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numero 63 - dicembre 2018

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #63

Rassegna stampa #63

"Selfie" pericolosi: gli effetti sull'umore e sull'immagine corporea nelle donne

Nell'ultimo decennio, i social network sono diventati una forma estremamente diffusa tra i giovani di comunicazione online, e i “selfie”, o anche detti autoscatti, sono la strategia di autopresentazione più comune. In particolare, sono le donne a caricare le foto e a gestire i propri profili personali molto più spesso degli uomini. Ma i social network sono stati anche associati a livelli più elevati di confronto sociale e di auto-oggettificazione, comportando una minore autostima, una salute mentale sempre più precaria e maggiori preoccupazioni per il proprio aspetto esteriore. Gli stessi mezzi di comunicazione sono stati inoltre accusati di promuovere un ideale di bellezza “estremo” che comporta diete dimagranti e che genera alti livelli di insoddisfazione corporea e di controllo del peso nelle donne. Ciò che ancora non è emerso dalle ricerche è una possibile relazione causale tra il modificare e il caricare un selfie sui social media e l’aumento di preoccupazioni per l’immagine corporea. Così, un recente studio condotto in Canada, ha testato in maniera sperimentale se farsi un selfie e pubblicarlo, ritoccandolo o meno, provochi un cambiamento dell'umore e dell'immagine corporea tra le giovani donne. 110 studentesse universitarie sono state assegnate casualmente a una delle tre condizioni sperimentali che prevedevano 1) di scattarsi e caricare un selfie non ritoccato sui social media 2) di scattarsi e caricare un selfie ritoccato sui social media e 3) un gruppo di controllo. Prima e dopo la manipolazione sono stati misurati stato d’animo e immagine corporea. Come ipotizzato, è stato riscontrato un effetto principale delle condizioni sperimentali sui cambiamenti di umore e sui sentimenti di attrattività fisica. Le donne che hanno scattato e pubblicato i selfie sui social media hanno riferito di sentirsi successivamente più ansiose, meno sicure e meno attraenti fisicamente rispetto a quelle del gruppo di controllo. Gli effetti dannosi dei selfie sono stati riscontrati anche quando le partecipanti potevano ritoccare i propri selfie. Questo è il primo studio sperimentale che dimostra che scattare e condividere i selfie sui social media provoca effetti psicologici avversi per le donne.

Mills, J. S., Musto, S., Williams, L., & Tiggemann, M. (2018). “Selfie” harm: Effects on mood and body image in young women. Body image27, 86-92.

 

Psicologia positiva online come aiuto per la depressione: quanto è accettabile secondo i pazienti?

Gli interventi di psicologia positiva includono brevi esercizi cognitivi e comportamentali che mirano a potenziare sentimenti, comportamenti e pensieri positivi. Alcune ricerche suggeriscono che tali interventi possano migliorare il benessere delle persone e ridurre i sintomi della depressione. Sempre più mezzi online, come le applicazioni e i siti web, vengono utilizzati per erogare interventi di psicologia positiva in quanto strumenti di auto-aiuto per chi soffre di depressione. Tale diffusione online rende accessibile a tutti la fruizione di interventi di salute mentale, tenendo conto che al giorno d’oggi sempre più persone in tutto il mondo soffrono di depressione. Inoltre, alcuni studi hanno riscontrato che la psicologia positiva è particolarmente adatta ad essere diffusa online, poiché incontra meno resistenze rispetto alle tradizionali pratiche terapeutiche che si focalizzano sul problema. Ad oggi, tuttavia, sono pochi gli studi che si sono soffermati su quanto tali servizi di psicologia positiva sul web siano considerati accettabili dai pazienti. Per tale motivo, uno studio condotto in Inghilterra ha indagato, attraverso delle interviste semi-strutturate, le esperienze di 23 utenti di un sito web di auto-aiuto di psicologia positiva. Utilizzando un metodo di campionamento mirato e stratificato sono stati selezionati partecipanti con diverse esperienze di intervento sulla base delle informazioni dichiarate in fase di registrazione (età, genere e sintomi depressivi). Inoltre, attraverso l’analisi del framework sono stati esplorati schemi e collegamenti presenti all’interno di uno stesso account e tra account diversi.
Dai risultati è emerso un grado di accettabilità variabile tra i diversi partecipanti: coloro che hanno ritenuto tali interventi maggiormente accettabili, li hanno considerati un aiuto rilevante per la propria depressione e hanno riportato dei sentimenti di responsabilizzazione. D’altra parte, chi ha ritenuto tali interventi meno accettabili ha percepito l’approccio positivo irrilevante per la propria depressione e non ne ha riscontrato alcun beneficio. Dunque, è emerso che l’accettabilità o meno di un intervento di psicologia positiva online può dipendere da una personale attitudine ad un approccio mentale positivo. Tuttavia, i pazienti potrebbero preferire anche diversi tipi di orientamento: le ricerche future dovrebbero indagare le preferenze per diversi tipi di orientamento terapeutico per renderle chiaramente identificabili e indirizzare più efficacemente gli interventi di auto-aiuto online nella pratica clinica.  

