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numero 66 - aprile 2019

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #66

Rassegna stampa #66

Il futuro di sesso e genere in psicologia: cinque sfide al genere binario

Fino ad alcuni anni fa il genere era considerato su un sistema binario ed era definito come un elemento biologicamente assegnato alla nascita, stabile nel tempo, saliente e significativo per il Sè, nonchè predittore di un certo numero di variabili psicologiche. Tale ipotesi però è stata contraddetta da numerose ricerche condotte in cinque diversi campi, studiati da cinque differenti professioniste in questa revisione pubblicata dall’American Psychiatric Association. La neuroscienza infatti ha dimostrato che non si può parlare di cervello maschile e cervello femminile ma la maggior parte degli individui è caratterizzata da un “mosaicismo” di aspetti dei due generi/sessi. La neuroendocrinologia comportamentale ha fatto emergere che androgeni e estrogeni sono ormoni che sono presenti in tutti gli umani, in modo dinamico e non stabilito dal sesso e possono essere condizionati da esperienze sociali legate al genere. La ricerca psicologica ha riportato che uomini e donne in molte variabili psicologiche non sono dimorfici, ma anche in questo caso sono simili e caratterizzati da mosaicismo di aspetti legati al genere. La ricerca effettuata su individui transgender e non-binari ha evidenziato che il sesso assegnato alla nascita non è un reale predittore di come la persona si identifica a livello di genere, e che alcune persone percepiscono il proprio sesso/genere come continuo o addirittura irrilevante per il proprio Sé. La ricerca nel campo dello sviluppo è giunta alla conclusione che la tendenza dei bambini a categorizzare gli altri in maschio e femmina può portare a stereotipi e discriminazioni di genere; riducendo queste pratiche sociali sarà possibile superare questa cultura binaria. Inoltre, il dualismo del sesso/genere ha implicazioni nella pratica clinica: diagnosi considerate più tipiche di un determinato sesso/genere possono portare a una sovradiagnosi del disturbo in quel sesso/genere e una sottodiagnosi in quello opposto, oltre che inficiare il trattamento del disturbo attribuendone le cause a elementi non corretti.

Hyde, J. S., Bigler, R. S., Joel, D., Tate, C. C., & van Anders, S. M. (2019). The future of sex and gender in psychology: Five challenges to the gender binary. American Psychologist, 74(2), 171.

 

Il problema mondiale dell’insufficiente quantità di sonno e le sue serie implicazioni sulla salute pubblica

Dormire un numero di ore insufficiente è associato con una ampia gamma di conseguenze negative per la salute. Nella revisione presentata da sei diversi autori provenienti da differenti regioni del globo, emerge che se si riposa sistematicamente per meno di sei ore a notte, il rischio di una morte prematura aumenta di dieci volte. In linea generale, gli adulti di un’età compresa tra i 18 e i 65 anni per avere un’ideale salute del sonno dovrebbero dormire sette ore o più a notte. Le conseguenze sulla salute più comuni sono di tipo cognitivo, quindi calo di prestazioni, di attenzione e percezione meno attenta dei pericoli, aumentando il rischio di incidenti, poi quelle relative all’umore, aumento l’irritabilità, sensazione di stanchezza che può diminuire la motivazione nelle attività, fino a favorire lo sviluppo di sintomatologie psicologiche ad esempio depressive o l’adozione di comportamenti a rischio alla guida o a lavoro. Esistono anche conseguenze gravi di tipo medico, come una maggiore probabilità di sviluppare patologie respiratorie, cardiovascolari, diabete, emicranie e aumentare il rischio di sviluppare delle cellule tumorali. Un insufficiente sonno può anche portare all’obesità, poichè assumere cibo fornisce all’individuo l’energia necessaria per sostenere la stanchezza.  Risulta quindi necessario, nell’ottica di migliorare la salute generale delle persone, adottare delle misure per favorire un corretto riposo (ambiente più favorevole, meno turni notturni, meno tempo davanti agli schermi ecc.) e promuovere uno stile di vita con orari regolari del sonno, una corretta alimentazione e dell’esercizio fisico.

