QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

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numero 64 - febbraio 2019

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Le competenze dei senior

Le competenze dei senior

Il cambiamento

Quando si parla di valutazione di potenziale, mappatura e bilancio di competenze e consulenza di carriera, quasi sempre si pensa a giovani in cerca di prima occupazione o a giovani risorse su cui l’azienda sta facendo la riflessione sul fatto che siano o meno in grado di “fare il salto” verso una posizione manageriale. Si sente parlare di competenze che si acquisiscono nelle Università, delle paure dei neolaureati di non essere abbastanza formati nella pratica di quello che si andrà a fare.
Tuttavia, si riflette forse, ancora troppo poco sulle competenze dei senior. Già perché la riforma Fornero, la crisi economica e la trasformazione digitale hanno messo alla prova una bella fetta di popolazione di lavoratori; quelle persone che da trent’anni hanno sempre operato nello stesso contesto organizzativo e ora si trovano a dover rivedere, modificare o stravolgere completamente il loro ruolo. Questo perché le competenze richieste cambiano, perché le aziende purtroppo chiudono, perché le aziende si fondono con altre cambiando cultura organizzativa, metodi, usanze, consuetudini.
E noi psicologi che lavoriamo come formatori e consulenti di carriera, sempre di più ci troviamo in aula a confrontarci con persone che hanno paura, che fanno i conti con il senso di inadeguatezza, la malinconia, talvolta con la rabbia, con la confusione e la fatica a dare un senso.
Nel lavoro del consulente di carriera e del formatore, quindi, sempre di più diventa centrale porre attenzione a metodi, strumenti di apprendimento, comunicativi e, soprattutto, relazionali con una popolazione di lavoratori che si trova ad affrontare cambiamenti radicali che non vanno a intaccare solamente il ruolo ma soprattutto l’identità. Già perché vallo a spiegare a Franco, un metalmeccanico di 53 anni dell’azienda X che per trent’anni ha saldato che a fine anno lo stabilimento chiuderà e lui smetterà, non di fare, ma di essere il metalmeccanico dell’azienda X. Non c’è in gioco solo un ruolo, c’è in gioco l’identità. Franco non è che fa il metalmeccanico nell’azienda X; Franco è il metalmeccanico di quell’azienda; i suoi colleghi lo chiamano “Scheggia” perché è veloce a saldare, i suoi capi lo fanno parlare direttamente con i fornitori perché tanto come lo conosce lui il ferro e l’acciaio non lo conosce nessuno. “Il lunedì mattina prendiamo il caffè tutti insieme alle 06.30 perché è da trent’anni il nostro modo di iniziare bene la settimana”.
Riuscite solo ad immaginare com’è per Franco smettere di essere tutto questo?
E quando noi ci ritroviamo davanti a Franco a fare con lui un percorso di outplacement come sarà per noi? Come sarà per lui? Dove e come sarà il nostro “Incontro”?
Capite cosa voglio dire quando parlo di strumenti relazionali che ci servono al giorno d’oggi per essere consulenti di carriera?
Ci sono anche altre situazioni, un po’ meno dure sul piano emotivo ma che ci mettono comunque alla prova.
Marcello ha lavorato per venticinque anni come meccanico di tram nella sua città. Lui non è un meccanico, è Il Meccanico. Lui sa tutto dei tram della sua città, i suoi colleghi dicono che ami più i tram che sua moglie; lui sorride sornione, dice che non è vero e dice anche che le donne restano comunque al centro della sua attenzione, sventolando un calendario da officina che troneggia nel solito posto da venticinque anni.
Da un po’ i tram hanno molte meno componenti meccaniche e molte più componenti elettroniche. A Marcello viene richiesto di rivedere molto il suo modo di essere meccanico. Noi possiamo avere un sacco di fiducia che Marcello possa farcela. Ma lui? Siamo pronti a mettere la mano sul fuoco che Marcello si senta sicuro in questo cambiamento? E quando saremo in aula a fare un corso sul cambiamento e sulle resistenze al cambiamento come ci incontreremo noi e Marcello? Come ci guarderà? E noi come risponderemo a quell’occhiata? Marcello in aula mi guardò scoraggiato quando gli chiesi come vivesse i cambiamenti aziendali che stava attraversando e mi disse: “Sembri giovane ma forse guardavi Star Trek. Ricordi cosa dissero i Borg? Dissero: noi siamo i Borg. Voi verrete assimilati. La resistenza è inutile. Ecco, è così che io mi sento”.