Walsh, S., Szymczynska, P., Taylor, S. J., & Priebe, S. (2018). The acceptability of an online intervention using positive psychology for depression: A qualitative study. Internet interventions13, 60-66.

 

Il ruolo dell'autostima nella relazione tra avversità e psicopatologia negli adolescenti

È stato ampiamente dimostrato che le esperienze avverse sono associate allo sviluppo di problemi psicologici, in particolare le persone che hanno più esperienze stressanti sono anche più probabili ad avere problemi psicologici, termine complessivo con il quale ci si può riferire a tutti tipi di psicopatologia. Tradizionalmente le ricerche su questo tema si sono concentrate su una struttura bidimensionale dei problemi psicologici differenziandoli in esternalizzanti, che si riversano verso l'esterno e gli altri, ed internalizzanti, che invece si sviluppano e mantengono all'interno. La maggior parte delle ricerche in questo campo sono state condotte con popolazioni adulte ed è stata scarsamente approfondita la relazione tra esperienze stressanti e l'insorgere di problemi psicologici durante l'adolescenza. L'incidenza di molti problemi, infatti, aumenta rapidamente dall'inizio di questa fase evolutiva e, considerando anche i cambiamenti tipici di questa fase, sorge logicamente la questione relativa a se e in che misura l'adolescenza è una finestra di vulnerabilità per gli effetti delle avversità derivanti dall'ambiente. Si pensa che diversi fattori moderino il legame tra le esperienze stressanti e la psicopatologia come ad esempio le strategie di coping, gli atteggiamenti, l'ambiente familiare. Un fattore decisivo da considerare che inizia a svilupparsi presto nell'arco della vita e di cui lo sviluppo nonché i correlati e le conseguenze di questo possono ricoprire un'importanza particolare è sicuramente l'autostima soprattutto durante gli anni adolescenziali dove l'esposizione a esperienze stressanti più o meno gravi è molto comune. È stato suggerito come l'autostima possa spiegare le differenze individuali nel legame tra esperienze stressanti e problemi internalizzanti, ma pochi sono gli studi che hanno indagato l'autostima come moderatore con i problemi esternalizzanti.
A tal proposito un gruppo di ricercatori olandesi ha studiato le relazioni tra esperienze stressanti, l'autostima e problemi psicologici sia internalizzanti che esternalizzanti, esaminando nello specifico se l'autostima ricopre un ruolo di mediatore indebolendo il legame tra avversità e psicopatologia durante l'adolescenza. Lo studio ha visto coinvolti 743 adolescenti di età compresa tra i 12 e i 18 anni provenienti da sei scuole secondarie dei Paesi Bassi ai quali sono stati somministrati strumenti per valutare l'impatto delle esperienze traumatiche, i problemi esternalizzanti e internalizzanti legati alla psicopatologia e infine l'autostima. Dallo studio è emerso che negli adolescenti le esperienze stressanti sono positivamente collegate sia ai problemi internalizzati che esternalizzanti (anche se questa relazione è risultata leggermente più debole) mentre l'autostima correla negativamente. I risultati hanno perciò supportano le precedenti ricerche, infatti gli adolescenti che hanno riportato più esperienze stressanti hanno anche più probabilmente riportato problemi psicologici anche per i problemi esternalizzanti, che risulta essere una relazione specifica dell'adolescenza, e che alti livelli di autostima possono moderare e indebolire questi legami. La ricerca sottolinea l'importanza delle interrelazioni tra esperienze di vita stressanti, i livelli di autostima e i problemi legati alla sfera psicologica offrendo degli spunti di riflessione per comprendere meglio il ruolo dell'autostima durante gli anni dell'adolescenza e le differenze individuali nella relazione tra avversità e psicopatologia poiché rappresenta le premesse per il funzionamento della vita adulta.

de Moor, E. L., Hutteman, R., Korrelboom, K., & Laceulle, O. M. (2018). Linking Stressful Experiences and Psychological Problems: The Role of Self-Esteem. Social Psychological and Personality Science, 1948550618795167.

