva mentre circa una su tre presentava dei sintomi depressivi. I risultati hanno evidenziato come le donne a maggior rischio di depressione post partum fossero le più giovani, con almeno un precedente caso di aborto. Inoltre, il punteggio di depressione post-partum era positivamente correlato al livello di stress percepito. Le analisi condotte hanno inoltre permesso di identificare quali fossero le variabili capaci di predire la depressione post-partum: è emerso come l’età fosse un predittore statisticamente significativo, così come un precedente aborto e il livello di stress percepito, mentre le altre variabili non incidevano sulla depressione post-partum; ad esempio, l’aver frequentato un corso pre-parto non fungeva da protezione circa la possibilità di sviluppare sintomi depressivi dopo il parto. Per concludere, questo studio ha innanzitutto posto l’accento sul fatto che più di una donna su due presenta sintomi di depressione post-partum: un livello molto più elevato rispetto a quanto osservato prima della pandemia. Per cercare di meglio identificare i potenziali fattori di rischio, è emerso come le donne di età compresa tra 25 e 34 anni sono quelle più a rischio, insieme alle donne con un elevato livello di stress percepito. Per questo motivo, gli autori suggeriscono di indagare eventuali sintomi depressivi durante la gravidanza al fine di identificare precocemente le future madri a rischio depressione post-partum, in funzione dell’aumentata incidenza riscontrata da quando è comparso il COVID-19.

An, R., Chen, X., Wu, Y., Liu, J., Deng, C., Liu, Y-. & Guo, H. (2021). A survey of postpartum depression and health care needs among Chinese postpartum women during the pandemic of COVID-19. Archives of Psychiatric Nursing, 35, 172-177.