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numero 7 - aprile 2013

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #7

Rassegna stampa #7

Il bullismo virtuale è reale

Il bullismo a scuola è un problema molto serio in numerosi paesi e genera gravi problemi nelle vittime sia a breve che a lungo termine. Dal momento che negli ultimi anni la diffusione di internet è cresciuta in maniera esponenziale, sia attraverso l’utilizzo di personal computer che di telefoni cellulari, è sorta l’esigenza di indagare il fenomeno del cyberbullismo, inteso come bullismo perpetuato a distanza ad esempio tramite internet. Infatti, a dispetto di un’enorme mole di letteratura riguardante il bullismo sono molto limitati gli studi che si sono concentrati sul cyberbullismo. A tale scopo un pool di ricercatori svedesi ha condotto uno studio su un ampio campione di adolescenti di età compresa tra i 15 e i 18 anni al fine di meglio comprendere il fenomeno. I risultati dello studio sono molto interessanti: innanzitutto, il fenomeno è purtroppo in rapida espansione dato che circa il 10% dei ragazzi ha dichiarato di essere coinvolto in fenomeni di cyberbullsimo. Un dato molto interessante riguarda la relazione tra bullismo “dal vivo” e “a distanza” che ha evidenziato come la maggior parte di vittime di cyberbullismo non è vittima di bullismo: infatti, solo il 25% dei ragazzi che ha dichiarato di essere vittima di bullismo “a distanza” ha dichiarato di essere vittima anche di bullismo “dal vivo”; a differenza di ciò, sono state osservate molto meno differenze in merito a chi perpetua bullismo: ovvero, i ragazzi che tendono a comportarsi da bulli molto probabilmente tendono anche ad essere dei “cyberbulli”. Inoltre, gli studiosi hanno osservato delle significative differenze di genere: le ragazze tendono maggiormente ad essere vittime di bullismo mentre i ragazzi ad essere bulli. Infine, i risultati di questo studio hanno evidenziato come le conseguenze associate al cyberbullismo siano uguali, se non peggiori, di quelle del bullismo “dal vivo”: infatti, anche il cyberbullismo mostra una stretta associazione con problemi quali la depressione. Per concludere, questo lavoro mette in risalto come l’espansione dei nuovi canali di comunicazione, come ad esempio i social network, possa comportare dei rischi che, purtroppo, non si limitano al solo aspetto virtuale della vita dei ragazzi.

Låftman, S. B., Modin, B. & Östberg, V. (2013). Cyberbullying and subjective health: A large-scale study of students in Stockhol, Sweden. Children and Youth Services Review, 35, 112-119. 

 

Il trattamento del disturbo post traumatico da stress nei militari

L’aver preso parte ad un conflitto bellico genera profondo stress negli ex militari ed è associato ad un’elevata probabilità di sviluppare problemi di natura psicologica, molto maggiore rispetto alla popolazione civile che non ha preso parte a nessun conflitto. In particolare, il disturbo post traumatico da stress è uno dei disturbi più comuni in questa particolare situazione, tanto che ne è affetto circa il 15% degli ex militari; la gravità del problema è data, da un punto di vista prettamente psicologico, dalle relazioni che il disturbo post traumatico da stress mostra con molti altri problemi psichici e fisici. Con lo scopo di fare luce sulla questione e di fornire un quadro in merito ai possibili interventi per il trattamento di questo disturbo, in questa particolare popolazione, due studiosi statunitensi hanno condotto una rassegna della letteratura scientifica sul tema. I due autori, innanzitutto, evidenziano come la pratica psicoterapeutica cognitivo-comportamentale sia quella maggiormente utilizzata nel trattamento del disturbo post traumatico da stress; in particolare, gli autori hanno evidenziato come vengano ampiamente utilizzate terapie evidence-based quali la terapia basata sull’esposizione, di natura cognitivo-comportamentale, la terapia cognitiva, lo stress inocoluation training, di natura maggiormente comportamentale, e l’eye-movement desensitation and reprocessing, di natura maggiormente cognitiva. Per concludere, i due studiosi hanno messo in luce come negli ultimi dieci anni siano stati fatti dei notevoli passi in avanti nel trattamento del disturbo post traumatico da stress, soprattutto grazie all’impiego di terapie evidence-based anche se, mettono in luce come ci sia ancora molto da fare al fine di incrementare l’efficacia degli interventi psicoterapeutici nella gestione di questo disturbo.

Steenkamp, M. M. & Litz, B. T. (2013). Psychotherapy for military-related posttraumatic stress disorder: Review of the evidence. Clinical Psychology Review, 33, 45-53. 