Chattu, V., Manzar, M. D., Kumary, S., Burman, D., Spence, D., & Pandi-Perumal, S. (2019). The Global Problem of Insufficient Sleep and Its Serious Public Health Implications. Healthcare, 7(1), 1-16.

 

Cambiamento climatico e psicologia: gli effetti del surriscaldamento globale su aggressività e violenza

Il rapido cambiamento climatico porta con sè conseguenze di tipo sociologico, politico, sociale ma anche psicologico. Nella revisione proposta da due studiosi della Iowa State University (USA) esistono tre linee di ricerca per indagare l’influenza che l’aumento della temperatura globale sta avendo sulle persone. La prima si concentra su un tipo di relazione diretta (indagata tramite tre diversi studi sperimentali) tra individui e aumento della temperatura, ossia come essa provochi disagio nelle persone influenzandone pensieri e sentimenti, per esempio portando gli individui a reagire in modo ostile a stimoli neutri, fino addirittura a spingerli ad attuare comportamenti aggressivi. La seconda si occupa di un effetto più indiretto osservando che i bambini che hanno vissuto disastri ecologici e le loro conseguenze come mancanza di cibo, povertà, ecc diventino più facilmente adulti inclini alla violenza. Infine l’ultima linea di ricerca indaga lo spostamento in massa di una popolazione dovuta dal cambiamento climatico, ovvero il fenomeno dell’ ”ecomigrazione”, che ha come conseguenza l’aumento di conflitti tra gruppi di persone: nello stesso territorio le risorse sono destinate ad una popolazione più ampia e la povertà che ne consegue può spingere gruppi a scontrarsi tra di loro oppure, nella rassegnazione di non poter migliorare la propria condizione, ad unirsi a gruppi militanti o terroristici.

Miles-Novelo, A., & Anderson, C. A. (2019). Climate Change and Psychology: Effects of Rapid Global Warming on Violence and Aggression. Current Climate Change Reports, 1-11.

 

Uno studio randomizzato sull’efficacia della terapia assistita da animali su depressione, ansia e percezione della malattia in anziani istituzionalizzati

La depressione maggiore o più in generale sintomi depressivi, affliggono una grande parte della popolazione di anziani in strutture residenziali. La pet therapy con cani può essere prescritta ed è interamente centrata sul paziente e sui suoi interessi. L’efficacia di tale terapia infatti dipende dalla relazione che è presente tra medico, paziente, il cane ma anche l’educatore canino; quest’ultimo infatti deve essere in grado di scegliere il cane più adatto al comportamento e alla personalità dell’anziano e capire anche quale sia la modalità di interazione che più si addice al paziente. Nello studio proposto, attraverso un campione di 31 soggetti presenti da almeno due mesi in una struttura del Nord Italia, i quali hanno partecipato a sessioni di 30 minuti per 10 settimane, si conferma la nozione che gli animali aiutino gli anziani a distogliere l’attenzione dai propri sintomi e, attraverso la relazione con l’animale, viene stimolato un senso di serenità e tranquillità, influenzando positivamente l’umore e rafforzando le capacità sociali del soggetto. Nello specifico sono stati visti effetti positivi sulla perdita di motivazione, sul senso di isolamento sociale e sui sintomi depressivi che spesso caratterizzano gli anziani istituzionalizzati. È stata osservata anche una maggior partecipazione nel trattamento e, grazie alla coesione creata nel gruppo clinico, i pazienti sono riusciti a far emergere il loro comportamento spontaneo, spesso inibito dal cambiamento di spazio di vita e dall’interruzione dell’individualità vissuta dal soggetto nella propria quotidianità. Va considerato che lo studio è stato condotto in una singola struttura residenziale con un campione piuttosto ridotto, anche se le caratteristiche sociodemografiche dei soggetti sono varie. In ogni caso, i risultati ottenuti mostrano che questo tipo di terapia, proposta all’interno degli istituti per anziani, possa promuovere un maggiore benessere psicologico e stimolare le interazioni sociali e la creazione di legami.

Yakimicki, M. L., Edwards, N. E., Richards, E., & Beck, A. M. (2019). Animal-assisted intervention and dementia: a systematic review. Clinical nursing research, 28(1), 9-29.