Essere consulenti oggi

Comprenderete che essere consulenti di carriera e formatori oggi, avendo sempre di più a che fare con contesti simili a quelli descritti è tutt’altro che semplice.
Non ce l’ho una ricetta magica ma vi posso dire cosa mi aiuta a fare questo lavoro:

  • Non avere paura della paura: spesso la diffidenza nasce dalla paura che il cambiamento di per sé suscita. Le persone spesso hanno paura di ciò che li attende e di ciò che potrebbe essere. Ciò che non conosciamo e che non possiamo controllare è normale che ci spaventi. Spesso la paura genera atteggiamenti negativistici, schivi, scoraggiati o addirittura rabbiosi. Pensiamo al senso che possono avere per le persone queste emozioni e cosa ci stanno dicendo. Questo non vuol dire farci maltrattare o restare passivi. Vuol dire solo di comprendere il senso; se comprendiamo il senso è più facile cogliere un bisogno. Noi non possiamo dare certezze alle persone sul loro futuro ma possiamo aiutarle a trovare i loro punti di riferimento interni ed è già un punto fermo che può ridurre l’ansia.
    Le persone spesso perdono di vista le cose che sanno fare e il loro valore; banalmente perché lo danno per scontato. Fermarsi, riflettere su di sé mettendo a fuoco le risorse che si hanno, può dare una spinta incredibile.
  • Ascoltare, ascoltare, ascoltare: ascoltiamo quello che le persone ci portano; le loro storie di vita, gli aneddoti, le storie aziendali, i racconti ecc… ci dicono molto su come la persona costruisce la sua identità professionale. Se io so che Franco viene chiamato “Scheggia” perché si distingue per la sua velocità, lo aiuterò a comprendere come questa velocità lo ha aiutato sul lavoro, come lo ha fatto distinguere. Se mi ricordo che Marcello aveva “salvato un tram” prima dell’uscita, partirò da quella storia per fargli focalizzare le competenze che ha messo in gioco per salvare quel tram in termini di sapere, saper fare e saper essere.
  • Stare nel processo: preparatevi bene (materiali, contenuti ecc) ma non abbiate un approccio rigido. Meglio fare un’attività in meno che fare un’attività di cui le persone non riescono a cogliere il senso personale.
  • Scrivere un report: personalmente quando esco da un’aula o da un’attività di consulenza chiamo sempre la persona di riferimento (il capofila del progetto) per scambiarci due parole su cosa ho osservato; segue poi una breve mail scritta riepilogativa della telefonata in cui aggiungo eventuali altre cose che mi vengono in mente. La prima è la comunicazione “a caldo”; condividendo le cose è più difficile dimenticarle per poi scriverle in una mail o in un report. Se la capofila sono io, chiamo un/a collega che lavora al progetto con me.
  • Confrontarsi: gli errori si fanno, nel nostro lavoro se ne fanno tanti perché dobbiamo avere 100 occhi… esterni e interni (per un totale di 200 occhi!) e a volte qualcosa sfugge. Confrontatevi con i vostri colleghi, con chi ha più esperienza o con qualcuno di cui vi fidate ma non restate soli con i vostri dubbi; e neanche con le vostre certezze perché potrebbero essere certezze che a volte sono da rivedere.
  • Godere dei momenti belli: cosa c’entra chiederete voi? Abbiamo scelto un lavoro dove ci facciamo carico di tanta pesantezza, a volte dobbiamo resistere anche alla nostra di ansia (dai, non fate finta di nulla, lo so benissimo che certe aule vi hanno fatto venire il mal di pancia prima, durante e dopo e vi siete chiesti se ce la avreste fatta a tenere botta). Cosa c’è di più bello di un momento di gioia, anche piccolo, dopo che vi siete e ci siamo dati così tanto? Fate una passeggiata con il vostro/la vostra collega se siete insieme a lavorare in una città lontana dalla vostra, approfittate delle trasferte per conoscere i prodotti locali, chiedete alla persona che amate di raggiungervi dove siete a lavorare. Se voi per primi non guardate al mondo con positività apprezzando la bellezza delle cose che vivete e anche di chi siete attraverso le cose che vivete, come fate a trasmettere tutto questo agli altri?

Buona vita cari colleghi! E che l’Eros (nel senso Freudiano!) vi e ci accompagni sempre per le strade impervie del nostro lavoro… che è il più bello del mondo ma ci richiede un bel po’ di energie.