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numero 114 - gennaio 2025

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #114

Rassegna stampa #114

La mindfulness nel trattamento della dipendenza da gioco

Nel mondo, quasi tre miliardi di persone giocano regolarmente con i videogiochi. Nonostante quest’attività possa portare dei benefici e soddisfare dei bisogni psicologici, alcuni giocatori sviluppano delle problematiche che possono sfociare in una dipendenza. Le persone che hanno difficoltà a regolare il loro coinvolgimento nel gioco, in particolare quelli con una dipendenza da gioco, spesso segnalano forti impulsi soggettivi a giocare. Una delle variabili potenzialmente implicata è il pensiero desiderativo, inteso come un processo cognitivo che porta all'escalation del desiderio, ritenuto essere un precursore dell'impulso di giocare. Per questo motivo, interrompere i processi implicati nel pensiero desiderativo può ridurre gli impulsi a giocare. La detached mindfulness, una pratica che mira a modificare il modo in cui le persone si relazionano alle proprie cognizioni, ai propri pensieri e le aiuta a sviluppare un controllo flessibile della propria attenzione e del proprio stile cognitivo, potrebbe essere in grado di ridurre il pensiero desiderativo. Nonostante ciò, in letteratura pochi studi si sono concentrati sull’efficacia di questa tecnica nella riduzione dei comportamenti legati alla dipendenza da gioco. Per questo motivo, un team di ricercatori australiano ha condotto uno studio per valutare l'efficacia di diverse tecniche per ridurre gli impulsi al gioco, su un campione di oltre 300 giocatori di videogiochi online. I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a tre differenti gruppi: mindfulness, rilassamento e controllo. La loro attività di giocatori è stata registrata all’inizio dello studio, prima e dopo il trattamento. I risultati hanno mostrato che il pensiero desiderativo aumentava significativamente l'impulso al gioco. Particolarmente interessante il fatto che la detached mindfulness non ha avuto alcun effetto significativo sulla voglia di giocare, mentre il rilassamento ha ridotto significativamente il desiderio di giocare rispetto a quanto emerso nel gruppo di controllo; in dettaglio, l’effetto positivo del rilassamento è stato più forte per coloro con impulsività da moderata ad alta. Questo studio da un lato conferma il collegamento tra pensiero desiderativo e voglia di giocare, mentre non ha confermato l’ipotesi per la quale la detached mindfulness comporti una riduzione del pensiero desiderativo, e una conseguente diminuzione dei comportamenti di gioco. Diversamente, sembrano funzionare tecniche di rilassamento: per questo motivo, i professionisti che hanno in cura persone con una dipendenza da gioco potrebbero pensare di applicare tali tecniche con dei brevi esercizi al fine di ridurre il pensiero desiderativo del gioco e, quindi, anche i comportamenti problema.

Nuske, J., Nuske, L., Hides, L. & King, D. L. (2025). Evaluating the effect of detached mindfulness techniques on gaming-related urges and intentions to play. Addictive Behavios, 163, 108258.

 

La dieta non è la soluzione al problema dell’obesità

L'obesità, definita come un eccesso di massa grassa corporea che porta a complicazioni mediche, è uno dei principali problemi di salute nel mondo occidentale. Storicamente, le diete sono la prima tipologia di trattamento per l'obesità. Tuttavia, alcuni studi hanno dimostrato che la dieta può determinare un aumento di peso a lungo termine; questo perché la relazione tra dieta e comportamento alimentare è complessa, in quanto la dieta potrebbe portare a dei cambiamenti nei comportamenti alimentari, alcuni dei quali sono associati all'aumento di peso. Infatti, in letteratura è ben noto come l'alimentazione incontrollata e quella emotiva siano più diffuse negli individui con obesità e tali problematiche non sempre vengono risolte attraverso una dieta ferrea in quanto le persone potrebbero perdere la capacità di percepire segnali interni, come fame o sazietà, essendo più spesso guidate da segnali esterni, come il piatto vuoto o l'alimentazione emotiva o incontrollata, per determinare la fine di un pasto. Per cercare di meglio comprendere se il seguire regimi dietetici si associ a una maggior dipendenza da stimoli esterni, dei ricercatori francesi hanno condotto uno studio su quasi 2000 persone affette da obesità. I risultati, particolarmente interessanti, hanno evidenziato come le persone che nella loro vita hanno seguito almeno tre diete diverse avevano un indice di massa corporea più elevato, così come un'alimentazione emotiva più elevata. Per concludere, il seguire un regime alimentare dietetico sembra poter funzionare meglio in persone che hanno una problematica di controllo dell’alimentazione, probabilmente grazie alla regolazione che ne deriva. Viceversa, senza un adeguato supporto psicologico, non sembra aiutare nella diminuzione del peso a lungo termine in persone che hanno disturbi alimentari caratterizzati da alimentazione emotiva. In questi casi, è necessario cercare di comprendere la natura e le cause che portano a questa tipologia di disturbo alimentare che non è eliminabile con la sola dieta, ma richiede un supporto a più ampio raggio.

