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numero 103 - marzo 2023

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #103

Rassegna stampa #103

L’influenza dei compiti motori e cognitivi sulla stima del tempo

La percezione del tempo riguarda l’esperienza soggettiva del trascorrere del tempo e può essere influenzata da molteplici fattori contestuali e fisici. Nonostante gli studi in merito all’accuratezza della stima temporale, non vi era chiarezza in merito alla sua interazione con i compiti cognitivi e motori. Vi sono ipotesi sull’influenza dei meccanismi attenzionali, di fattori fisici (temperatura corporea), stress, ansia, abuso di sostanze, età e genere, esperienza sportiva o musicale. L’obiettivo dello studio è stato quello di indagare la possibile interazione di compiti cognitivi e motori durante la stima del tempo. I 16 partecipanti (25.4 anni) hanno svolto quattro compiti cognitivi di differente difficoltà, tenendo conto del trascorrere del tempo: guarda (fissare un punto sullo schermo), leggi (leggere delle operazioni matematiche sullo schermo), risolvi semplice (risolvere operazioni matematiche semplici) e risolvi difficile (risolvere operazioni matematiche difficili). Per le prove sono state proposte due differenti condizioni motorie (camminare o stare seduti). Le quattro sessioni si sono svolte in giorni diversi, con intervalli di tempo da stimare distinti (15, 30, 60, 90 e 120 secondi) e differente velocità nella camminata. Dopo ogni prova è stata misurata la differenza tra la percezione del tempo del partecipante e quello reale e per i compiti di risoluzione è stata misurata la percentuale delle risposte corrette e la media del tempo di risposta. Dai risultati è emerso un effetto maggiore sulla stima del tempo di compiti cognitivi, intervalli di tempo, condizione motoria e della loro interazione. Per quanto concerne il genere, non vi sono differenze significative. Nel compito di lettura e in quelli di risoluzione, l’accuratezza è maggiore per gli intervalli di media durata, mentre si nota una tendenza alla sovrastima per le durate brevi e alla sottostima per le durate lunghe e per i compiti difficili, forse anche in base all’allocazione dell’attenzione. Per quello che riguarda la condizione motoria, i partecipanti tendono a una sovrastima del tempo in assenza di altri compiti da svolgere, forse anche per l’attenzione prestata solo alle durate soggettive; mentre se coinvolti nello svolgimento di altri compiti, soprattutto difficili, vi è maggiore sottostima della durata. Per concludere, dai risultati raccolti sembra che il sistema motorio e quello cognitivo interagiscano in maniera non lineare e che interferiscano con i processi di percezione del tempo. Si potrebbe ipotizzare che il compito motorio aumenti il peso dello sforzo cognitivo concomitante, soprattutto nella condizione di camminata. Sarebbe interessante testare questa ipotesi utilizzando diversi paradigmi, tra cui una velocità di camminata costante e regolare o cambiamenti di velocità ancora più pronunciati. 

Castellotti S., D’Agostino O., Biondi A., Pignatiello L., Del Viva M. M., (2022). Influence of Motor and Cognitive Tasks on Time Estimation. Brain Science, 12(3), 404.

 

