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numero 85 - marzo 2021

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Mental coaching per lo sport

Mental coaching per lo sport

Nella storia dello sport l’aspetto emotivo e mentale è stato snobbato per anni. Dopotutto se ci pensiamo persino la figura del preparatore atletico è piuttosto recente. Ora è data per scontata e normale ma tempo fa non esisteva e i primi furono persino derisi. È normale sentire dichiarazioni di allenatori e atleti che parlano dell’aspetto mentale ed emotivo, succede sempre, ma nonostante questo c’è molta ignoranza e sospetto verso la figura del preparatore mentale o mental coach. Un po’ è causata dagli stessi operatori del settore che spesso si presentano male, fanno i fenomeni o sono improvvisati. All’inizio, quando ci sono cose nuove, è sempre un po’ così.
Cerchiamo insieme di vedere di cosa si tratta. Tutti sappiamo che la performance, unica cosa che conta nello sport, è il risultato di quattro aspetti: fisico, tecnico, tattico e mentale. Ovviamente quest’ultimo non è più importante dei primi tre e non può fare miracoli. Se un atleta è infortunato o peggio ancora scarso tecnicamente il mental coaching non sarà la soluzione.

Le origini del mental coaching

La paternità della preparazione mentale è data a Tim Gallwey autore del famoso libro Il gioco interiore del tennis. Gallwey era allenatore della squadra di tennis dell'Università di Harvard e lavorando con i suoi atleti si accorse che il linguaggio interno, cioè cosa si diceva mentalmente l’atleta, influenzava molto la performance. Dopo un po’ di lavoro elaborò la prima formula del coaching: P – i = p. Che significa Potenziale meno interferenze uguale performancesottolineando che la P di potenziale era maggiore a quella di performance. Il compito del mental coach è appunto minimizzare l’impatto delle interferenze interne come: pensieri, emozioni, paure e così via… o addirittura usarle per aiutare l’atleta a fare anche meglio proprio a causa di queste interferenze, come fecero le ultime due nazionali di calcio che vinsero la coppa del mondo. 
Sembra che in Unione Sovietica abbiamo iniziato molto prima, anche con la ricerca sul doping, ma abbiamo poche informazioni a riguardo. In molti sport la psicologia sportiva ha iniziato da subito ad utilizzare metodi di allenamento mentale, come nello sci in cui la visualizzazione si usa da molto tempo ormai. Il buon senso ci dice che se alleniamo il corpo per avere una performance migliore dovremmo farlo anche con la mente, ma ecco qualche dato.

  • Può migliorare fino al 57% delle proprie prestazioni (British Psychological Society
  • L’Academy del Chelsea ha identificato che il 95% dei giovani giocatori ha problemi legati all’aspetto mentale.
  • Il 75% degli atleti seguiti da Sortsmind in Australia dichiarano di aver migliorato i loro risultati notevolmente. 
  • L’International Journal of Sport Psychology dichiara che gli atleti che fanno la preparazione mentale si sentono meno stanchi e hanno tempi di recupero più brevi.
  • Uno studio pubblicato nel 1987 da Gould, Hodge, Peterson, e Petlichkoff, dichiara che il 90% degli allenatori che utilizzano un preparatore mentale hanno molti benefici.

Vantaggi del mental coach

Quindi a cosa può servire un mental coach? Può aiutare ad affrontare e risolvere situazioni legate a: stress, blocchi mentali, autoconvinzione, autostima, cali di forma, attenzione, concentrazione, ansia da prestazione, aggressività. Oppure a definire gli obiettivi in modo pratico ed efficace, o ancora ad aiutare gli atleti a raggiungere il più alto livello di prestazione. E anche a migliorare la comunicazione con il resto dello staff o con l’esterno.
Solitamente se è parte dello staff, cioè non lavora solo con l’atleta che lo ha contattato privatamente, affianca lo staff tecnico e riporta all’allenatore, nel mio caso all’Inter o quando ero in Olimpia Miano era così. In altri casi, con atleti che mi hanno contattato privatamente è un rapporto professionale diretto. Se è parte del team, il mental coach si occupa di identificare, insieme allo staff, aree in cui l’atleta può migliorare a livello mentale. In alcuni casi può aiutare lo staff medico e dei fisioterapisti nel recupero degli atleti infortunati, e sicuramente aiuta lo staff a leggere le dinamiche di gruppo e a costruire la squadra.
È di supporto per la comprensione dei comportamenti degli atleti e per la definizione di richiami, provvedimenti e per motivare nei momenti decisivi. Collabora sempre con lo staff per motivare e facilitare la comunicazione. 
Di fatto è una risorsa in più che grazie alle sue competenze aiuta sia gli atleti sia il resto dello staff. Può essere utile perché spesso il giocatore è più sincero con il mental coach perché sa che non decide lui chi entra in campo. Spesso gli atleti sono “soli” e non sanno con chi aprirsi. Se sono fortunati hanno amici o parenti che sanno ascoltare e sanno aiutare veramente. Spesso queste figure sono invece inadeguate e il giocatore non ha un confronto sincero e intimo con nessuno. A volte ho trovato atleti restii a rivolgersi allo psicologo perché spesso lo identificano con qualcuno da cui si va quando si hanno dei problemi. Il mental coach è una figura di campo quindi vista con occhi diversi sia dall’atleta sia dallo staff. Inoltre, essendo un preparatore, non uno psicologo, è più focalizzato ad aiutare il miglioramento della performance. Per fare un esempio sbagliato, il mental coach è più paragonabile al preparatore atletico, mentre lo psicologo dello sport al dottore. 
C’è ancora molto da fare. Serve più comprensione del ruolo e più professionalità degli addetti ai lavori però siamo sulla buona strada. Ormai anche in Italia sempre più campioni ammettono di avvalersi di un professionista per l’aspetto mentale e lo stesso fanno alcune squadre e federazioni. La pressione sportiva, mediatica, famigliare per citarne solo alcune è sempre più alta. Tutti abbiamo bisogno di strumenti e aiuti. Gli atleti che in poco tempo devono fare la performance preparata con tanta fatica sanno che l’emotività e la mente possono essere un grande ostacolo o un enorme risorsa. Vale la pena essere preparati.