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numero 110 - maggio 2024

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La relazione terapeutica. Storia, teoria, problemi / Human Resource Management and Disruptive Technologies

La relazione terapeutica. Storia, teoria, problemi / Human Resource Management and Disruptive Technologies

41o59a7-fNL.jpg Antonio Semerari
La relazione terapeutica. Storia, teoria, problemi
Laterza, 2022, pp. VII+ 381
€ 28,00

Questo è un libro apparentemente semplice perché centrato su un oggetto ben definito e delineato fin dal titolo e, quindi, portatore di una indicazione circa la quale gran parte degli psicoterapeuti – medici e psicologi – potrebbero reagire interiormente con una sensazione di già visto o addirittura un moto di sufficienza. Al contrario, si tratta di un testo finemente articolato, dalle molteplici facce, che conduce il lettore verso una giusta e direi professionalmente dovuta posizione di modestia intellettuale, giacché il tema della relazione terapeutica è ampio, sfaccettato, con tante radici e ancora più diramazioni. Un argomento problematico e che problematizza, un argomento che giunge fino a noi, oggi, dopo aver surfato sulle onde, per così dire, di tanti e diversi modelli, ma anche di numerose e diverse concezioni dell’essere umano – e non solo della cura.
Inoltre, si deve aggiungere che questo della relazione, della relazione terapeutica, del rapporto terapeuta-paziente è troppe volte diventato un tema un po’ da barzelletta nel momento in cui si vanno a scorrere le presentazioni ed i programmi di insegnamento delle centinaia di scuole e scuolette di psicoterapia oggi esistenti in Italia (un fenomeno insidioso su cui, quarant’anni orsono, scrissi l’articolo: “Osservazioni sulle ‘Nuove Scuole’ di psicoterapia in Italia. Giornale Italiano di Psicologia”. X, 2, 381-394, 1983). Dunque, molto bene ha fatto Antonio Semerari a dedicare uno spicchio della sua vita di professionista e di studioso a mettere ordine sull’argomento, abbracciando un’ottica super partes – cosa non solo encomiabile, ma anche assai rara – e riuscendo a bilanciare due aspetti della scrittura che generalmente non vanno molto d’accordo: la comprensibilità e la profondità della riflessione. Del resto dello stesso Semerari si deve ricordare almeno un altro bel testo, cioè Storia, teorie e tecniche della psicoterapia cognitiva (Laterza, 2000) e, come si può notare, l’approccio dell’autore è sempre quello di coniugare gli aspetti teorici con lo sviluppo storico delle idee, ma anche quello di dichiarare in modo molto sincero il proprio pensiero e le proprie perplessità, come nel seguente passaggio: “È vero, ho esitato a prendere posizione. Ma cercate di capirmi. Sono laureato in medicina, sono un terapeuta cognitivo da quasi quarant’anni, come posso essere contro il modello medico? D’altra parte, come non avere la massima considerazione per gli aspetti relazionali se ho deciso di scrivere un faticoso libro sull’argomento?” (p. 160).
Un libro suddiviso in cinque ampie parti che contengono sedici capitoli, a cui seguono le Conclusioni, la Bibliografia e l’Indice dei nomi. Un lavoro che si presta ad essere letto sia come un testo di studio, dalla prima all’ultima pagina, sia come un testo di approfondimento, in modo verticale su tematiche specifiche in cui il lettore desidera calarsi e condividere con l’autore le domande che egli stesso si pone come, ad esempio: “cosa si intende per centralità attribuita alla ‘dimensione relazionale dell’esistenza’?” (p. 77).
La capacità dell’autore di illustrare posizioni teoriche e approcci complessi in modo chiaro e lineare si coniuga con lo spettro ampio di argomenti che, inevitabilmente, entrano dentro la tematica della relazione terapeutica e fanno di questo libro un testo che va molto al di là del titolo che enuncia. Ecco emergere, tra gli altri: la distinzione tra funzione materna e/o paterna del terapeuta in relazione all’evoluzione e al cambiamento delle sofferenze mentali manifestate dai pazienti; i collegamenti tra efficacia del trattamento e modalità di gestione del paziente; il confronto tra psicoterapie basate sul disturbo – che hanno prodotto specifici manuali – e, tipicamente, la psicoanalisi classica, cioè indirizzi non specifici rispetto alle patologie (meglio: non sempre specifici), fino ad approfondire un tema limitrofo da essenziale come quello delle rotture dell’alleanza, un tema ottimamente rappresentato dal prezioso lavoro di Jeremy D. Safran e J. Christopher Muran, Teoria e pratica dell’alleanza terapeutica (Laterza, 2003) (libro da me recensito sul n. 78-2020 di questa stessa Rivista).
Sullo sfondo si intravede affiorare il paradigma medico ippocratico, ma costante appare l’anelito nel voler perseguire l’idea di un affresco che possa costituire una base tendenzialmente unificante per la diverse visioni – o i diversi modi? – con cui l’idea di relazione terapeutica è stata trattata fino ad oggi, facendo anche attenzione a definire il significato dei termini che si usano, dato che uno stesso concetto può indicare differenti fatti clinici, e uno stesso accadimento clinico può essere definito con parole differenti dalle diverse scuole di pensiero.
In conclusione, si deve solo notare l’assenza di riferimenti ad autori importanti che, dal mio punto di vista, avrebbero arricchito le riflessioni di Semerari: ne cito due rispetto ai discorsi sulla tecnica e sulla clinica, e cioè Sándor Ferenczi e Silvano Arieti, e altri due in relazione agli intrecci tra psicopatologie individuali e dinamiche (malate) della società: Christopher Lasch ed Erich Fromm.
L’unico difetto nella struttura di questo libro sta nel non aver inserito un Indice per argomenti che avrebbe consentito al lettore una consultazione trasversale puntuale.

