QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

Qi, il magazine online di Hogrefe Editore.
Ogni mese, cultura, scienza ed aggiornamento
in psicologia.

numero 106 - settembre 2023

Hogrefe editore
Archivio riviste

Recensioni

Mentalizing in Psychotherapy. A Guide for Practitioners / Speed. The Life of a Test Pilot and Birth of an American Icon

Mentalizing in Psychotherapy. A Guide for Practitioners / Speed. The Life of a Test Pilot and Birth of an American Icon

81Nit6LlpsL._AC_UF1000,1000_QL80_.jpg Carla Sharp, Dickon Bevington
Mentalizing in Psychotherapy. A Guide for Practitioners
Guilford Press, 2022, pp. XX+210
$ 35.00 (Hardback) 

Introdotto da una sintetica ma interessante Prefazione scritta da Peter Fonagy questo volume fornisce senza dubbio una rappresentazione chiara, concreta e tutto sommato sintetica della mentalizzazione e della MBT, la Mentalization-Based Therapy, un indirizzo che ha ormai una sua precisa storia e che a pieno diritto si è inserito, non senza difficoltà e con tempi medio-lunghi, nel novero degli approcci e delle tecniche terapeutiche.
Il testo è collocato nella serie Psychoanalysis and Psychological Science in cui sono apparsi altri volumi di grande interesse come Minding Emotions: Cultivating Mentalization in Psychotherapy (2019) di Elliot Jurist, e Attachment and Psychoanalysis: Theory, Research, and Clinical Implications (2013) a firma di Morris N. Eagle (entrambi tradotti e pubblicati in italiano dall’editore Raffaello Cortina).
Nel contesto delle opere fino ad oggi pubblicate sulla mentalizzazione e sull’indirizzo terapeutico di riferimento questo di Carla Sharp e Dickon Bevington ha il pregio di presentarsi come un testo pratico, scritto in modo molto chiaro, evitando l’utilizzo di tecnicismi, ricco di esempi ma anche di spunti di riflessione che rimandano ad una serie di approfondimenti e collegamenti trasversali. Di sicuro interesse per i colleghi meno esperti e per tutti coloro che operano a contatto non solo con il classico disturbo borderline di personalità – la MBT è ancora oggi fortemente legata (e consigliata) per il trattamento di questa specifica psicopatologia – il libro costituisce una preziosa summa anche per coloro che sono professionisti esperti e che hanno la necessità di un testo di consultazione di pronto utilizzo. Inoltre, questo scritto, come pressoché tutti gli altri pubblicati sul tema, tende costantemente a unire la pratica professionale con i risultati delle ricerche empiriche, rimanendo fortemente legato al mondo reale, alle necessità vere del paziente sofferente, ed anche all’esigenza che il terapeuta sia egli stesso aperto mentalmente, empatico e, in una parola, mentalizzante.
Muovendosi nella direzione dell’approccio dimensionale e non categoriale alle sofferenze psicologiche, da ogni riga trapela l’attenzione all’essere umano, recuperando quel tratto di umanesimo che si è perso nel novero delle tante terapie manualizzate, codificate e standardizzate.
Uno dei punti che caratterizza la mentalizzazione e la terapia su di essa basata è l’idea che questo approccio sia compatibile con molte, se non tutte, le impostazioni teoriche oggi in essere nel complesso mondo delle psicoterapie; su tale onda gli autori enfatizzano l’utilità di diffondere la MBT nell’ambito dei servizi proprio al fine di poter implementare l’efficacia delle diverse terapie che lì sono praticate (vedi il mio recente libro Scegliere lo psicoterapeuta. Una guida per pazienti e terapeuti). 
Il testo si snoda sulla base di nove capitoli iniziando con il definire la mentalizzazione e seguendone lo sviluppo nell’arco di vita; spazi specifici sono dedicati alla valutazione della mentalizzazione, alla diagnosi dell’assetto mentale e alle difficoltà che una persona, in specie il paziente, può incontrare nel lasciarsi andare nella direzione di entrare in contatto autentico con sé stesso e con l’interlocutore. Il sesto capitolo espone i principi di base della MBT, a cui segue una serie di indicazioni sul genere di intervento da compiere, arricchita da numerose vignette cliniche.
L’idea della mentalizzazione è stata da alcuni accostata a quelle di funzione riflessiva e di monitoraggio metacognitivo, una linea di tendenza che sembra indicare in modo abbastanza armonioso e univoco una stessa dimensione mentale ed interpersonale, tanto è vero che talune tecniche di stampo cognitivista non sembrano essere poi così lontane dalla mentalizzazione tradotta in MBT.
In effetti, tra gli obiettivi di questo libro vi è quello di demistificare la mentalizzazione, esponendola in modo lineare ma evitando anche quegli approcci superficiali al concetto che non hanno di certo reso un buon servizio alla chiarificazione dell’approccio né alla realizzazione di quella posizione mentalizzante che è così spesso qui richiamata.  Sono altresì sottolineati quei fattori comuni che si possono individuare sui due versanti del discorso: nell’ambito delle sofferenze mentali, da un lato, e nelle diverse scuole terapeutiche, dall’altro.
La mentalizzazione – che affonda le radici nell’opera pionieristica degli analisti e psicosomatisti francesi degli Anni Novanta – emerge non come un nuovo indirizzo terapeutico bensì come un importante fattore comune delle psicoterapie, recuperando concetti ed indicazioni già presenti in letteratura e, soprattutto, nelle pratiche cliniche, con l’avvertenza che non si tratta di un concetto solo di stampo cognitivo, ma di una dimensione che mette insieme gli aspetti affettivi e cognitivi.
Un’adeguata capacità di mentalizzare si basa sul raggiungimento di un buon equilibrio tra le quattro polarità che sono: sé – altri; implicito e automatico – esplicito e controllato; affettivo – cognitivo; interno – esterno.
Si tratta di capacità che, nel corso dello sviluppo, tendono a costituirsi come qualità fondamentali nell’individuo (naturalmente se lo sviluppo, e l’ambiente intorno, sono sufficientemente sani), considerando anche il fatto che alcune modalità di funzionamento mentale sono adattive nel corso dell’infanzia o dell’adolescenza ma risultano disfunzionali se presenti nell’età adulta; emerge, qui, il ruolo fondamentale dei caregivers, la loro stessa capacità di mentalizzare o di esprimere quella funzione riflessiva che permette al bambino di costruire fiducia in se stesso e nel mondo intorno. Ma gli autori non si nascondono le difficoltà: soprattutto le difficoltà di applicare questa prospettiva a pazienti altamente danneggiati e scarsamente collaborativi; e, da tale punto di vista, si deve apprezzare la chiarezza e la trasparenza con cui sono evidenziati i possibili limiti della terapia basata sulla mentalizzazione.

