Recensioni
La terapia cognitivo comportamentale / Perché tanti uomini incompetenti diventano leader? (e come porvi rimedio)
La terapia cognitivo comportamentale / Perché tanti uomini incompetenti diventano leader? (e come porvi rimedio)
Judith S. Beck
La terapia cognitivo comportamentale
Terza edizione riveduta e ampliata
Astrolabio, 2022, pp. 476
€ 37,00
A chi volesse avere un’idea globale e aggiornata dello stato dell’arte della terapia cognitivo-comportamentale (TCC) questo libro – uscito in terza edizione in inglese nel 2021, dopo circa dieci anni dalla precedente versione – a firma a firma di Judith S. Beck, figlia di Aaron T. Beck, offre tutte le principali risposte. Risposte che sono elaborate oltre che sulla base dei progressi della TCC e delle ricerche ed applicazioni, anche (e ciò è singolare) sulla base dei feedback che l’autrice ha sollecitato e ricevuto dai colleghi in merito alla seconda edizione.
Il testo si apre con la Prefazione alla terza edizione italiana di Antonella Montano e con la Presentazione di Aaron T. Beck. Questi due contributi iniziali, insieme alla Prefazione e al primo capitolo – dal titolo Introduzione alla terapia cognitivo-comportamentale – offrono fin dalle prime pagine un’idea dei contenuti del volume, della sua struttura e degli obiettivi a cui tende. Il lettore è davvero preso per mano dall’autrice e condotto ad esplorare il mondo della terapia cognitivo-comportamentale passo dopo passo, anche attraverso due casi clinici che fanno da colonna portante alle considerazioni tecniche e teoriche: i casi di Abe e di Maria (il paziente Abe è stato incontrato per diciotto sedute nel corso di otto mesi ed è qui dettagliatamente seguito nell’evolversi della sua terapia).
Testo ricco di spunti ma anche di schemi e diagrammi – vedi, ad esempio, il Diagramma della concettualizzazione cognitiva alle pagine 62-74 e l’enfasi posta sull’empatia nel contesto della riformulazione continua del caso (in altre parole, una sorta di diagnosi in progress) – in cui emerge l’importanza del mantenimento della relazione e della necessità di riparare le fratture del rapporto terapeuta-paziente (ma i riferimenti all’opera fondamentale di Jeremy Safran scarseggiano). “L’obiettivo più importante della prima seduta è infondere speranza. Per far ciò, il terapeuta fa psicoeducazione… ribadisce il piano terapeutico generale, esprime direttamente la propria fiducia nel fatto di poter aiutare il paziente a sentirsi meglio e individua i valori, le aspirazioni e gli obiettivi del paziente” (p. 109): in questa frase c’è davvero molto dello spirito della TCC e così si aprono le porte alla formulazione dei piani di azione che vanno attentamente spiegati al paziente anche per consentirgli di proseguire ad utilizzarli una volta conclusa la terapia.
Le numerose sintesi parziali dell’impostazione cognitivo-comportamentale (come quella di p. 243) aiutano il lettore a rifocalizzarsi costantemente sul framework, mentre i riassunti che sono posti al termine di ogni capitolo costituiscono un valido supporto atto a mantenere il filo di continuità tra un argomento e l’altro. Molto spazio è naturalmente dedicato al tema dei pensieri automatici, alla loro identificazione e valutazione (v. le tre tipologie di pensieri automatici schematizzati a p. 275), così come alle credenze disfunzionali che possono affliggere il paziente a lungo e che possono risultare non facili da modificare. In tal senso l’autrice consiglia anche il ricorso alla Mindfulness e tratta ampiamente l’argomento della tecnica, dedicando infine il capitolo 19 alla discussione di tecniche diverse da quelle tradizionali.