Bilancio organizzativo e stress dei dipendenti in situazioni di crisi

La crisi pandemica ha posto il mondo delle organizzazioni di fronte a grandi cambiamenti gestionali e lavorativi, provocando nei dipendenti forte incertezza, stress lavoro correlato, ambiguità e conflitti di ruolo. Entro questo clima, alcuni dirigenti aziendali hanno risposto con l’applicazione di una cultura aziendale di bilancio, più stringente, al fine di ristabilire un clima e obiettivi di budget precedenti. Spesso, però, ne è risultata ancora più pressione nei confronti dei manager subordinati. Questo studio ipotizza la presenza di un’associazione tra l’aumento dei controlli di bilancio, il conflitto e l’ambiguità di ruolo in un contesto di crisi, come determinanti dell’esaurimento emotivo dei dirigenti. Un fattore di equilibrio importante nella relazione tra le variabili è la fiducia organizzativa, in quanto alla base dell’impegno organizzativo, della sicurezza psicologica, della soddisfazione lavorativa e di una buona performance dei dipendenti. A tal proposito, si ipotizza che la fiducia dei dirigenti nei loro supervisori possa ridurre l’effetto pressante del rafforzamento dei controlli di bilancio. È stato coinvolto un campione finale di 83 dirigenti, con responsabilità esecutive e che rispondono a datori di lavoro, provenienti da 55 aziende olandesi. Sono stati utilizzati strumenti self- report in modalità online che indagano l’impatto della crisi, la fiducia nel supervisore, l’ambiguità e il conflitto di ruolo, la percezione di emotività a lavoro, per individuare lo stress emotivo. Dai risultati emerge un’associazione effettiva tra l’impatto della pandemia e il rafforzamento del controllo di bilancio. Quest’ultimo risulterebbe positivamente associato all’aumento di stress emotivo, a causa di un maggiore conflitto, ambiguità di ruolo e stress lavoro correlato. Per quello che riguarda la fiducia nel supervisore, vengono confermati i suoi effetti positivi sull’ambiguità di ruolo, ma non sul conflitto di ruolo. Da qui, il lato oscuro della fiducia organizzativa: può esacerbare l’incertezza sugli obblighi di ruolo, aumentando, al tempo stesso, l’incompatibilità derivante dalle richieste lavorative. In questa situazione, è importante cogliere in maniera preventiva lo stress emotivo dei dirigenti, in quanto, con l’avanzare del tempo, può gravare in termini di costi sia sull’individuo sia sull’azienda. Tra le possibili soluzioni proposte, occorrerebbe una maggiore consapevolezza sui limiti e sulle conseguenze dei controlli di bilancio nei manager, specialmente di fronte a situazioni delicate come le crisi organizzative. Pertanto, ricerche future potrebbero focalizzarsi sull’individuazione dei fattori contestuali, protettivi e di rischio, utili alla comprensione del conflitto di ruolo e dell'esaurimento emotivo che derivano da una crisi organizzativa, ma anche dei fattori psicologici utili all’interpretazione delle modalità con cui gli individui solitamente affrontano le crisi organizzative.

Bedford D. S., Speklé R. F., Widener S. K., (2022). Budgeting and employee stress in times of crisis: Evidence from the Covid-19 pandemic. Accounting, Organizations and Society, 101(2022).

 

“Fear of Missing Out”: la paura di essere tagliati fuori

Compagni imprescindibili nella nostra quotidianità, i social media sono strumenti fondamentali per mantenere i legami sociali. Gli utenti mostrano esperienze di sé gratificanti, momenti sociali, dai quali uno “spettatore” a volte può sentirsi escluso o “diverso”, sperimentando stati di ansia, depressione, solitudine, paura di esclusione sociale. È così che si verifica la Fear of Missing Out (FOMO), la paura di essere tagliati fuori dalle esperienze sociali che, in soggetti vulnerabili ai disturbi dell’umore e alla dipendenza dai social può aumentarne il rischio di ipervigilanza. Questo dipende anche dalla frequenza di visualizzazione dei contenuti, dal bisogno di appartenenza al gruppo, dalla sua centralità e della paura di esclusione sociale. Questo studio è volto a comprendere l’esistenza di una relazione tra il need to belong, l’utilizzo dei social media e la FOMO. Il need to belong è noto come un bisogno innato nell’uomo, che contribuisce al mantenimento del benessere, ed i social rispondono a questa esigenza, nonostante i rischi legati alla visualizzazione dei contenuti. È stata ipotizzata anche la presenza di una relazione tra need to belong, paura di esclusione sociale, FOMO e centralità del gruppo, dove quest’ultima dipende dal grado di inclusione del singolo nel gruppo. Lo studio è stato condotto online ed ha considerato un campione di 490 studenti (20 anni) statunitensi. Sono stati utilizzati strumenti self-report che hanno indagato FOMO, need to belong,  centralità del gruppo (centralità e affetto percepito). Sono state inoltre misurate la paura di esclusione sociale e l’utilizzo dei social media. Dalle analisi effettuate risulta che il genere è predittivo del need to belong, della paura di esclusione sociale, dell’attribuzione di centralità al gruppo e dell’utilizzo dei social, da cui ne consegue una maggiore FOMO (per cui, diversamente dai ragazzi, le ragazze riportano valori più alti). Tuttavia, uno scorretto allineamento del campione, rende necessario considerare con cautela questi risultati. Analisi successive indicano il need to belong come maggiormente predittivo della FOMO. Centralità e affetto percepito presentano un’associazione indiretta con la FOMO, proprio perché rispetto ai membri periferici, i membri centrali del gruppo utilizzano di più i social. La paura dell’esclusione sociale non sembra predittiva della FOMO, forse perché spinge gli individui a cercare o a evitare attivamente l’inclusione all’interno del gruppo. Per eventuali studi futuri sarebbe interessante focalizzarsi sulle tre caratteristiche situazionali predittive della FOMO: significatività, rilevanza personale e popolarità degli eventi perduti. Questo perché la FOMO è associata ad esperienze sociali non vissute, desiderabili, rilevanti e popolari. Infine, soprattutto nelle scuole, è importante sensibilizzare e promuovere comportamenti sani nell’utilizzo dei social, vista i rischi della FOMO, nonché l’ansia legata ad essa e al social comparison.

