QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

Qi, il magazine online di Hogrefe Editore.
Ogni mese, cultura, scienza ed aggiornamento
in psicologia.

numero 73 - dicembre 2019

Hogrefe editore
Archivio riviste

Recensioni

Mentalizzazione e disturbi di personalità

Mentalizzazione e disturbi di personalità

Recensione.jpg Anthony Bateman, Peter Fonagy
Mentalizzazione e disturbi di personalità
Raffaello Cortina, 2019
Pp. XVII+503, Euro 45,00

È ormai emersa in modo inequivocabile l’idea che il terapeuta competente è colui che sa (anche) mentalizzare e che, così facendo, aiuta il paziente a fare altrettanto. La ricerca e l’esperienza clinica in questo campo sono ormai molto avanzate e le conoscenze sull’argomento appaiono ampie e differenziate; ciononostante si sente ancora la necessità di riflettere sull’MBT, cioè il Mentalization-Based-Treatment, indirizzato in modo peculiare verso la cura dei disturbi di personalità. Un’area quanto mai complessa ed anche spesso ostica per il clinico che vi si impegna; un’area che ha al suo interno alcune declinazioni psicopatologiche ancor più ardue da trattare. Due di queste costituiscono l’obiettivo del libro scritto da Bateman e Fonagy: il disturbo borderline e il disturbo antisociale di personalità.
Il testo si articola in una Prefazione, quattro sezioni che ospitano complessivamente quindici capitoli, un capitoletto finale dedicato alle letture consigliate e l’Indice Analitico. Anche se i due autori presentano questo libro come una “guida pratica”, un manuale da studiare o consultare per dare la giusta fisionomia al trattamento basato sulla mentalizzazione, il lettore potrà reperire facilmente numerosi spunti teorici e metodologici di ampio respiro. In sintesi, direi che vedere questo libro semplicemente come un manuale ne ridurrebbe lo spessore – anche se ben si conosce “la fame” di indicazioni pratiche e operative che attanaglia soprattutto i più giovani i quali non saranno certo delusi da queste pagine.
La prima parte del volume vuole spiegare al lettore il senso della mentalizzazione – un vero e proprio “processo”, e non a caso molti preferiscono utilizzare l’inglese mentalizing per indicare l’aspetto dinamico del costrutto – entrando nello specifico delle questioni legate alla comorbilità e all’assessment della mentalizzazione. La sezione successiva espone i principi ed il focus del trattamento basato sulla mentalizzazione, specificando gli elementi che rendono un intervento terapeutico utile e propulsore della capacità di mentalizzare del paziente (naturalmente da parte di uno psicoterapeuta saggiamente mentalizing). La terza parte è tutta centrata sulla psicoeducazione in gruppo nell’ottica della mentalizzazione, partendo dall’assunto che “la psicoterapia di gruppo è un contesto ottimale in cui concentrarsi sui propri stati mentali e su quelli altrui" (p. 361). L’ultima sezione prende in esame la possibilità di favorire e sviluppare i processi di mentalizzazione all’interno di quel particolare “sistema” che è rappresentato dalla famiglia (in specie, dalla famiglia del paziente). Si tratta di un punto particolare a cui gli autori appaiono sensibili probabilmente proprio perché la mentalizzazione si è sviluppata nell’ambito dell’assistenza di base, un contesto in cui le famiglie dei pazienti sono spesso trascurate o, comunque, poco sostenute.
L’ MBT è nato e si è sviluppato a partire dagli Anni Novanta e – come affermano i due autori – è cresciuto e si è ampliato molto al di là delle attese, suscitando consensi e ottenendo successi forse addirittura non del tutto meritati (parole di Bateman e Fonagy). Ideato nei contesti ospedalieri per curare i disturbi borderline di personalità, con una serie di cambiamenti significativi nel corso del tempo, l’approccio basato sulla mentalizzazione (o alcune sue forme) è oggi applicato ben al di là degli ambiti in cui è nato.
Come si afferma spesso quando si parla di mentalizzazione (o di funzione riflessiva) si tratta di saper vedere e rappresentare la propria mente e la mente altrui, oppure, con altre parole, riuscire a percepire e sentire gli altri dall’interno, e svolgere il medesimo processo verso di sé, ma dall’esterno. Processo psicologico fondamentale per la vita di relazione in generale (e non solo per la salute mentale), la mentalizzazione consente di comprendere gli altri e se stessi, incidendo anche su elementi basilari del Sé, tra cui l’identità personale. Sullo stesso argomento è in particolare da segnalare il lavoro di Jon G. Allen, Peter Fonagy e Anthony Bateman, La mentalizzazione nella pratica clinica (Raffaello Cortina, 2010), un libro che espone l’applicazione del trattamento basato sulla mentalizzazione alle problematiche del trauma e della prevenzione della violenza all’intero dei sistemi socio-organizzativi. Inoltre in questo testo si tratta dell’approccio psicoeducativo e del trattamento della diade genitore-bambino sulla base di numerose esemplificazioni cliniche e di commenti ad esperienze pratiche relative alla spiegazione che il terapeuta può fornire al paziente per aiutarlo a comprendere il valore della mentalizzazione. Ma ormai sono numerosi i testi che trattano della mentalizzazione, e in molti di essi compaiono – tra gli autori – i nomi di Fonagy e di Bateman (volumi tutti tradotti dall’inglese dall’editore Raffaello Cortina), insieme ad altri noti esponenti di tale filone clinico-teorico come Mary Target e Elliot Jurist.