Susciterà interesse soprattutto negli operatori dei servizi di base la descrizione della Recovery-Oriented Cognitive Therapy (CT-R), una forma di trattamento ideata per rispondere alle esigenze dei pazienti più gravi. In particolare a questa indicazione si associa l’enfasi su ciò che è stato definito orientamento alla guarigione e cioè il far leva sulle risorse, sugli aspetti sani e realizzativi del paziente, incentivandone l’empowerment. Sembrerebbe, questo, un aggancio al movimento della Psicologia Positiva e, andando più indietro, alla terza forza nordamericana, la psicologia umanistica, ma i riferimenti a queste due correnti di pensiero non sembrano aver sollecitato l’approfondimento dell’autrice.
Va anche osservato che questo lavoro è qualcosa di più di un libro nel senso usuale del termine dato che ad esso si collegano una serie di risorse intese come supporti da poter utilizzare nella pratica professionale. Si tratta non soltanto dei materiali che sono contenuti nelle quattro Appendici finali, ma anche dei collegamenti ipertestuali utilizzabili al fine di scaricare altro materiale e visualizzare i video didattici; nel settore dei video sono comprese alcune sedute condotte con il paziente Abe e alcuni rapidi flash denominati Clinical Tip, tutti interpretati da Judith Beck.
Judith S. Beck, oltre ad avere come padre Aaron, è persona assai nota sia per le pubblicazioni e l’attività professionale, sia per gli incarichi istituzionali che ha ricoperto e che ricopre. Tra questi ultimi, la presidenza del Beck Institut for Cognitive Behavior Therapy e la cattedra di psicologia psichiatrica presso la University of Pennsylvania – facoltà di Psichiatria. E nelle edizioni Astrolabio si trovano numerosi volumi di cui Aaron T. Beck è coautore o autore tra cui il fondamentale Principi di terapia cognitiva. Un approccio nuovo alla cura dei disturbi affettivi (l’edizione originale è del 1976 e la traduzione italiana del 1984).
Tomas Chamorro-Premuzic
Perché tanti uomini incompetenti diventano leader? (e come porvi rimedio)
EGEA, 2020, pp. 166
€ 25,00
Con la Prefazione di Severino Salvemini questo lavoro prende in esame una delle questioni centrali del mondo attuale e delle persone che giungono in posizioni apicali nel mondo delle organizzazioni (ma si potrebbe estendere il discorso molto facilmente ad altri mondi, come quello delle istituzioni e della politica). La domanda speculare che subito emerge nella discussione è relativa alle difficoltà che molte persone in gamba, affidabili, competenti e amanti del proprio mestiere finiscono per incontrare nel raggiungere posizioni e ruoli adeguati al loro standard. E ciò è naturalmente assai visibile nel caso delle donne nel mondo del lavoro.
Come ricorda Severino Salvemini nelle pagine iniziali, riprendendo un dato esposto dall’autore, il costo dei capi incompetenti è sempre molto alto: “Secondo i sondaggi Gallup il 75 per cento dei lavoratori che abbandonano il proprio posto di lavoro lo fa a causa del suo diretto superiore” (p. 10). A ciò fa eco Chamorro-Premuzic che scrive che il 65% degli americani sarebbe disposto a rinunciare a un aumento di stipendio pur di non vedere più il proprio boss!
Uno dei meriti di questo lavoro è quello di mettere insieme considerazioni globali e specialistiche a risultati di serie ricerche svolte a livello nazionale ed internazionale; ad esempio, l’affermazione che sono le donne a performare al meglio nei ruoli di leadership è sostenuta da decine di ricerche indipendenti. “Nello specifico, le donne suscitano più rispetto e orgoglio nei loro sottoposti, comunicano più efficacemente la loro visione, sono più capaci di delegare responsabilità e far crescere chi lavora con loro, affrontano la risoluzione dei problemi in un modo più flessibile e creativo, sono più corrette e obiettive nella valutazione dei diretti sottoposti” (p. 21).