 

81htSxgZIqL._AC_UF1000,1000_QL80_.jpg Bob Gilliland, Keith Dunnavant
Speed. The Life of a Test Pilot and Birth of an American Icon
Potomac Books. University of Nebraska Press, 2021, pp. XII+254
$ 34.95 (Hardback)

In questi tempi di una guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina, tra i tanti argomenti emergenti ve ne è uno che torna costantemente alla ribalta e cioè il controllo degli spazi aerei e la supremazia delle aviazioni militari sia in ottica difensiva, sia in ottica offensiva. Capita quindi a proposito un testo come questo dal titolo-flash Speed in cui si narrano situazioni di volo, formazione, operazione e addestramento: un testo basato peraltro su documentazione di recente declassificata, nel quale risalta costantemente la componente umana (il famoso fattore umano) e l’aspetto della psicologia nelle declinazioni della psicologia individuale e di team. Si può dunque dire che in filigrana, in queste pagine, si possono trarre numerosi e importanti spunti afferenti al campo complesso della Aviation Psychology.
Con la Prefazione di un pilota molto famoso – Chesley ‘Sully’ Sullenberger, pilota di caccia della U.S. Air Force ma noto per aver comandato l’Airbus A-320 gravemente danneggiato dall’impatto con uno stormo di oche del Canada che ammarò nel fiume Hudson il 15 gennaio 2009 evitando una catastrofe – questo volume ripercorre alcuni momenti salienti della vita professionale del capo pilota collaudatore della Lockheed Bob Gilliland.
Il resoconto prende le mosse dal giorno 22 dicembre 1964 quando il pilota, all’epoca trentottenne, collaudò un aereo sviluppato in una base segreta (la Skunk Works); l’aereo era l’SR-71 Blackbird, un velivolo dalla tecnologia sofisticata che è rimasto nella storia dell’aviazione militare ed ancora oggi rappresenta un punto di riferimento sia per quanto riguarda la progettazione e i materiali utilizzati per la sua costruzione, sia per le prestazioni che può raggiungere.
In queste pagine Bob Gilliland (scomparso il 4 luglio 2019 all’età di 93 anni) ripercorre la propria storia fin dagli inizi del confronto con la figura paterna e la spinta da lui ricevuta ad eccellere in qualunque attività avesse potuto intraprendere. Dalla formazione presso la United States Naval Academy, fino al comando dei caccia F84 nella guerra di Corea, Robert J. Gilliland, attirò ben presto l’attenzione su di sé, venendo scelto come pilota collaudatore nel team che si occupava di ricerca & sviluppo dell’aeronautica militare, addestrando numerosi giovani piloti ai comandi del Lockheed F-104 Starfighter.
Noto per una serie di operazioni assai complesse, come diversi atterraggi con l’F-104 dead stick, (cioè a motore fuori uso) ha lavorato nell’area segreta 51 nel deserto del Nevada al fine di testare un velivolo capace di raggiungere elevate velocità, superiori a Mach 3, cosa che condusse alla realizzazione di un primo modello che fu anche utilizzato dalla CIA in alcuni programmi segreti, in specie il programma Oxcart.
L’SR-71 svolse un ruolo centrale soprattutto negli anni della Guerra Fredda consentendo di raccogliere dati ed informazioni, volando a 85.000 piedi e rimanendo quindi praticamente invisibile ai radar. Come è stato detto, in quei tempi le frontiere dell’aeronautica militare sono state estese con il contributo di una persona che ha saputo equilibrare doti come coraggio, responsabilità, senso del rischio e desiderio di spingersi oltre i limiti, venendo inserito nella National Aviation Hall of Fame nel 2017 proprio per la sua attività pionieristica.
Oggi l’importanza della componente aeronautica nel contesto delle forze armate è evidente, ma non sempre è stato così come è percepibile consultando l’interessante libro a firma di James K. Libbey Alexander P. de Seversky and the Quest for Air Power in cui si mostra come l’opera di un pilota russo, naturalizzato americano, abbia contribuito a dare spazio all’aviazione, essendo egli stesso riconosciuto come profeta e sostenitore dell’aeronautica, e venendo nominato consigliere del Capo di Stato Maggiore della U.S. Air Force: nel 1970, l'Aviation Hall of Fame lo definì come “ingegnere aeronautico, inventore, industriale, autore, stratega, consulente e iniziatore di importanti progressi scientifici nella progettazione di aeromobili e nella tecnologia aerospaziale”.