 

9781802209235.jpg Tanya Bondarouk, Jeroen Meijerink (Edited by)
Human Resource Management and Disruptive Technologies
Edward Elgar, 2024, Pp. XIX+310
£ 155.00 (Hardback)

Nell’ambito delle Research Handbooks in Business and Management series esce questo volume particolarmente attuale che tratta uno degli aspetti emergenti del dibattito internazionale sulle condizioni di lavoro e sul management delle risorse umane in un’epoca di eccezionali transizioni.
A cura di Tanya Bondarouk, professoressa di Human Resource Management presso la University of Twente e di Jeroen Meijerink, Associate Professor of Human Resource Management, nella Faculty of Behavioural, Management and Social Sciences (University of Twente), il testo prende in esame l’impatto che l’insieme di fattori quali l’automazione, la robotizzazione, la digitalizzazione, l’innovazione tecnologica e l’intelligenza artificiale imprimono sulle strutture organizzative e sulle persone che vi lavorano, influenzando strategie, operatività, processi, flussi di lavoro, ma anche modi di pensare e di porsi di fronte al lavoro in quanto tale.
L’intelligenza artificiale (IA) è la moderna parola d’ordine. È anche un argomento di infinito dibattito, una fonte di possibilità senza fine, e un elemento essenziale delle dirompenti tecnologie che costituiscono il processo di digitalizzazione che sta trasformando così radicalmente la nostra vita di lavoro” (p. 224). Come nel passato internet e i social media sono emersi e sono progressivamente entrati nel normale modo di vivere il lavoro (e la vita stessa), così oggi la IA si inserisce in numerosi spazi ed ambiti dei processi produttivi e di trasformazione, ma con una differenza notevolissima rispetto a ciò che è accaduto precedentemente con l’automazione e poi con l’emergere del mondo del Web: la IA è ideata e disegnata per eseguire compiti sempre più complessi che andranno quindi a integrare e a sostituire attività di lavoro non semplicemente di tipo meccanico e ripetitivo come è avvenuto in passato. Ecco, dunque, il tema della coesistenza tra un capitale umano che necessariamente deve evolvere nelle skill tecniche e psicologiche, e la necessità di riconoscere nel modo più completo il nuovo fenomeno che vede inevitabilmente l’essere umano e le nuove, sofisticate tecnologie convivere, interfacciarsi e confrontarsi.
Emerge il problema della presa di decisione e dell’aggiornamento e sviluppo delle competenze (non solo tecnico-professionali) dei decisori stessi nel momento in cui questi si trovano a confrontarsi con le nuove modalità di disegnare le strutture organizzative e l’articolazione della forza lavoro – per utilizzare un termine che rende l’idea dell’insieme delle persone-competenze che devono essere messe in campo nelle fasi di transizione tecnologico-organizzative. Si tratta dunque di non ignorare, bensì di riconoscere nel modo più completo possibile le complessità della situazione globale che si sta delineando, prendendo le migliori decisioni nella gestione del capitale umano pregiato: “migliori nel senso che le decisioni e le azioni sono responsabili. Le decisioni connaturate da assunzione di responsabilità circa i talenti sono deliberate (prese pensandoci), intenzionali (promulgate di proposito) e informate, cioè basate sulla conoscenza” (p. 174); ma pur sempre soggettive!
Gli oltre quaranta contributori (tra cui compaiono, e si individuano con piacere, alcuni nomi italiani tra cui Antonella Delle Fave e Luca Solari) hanno dato vita ad un testo articolato, suddiviso in cinque ampie sezioni e in venti capitoli, arricchito da tabelle, figure e da un indice finale molto utile per la consultazione trasversale. Uno degli argomenti che emerge da queste pagine è la necessità di assumere consapevolezza e quindi responsabilità rispetto al grande mutamento in essere; in questo quadro si può vivere in modo costruttivo e fiducioso il cambiamento nei ruoli e nelle attività professionali, superando quello stato di timore angoscioso che troppe volte emerge sulla base dell’idea (tutto sommato abbastanza semplicistica e generica) della inevitabile diminuzione degli occupati e del conseguente aumento della disoccupazione. Certo – al di là delle ovvie necessità di allineare le risorse umane con i nuovi compiti da svolgere attraverso l’orientamento e l’education – è  necessario prendere in carico tematiche  come le seguenti: l’algorithmic management e il suo impatto sui bisogni di autonomia e di relazione delle persone; la digitalizzazione del talent management (con attenzione a non cadere nel tranello della oggettività); le conseguenze della emerging & disruptive technology e della disruptive innovation su persone, gruppi ed organizzazioni; le conseguenze di queste innovazioni sugli stili di leadership e di management; la gestione dei virtual teams e la dimensione della e-leadership; la trasformazione dei processi di lavoro e la necessità di ripensare la dimensione della leadership (nel senso più ampio possibile di questo concetto) distribuita nelle gerarchie esecutive; la questione dei confini – confini di ruolo, ma anche del sistema casa-lavoro, privato-organizzativo, personale-aziendale, tempo-spazio; la questione del monitoraggio & controllo di chi lavora attraverso l’utilizzo diretto o indiretto delle nuove tecnologie come, appunto, l’algorithmic management, con il contraccolpo del cosiddetto algoactivism.
Come si può notare dai cenni appena proposti, ci si trova nel cuore del mondo-di-oggi, dello sviluppo delle organizzazioni e dei sistemi di produzione di valore, e in tal senso un auspicio è quello di “imparare a coesistere pacificamente con la IA come con una nuova tipologia di collega” (p. 235).