Al narcisismo è opportunatamente dedicato un intero capitolo: l’incidenza di questa sorta di patologia sociale diffusa, e spesso accettata e vista come normale, è sicuramente molto forte nel mondo delle organizzazioni e delle istituzioni, così come vi è spesso una sorta di tacito consenso nell’accettare figure improbabili ai vertici aziendali presentati come personaggi dotati di grande carisma, visione e autorevolezza…
Proseguendo nei meriti del libro di Chamorro-Premuzic – che prende le mosse da un suo articolo: “Why do so many incompetent men become leaders?”. Harvard Business Review, 22 agosto 2013 – si deve sottolineare la sua costante preoccupazione nei confronti della selezione manageriale, cioè della scelta dei manager e dei leader, ad esempio quando mette in guardia dal pensare di vedere una magnifica “personalità carismatica” lì ove vi è soltanto (il solito) narcisismo! Oppure quando si osserva che il candidato iper-sicuro di sé stesso nasconde il più delle volte auto-centratura e arroganza: tutte qualità che verranno a galla una volta che sarà insediato nella posizione di potere. Ma, come ho mostrato nel mio libro Il capitale umano nelle organizzazioni. Metodologie di valutazione e sviluppo della prestazione e del potenziale (Hogrefe, Firenze, 2020) per identificare soggetti di tal genere è indispensabile predisporre e far funzionare sofisticati sistemi di valutazione, gestione e sviluppo delle risorse umane, e su questo punto Chamorro-Premuzic, nel suo lavoro, non avanza più di tanto.
“Una delle ragioni per cui i capi troppo sicuri di sé tendono a prendere decisioni avventate è che sono immuni da feedback negativi” (p. 42) e ciò la dice lunga sul (limitato) potere che ha la formazione nel modificare certe impostazioni di base di tipo personologico. Aggiungerei che non a caso quando l’azienda propone la partecipazione volontaria a corsi di formazione manageriale o a percorsi di coaching sono… le persone che ne avrebbero meno bisogno a iscriversi, mentre i soggetti difficili rimangono graniticamente chiusi nei loro uffici blindati.
Ma questo libro di Chamorro-Premuzic è utile anche per individuare alcuni segnali del cattivo capo, spiegando anche per quale motivo proprio i soggetti meno adatti possono scalare le piramidi organizzative ed anche perché tante persone possono finire con l’ammirare soggetti caratterizzati da tratti psicopatologici come la psicopatia (su tematiche di questo genere vi è, ormai, una importante letteratura specifica). Sul versante delle considerazioni positive e orientate, se vogliamo, alla speranza di un futuro migliore l’autore discute i tratti costruttivi della sana leadership – si veda in specie (ma non solo) il sesto capitolo dal titolo Come sono fatti i buoni leader – a cui però si deve agganciare la nutrita serie di considerazioni in merito ai limiti del cambiamento, riassumibile nella frase seguente: “ è improbabile che i cattivi leader si trasformino in leader talentuosi, motivanti e capaci di alte prestazioni. Sì, possono cambiare, ma nella maggior parte dei casi i leader non vogliono migliorare molto al di là di ciò che gli abbiamo visto fare in passato, specialmente se sono lasciati a sé stessi (p. 146).
Da notare, infine, che ogni capitolo è dotato di un apparato di note costruito molto bene e che consente ulteriori approfondimenti nell’ambito della letteratura internazionale.
L’autore è persona assai nota nel mondo della psicologia delle organizzazioni. Ricordo di aver letto alcuni suoi lavori già diversi decenni fa e averne anche recensito altri, come il libro dedicato alla selezione delle risorse umane che Tomas Chamorro-Premuzic, insieme ad Adrian Furnham, pubblicò nel 2010. Tomas Chamorro-Premuzic ha pubblicato numerosi testi, molti dei quali tradotti in diverse lingue. Nato vicino a Buenos Aires, ha vissuto a lungo a Londra e ora è negli USA, a Brooklyn; ha ricoperto numerosi ruoli sia in accademia, sia nel mondo dell’impresa e della consulenza: cofondatore di Deeper Signals e Metaprofiling, attualmente è Chief Talent Scientist presso il Manpower Group, e docente di Business Psychology presso l’University College di Londra e la Columbia University.