Ducy, E., Romon, M., Amouyel, P. & Meirhaeghe, A. (2025). Associations between external eating cues, diet history and weight history in French subjects with obesity. Appetite, 207, 107868. 

 

I medici sono in grado di identificare gli episodi di maltrattamento sui minori?

Il maltrattamento sui minori è un problema di salute pubblica particolarmente rilevante: nei soli Stati Uniti si stimano circa 550 mila episodi di maltrattamento in un anno che causano circa 2000 vittime l’anno. Il pronto soccorso pediatrico è spesso il primo punto di contatto per i sospetti maltrattamenti sui minori e l’identificazione dell’episodio come un maltrattamento sui minori è spesso influenzata da molteplici variabili, come lo status socio-economico del paziente e la formazione e l’esperienza del medico. Per questi motivi si riscontra una grande variabilità nella decisione di segnalare o meno i casi di maltrattamento ai servizi preposti per la loro gestione, che può portare a mancati interventi o a interventi non necessari. Nonostante l’importanza di una corretta identificazione, non si hanno studi in letteratura in merito. Per cercare di colmare, almeno in parte, questo gap, quattro ricercatori americani hanno condotto uno studio al fine di valutare la variabilità nella scelta di segnalare i casi di maltrattamento sui minori tra i medici del pronto soccorso. Per fare ciò, è stato somministrato un questionario situazionale composto da sette scenari messi a punto da personale esperto negli abusi sui minori ad un campione di oltre 300 medici operanti in un pronto soccorso pediatrico; tali scenari differivano in base alla probabilità che l’episodio presentato fosse un sospetto maltrattamento su un minore. I risultati ottenuti sono particolarmente interessanti: dei sette scenari, i medici erano quasi d'accordo solo rispetto a uno scenario che presentava una situazione chiaramente non riferibile ad un maltrattamento. Per gli altri sei scenari, l'accordo variava dal 54,4% all'80,1%. In dettaglio, nei due scenari più evidentemente associabili ad un maltrattamento su minori le percentuali di identificazione erano del 55% e del 39% evidenziando come un elevatissimo numero di medici non ritenesse opportuno segnalare l’episodio alle autorità competenti. Nei due scenari volutamente ambigui, le percentuali erano molto diverse: nel primo caso il 72% dei medici ha identificato l’episodio come un maltrattamento, nel se caso solo il 20%. Particolarmente interessante il fatto che non siano state trovate differenze significative in base a variabili socio-demografiche del medico, come genere o anni di esperienza, nella scelta di segnalare l’episodio come potenziale maltrattamento. In sintesi, questo studio evidenza in maniera chiara come sia necessario un protocollo e una maggior formazione al personale medico da parte di professionisti del settore al fine di meglio identificare gli episodi di maltrattamento sui minori.

Lin, C., Rallo, J., Chao, J. & Sinert, R. (2025). Variability in choosing to report child maltreatment cases by pediatric emergency medicine physicians. Child Protection and Practice, 4, 100084. 

 

Il ruolo dello status socioeconomico nell’uso dei social da parte degli adolescenti

Gli adolescenti interagiscono con i social media in età più precoce e per periodi di tempo più lunghi ogni giorno. Molti studi hanno tentato di aiutarci a comprendere come l'attuale aumento dell'uso dei social media influenzi il benessere degli adolescenti. Un fattore particolarmente importante è lo status socioeconomico: infatti, questo è uno dei fattori di rischio ambientali più sostanziali per il benessere degli adolescenti; i bambini provenienti da famiglie con un basso status socioeconomico hanno tra due e tre volte più probabilità di sviluppare problemi di salute mentale. Tra le altre cose, trascorrono anche molto più tempo online e hanno meno probabilità di ricevere supporto da parte di assistenti e altri adulti nelle loro attività online. Nonostante ciò, il legame tra status socioeconomico e utilizzo di social media negli adolescenti non è tuttora noto. Utilizzando un ampio insieme di dati raccolti in dieci anni su oltre 20 mila adolescenti, un gruppo di ricercatori ha indagato l’esistenza di un’associazione tra il tempo trascorso sui social e livelli di benessere inferiori, oltre a valutare se le differenze nello status socioeconomico siano associate a effetti positivi o negativi derivanti dall’utilizzo dei social media. I risultati mostrano, in maniera non del tutto attesa, come gli adolescenti provenienti da famiglie con un basso status socioeconomico ​​abbiano meno accesso ai social. Tuttavia, quegli stessi adolescenti che hanno accesso ai social trascorrono più tempo a utilizzarli. Infine, in linea con le attese, è emerso come gli adolescenti di famiglie con un basso status socioeconomico dichiarino un minor livello di benessere e una minore soddisfazione verso la propria vita. In sintesi, questo studio ha permesso di mettere in luce il fatto che lo status socio-economico non sembri influenzare in maniera importante l’esposizione ai social degli adolescenti, e che il loro utilizzo non sia una delle principali cause del maggiore malessere esperito dagli adolescenti di famiglie con un basso status socioeconomico.

Kurten, S., Ghai, S., Odgers, C., Kievit, R. & Orben, A. (2025). Deprivation's role in adolescent social media use and its links to life satisfaction. Computers in Human Behavior, 165, 108541.