Alabri A., (2022), Fear of Missing Out (FOMO): The Effects of the Need to Belong, Perceived Centrality, and Fear of Social Exclusion, Human Behavior and Emerging Technologies, 2022(12).

 

L’Acceptance and Commitment Therapy nei disturbi del sonno

L’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) risulta efficace nei casi di disturbi del sonno, anche se non è del tutto chiaro il suo ruolo nel miglioramento della qualità del sonno. Questa è la motivazione che ha sostenuto questo studio trasversale che ha coinvolto una popolazione di sopravvissuti al terremoto in Kermanshah (Iran), a quattro anni di distanza dall’accaduto, ancora affetta da conseguenze avverse a livello di salute psicologica, sociale e biologica. L’ACT si muove dall’assunto che i problemi psicologici derivano dall’evitamento, da parte del singolo, di eventi interni indesiderati (pensieri, emozioni, ricordi o sensazioni corporee) al fine di ridurre intensità e frequenza. L’applicazione dell’ACT nel trattamento di soggetti con disturbi del sonno sembra, produrre miglioramenti in termini di qualità del sonno, flessibilità psicologica, riattribuzione di valori positivi alla propria vita e nella riduzione delle credenze disfunzionali. Ai partecipanti (1094, 18-59 anni) sono stati presentati strumenti self-report che hanno indagato la qualità globale del sonno degli individui, il mantenimento del sonno, le problematiche di risveglio, l’interferenza con il funzionamento giornaliero e la preoccupazione globale del soggetto, ma anche, l’evitamento esperienziale, il sé contestualizzato, le credenze metacognitive del soggetto, i rischi e le conseguenze dei pensieri e i valori del soggetto. Dai risultati ottenuti risulta che circa il 30.2% dei partecipanti ha una scarsa qualità del sonno, mentre il 3% soffre di insonnia: il trauma successivo al terremoto ha creato un insieme di pensieri ruminanti, aumentando le problematiche legate al sonno. Inoltre, qualità del sonno e gravità dell’insonnia mostrano una forte correlazione con l’evitamento esperienziale e una moderata relazione con l’azione compiuta. Da questa relazione risulterebbe che l’evitamento esperienziale sia un predittore importante della qualità del sonno e della gravità dell’insonnia, perché persone di questo tipo evitano i propri pensieri ed emozioni intrusivi. Anche la defusione cognitiva, l’evitamento esperienziale e l’azione compiuta sono predittori del 19% della varianza nella qualità del sonno, mentre la dominanza del passato/futuro sul presente, evitamento esperienziale e azione compiuta spiegano il 27% nella gravità dell’insonnia. Le componenti dell’ACT sono risultano dunque positivamente correlate alle due variabili di partenza. Si può dedurre che, attraverso l’applicazione dell’ACT come modello di trattamento, le persone possono apprendere nuove modalità di riduzione di tensione legata ai pensieri, ad esempio mediante l’accettazione e la revisione dei propri valori. Considerata l’efficacia dell’ACT, studi futuri potrebbero affinare la ricerca, perseguendo un modello longitudinale e dati empirici, integrando gli strumenti self-report.

Zakiei A., Korani D., Sahraei Z., Rostampour M., Khazaie H., (2022). Predicting sleep quality and insomnia severity using the components of the acceptance and commitment therapy (ACT) model: A new perspective, Journal of Contextual Behavioral Science, 26(227-233).