 

Che effetti hanno le vacanze scolastiche nei ragazzi?

Un attento esame delle curve di apprendimento degli studenti, siano essi universitari o più giovani, rivela come queste siano crescenti durante l’anno scolastico mentre siano fortemente decrescenti durante le vacanze, soprattutto quelle estive. Sulla base di queste considerazioni, due studiosi americani hanno messo a punto uno studio, dalla metodologia particolarmente rigorosa, al fine di comprendere l’andamento delle curve di apprendimento dei ragazzi così da poter ipotizzare degli specifici interventi. In particolare, lo studio è stato condotto su un campione molto ampio di studenti statunitensi assegnati in maniera casuale a più condizioni sperimentali. Senza entrare nel dettaglio del disegno della ricerca, i risultati emersi sono particolarmente interessanti. Innanzitutto, è emerso come le curve di apprendimento differiscano in funzione della specifica materia oggetto di studio e come siano in relazioni a caratteristiche socio-anagrafiche delle persone, come lo status socio-economico. Ad esempio, le curve di apprendimento di discipline scientifico-matematiche tendono a decrescere in misura maggiore rispetto alle curve di apprendimento di discipline maggiormente umanistiche; inoltre, le curve di apprendimento di studenti con uno status socio-economico alto tendono a non decrescere durante le vacanze estive, mentre le curve di apprendimento di studenti con uno status socio-economico medio tendono a restare invariate per quel che concerne discipline umanistiche mentre mostrano una decrescita per quel che concerne discipline più a carattere scientifico; per quel che concerne, invece, studenti con uno status socio-economico basso assistere ad una decrescita nelle curve di apprendimento in pressoché tutte le discipline è la norma. Infine, i risultati hanno evidenziato l’utilità di programmi formativi appositamente pensati per le vacanze estive in modo tale da seguire gli studenti durante questo periodo così da fornire un’organizzazione maggiormente strutturata per il mantenimento delle conoscenze acquisite, tanto che negli USA circa il 25% degli studenti prende parte a questi specifici programmi estivi di apprendimento.

Zvoch, K. & Stevens, J. J. (2013). Summer school effects in a randomized field trial. Early Childhood Research Quarterly, 28, 24-32. 

 

I bambini e la frutta e la verdura: un rapporto non idilliaco

I benefici di un’alimentazione sana che comprenda frutta e verdura sono ormai noti a tutti, com’è nota l’avversione dei bambini verso queste tipologie di cibi, tanto che meno del 15% di bambini di età compresa tra 4 e 8 anni consuma la giusta quantità di frutta e verdura. Per cercare di ridurre questo problema, numerosi governi hanno messo a punto dei programmi specifici, sia a scuola che non, ma la maggior parte di questi interventi non ha portato gli esiti sperati. Un gruppo di studiosi americani ha messo a punto una ricerca, condotta su un campione di bambini di 5 e 6 anni, per meglio comprendere le cause di questo comportamento. I risultati di questo studio sono plurimi: innanzitutto è emerso come i bambini preferiscano la frutta alla verdura, probabilmente perché ha maggiore contenuto energetico. Nonostante ciò, il fatto che ad un bambino piaccia la frutta o la verdura non è generalizzabile anche all’altra categoria di cibi: in altre parole, il gradimento verso la frutta e il gradimento verso la verdura sono due variabili tra loro indipendenti. Inoltre, è emerso come sapere che frutta e verdura sono cibi sani non è sufficiente a modificare le abitudini alimentari: questo sembra il motivo principale per cui i classici programmi di sensibilizzazione non sembrano funzionare. Un aspetto ulteriore riguarda differenze nello status socio-economico delle famiglie di provenienza: i bambini con uno status socio-economico basso sono più inclini al consumo di frutta e verdura. Infine, tra i diversi programmi di intervento presi in esame quello che funziona meglio riguarda il far provare ai bambini gli alimenti in esame: in altre parole, dopo aver assaggiato un frutto o una verdura è molto più probabile che tale cibo entri a far parte della loro dieta grazie al maggior gradimento che avrà. In sintesi, il consiglio per i genitori che emerge da questo lavoro è quello di far assaggiare ai bambini il maggior numero possibile di frutti e di verdure in modo tale da aumentarne la possibilità di un loro gradimento e, conseguentemente, incrementarne il consumo.

Schindler, J. M., Corbett, D. & Forestell, C. A. (2013). Assessing the effect of food exposure on children’s identification and acceptance of fruit and vegetables. Eating Behaviors, 14, 53-56.