 

La diagnosi di ADHD e le procedure di valutazione

L’ADHD, presente nella popolazione in età scolare dal 5% al 7%, è tra le condizioni più comuni durante gli anni dell'infanzia e che maggiormente influenzano le prestazioni scolastiche. Molti sono gli studi che si sono focalizzati sull'origine del disturbo ed è stato dimostrato non solo che per il 60% dei casi i sintomi continuano per tutta la vita ma anche che questa persistenza sia associata a una menomazione funzionale nel funzionamento psicosociale, educativo, professionale e familiare. I sintomi del disturbo possono non essere riconosciuti in quanto mascherati da sintomatologie appartenenti ad altre condizioni, perciò nasce la necessità di fornire ai professionisti degli strumenti diagnostici validi e specifici e data la variazione delle cause e le conseguenze comportamentali collegati ad esso, è importante disporre di strumenti adeguati per una diagnosi accurata. A tal proposito, alcuni studi e rassegne sistematiche hanno dimostrato l'utilità nel differenziare bambini con ADHD da quelli senza o con altre diagnosi dei “Continuous Performance Test” (CPT), test neuropsicologici finalizzati a valutare l'attenzione e l'impulsività in compiti neutri o di attenzione sostenuta fornendo dati quantitativi su diverse variabili di interesse. I CPT, anche se hanno una sensibilità sufficiente al disturbo, mostrano, secondo alcuni autori, una specificità inadeguata; infatti per ridurre errori diagnostici di falsi positivi e falsi negativi, sono necessari strumenti che garantiscono sia livelli di sensibilità che specificità al disturbo. Con lo scopo di migliorare i metodi di valutazione sono stati prodotti nuovi CPT sulla base della realtà virtuale, la quale permette agli individui di immergersi in un mondo virtuale, che si sono dimostrati buoni strumenti per la diagnosi differenziale di ADHD. Questi CPT virtuali hanno molti vantaggi rispetto alle misure neuropsicologiche tradizionali e rappresentano un'importante innovazione per la diagnosi di ADHD offrendo gli stessi compiti in un ambiente di valutazione più realistico ed ecologicamente valido. A tal proposito, uno studio spagnolo, seguendo questi risultati in letteratura ha confrontato il valore discriminante delle variabili di attenzione fornite dal CPT tradizionale (test TOVA) con quello CPT virtuale (Aula Nesplora). Hanno partecipato allo studio 338 alunni di età compresa tra i 6 e i 16 anni valutati metà con il metodo tradizionale e metà con quello virtuale, ogni campione è stato diviso ulteriormente in gruppo di controllo e tre gruppi ADHD rappresentanti il sottotipo disattento, sottotipo iperattivo-impulsivo e sottotipo combinato. Dai risultati è emerso che il CPT Virtuale Aula Nesplora ha mostrato più sensibilità e specificità alla sintomatologia dell'ADHD rispetto a quello tradizionale. Nello specifico le percentuali di bambini correttamente identificati con il sottotipo combinato di ADHD e bambini senza ADHD sono risultate simili per entrambe le procedure di assessment, mentre la percentuale di identificazione dei sottotipi disattento e  iperattivo-impulsivo sono state significativamente più alte con il CPT virtuale. La ricerca sottolinea la necessità di individuare adeguatamente la sintomatologia del disturbo di ADHD attraverso diagnosi più accurate e trattamenti specifici seguenti, per questo, data l'efficacia che entrambe le valutazioni hanno dimostrato, potrebbe essere utile incorporare e integrare i protocolli di valutazione correnti.

Rodríguez, C., Areces, D., García, T., Cueli, M., & González-Castro, P. (2018). Comparison between two continuous performance tests for identifying ADHD: Traditional vs. virtual reality. International Journal of Clinical and Health Psychology,18(3), 254-263.