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numero 72 - novembre 2019

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La Lis e i benefici della comunicazione per la disabilità

La Lis e i benefici della comunicazione per la disabilità

La Lingua dei segni non è utilizzata solo dai sordi, ma può essere utilizzata anche per i soggetti che hanno difficoltà nell’esprimere il linguaggio.
Oggi molte ricerche, grazie anche allo sviluppo delle nuove tecnologie, hanno permesso di allargare i limiti di riabilitazione per alcune patologie gravi (Sindrome di Down, autismo, epilessia e altri), permettendo di trovare metodi efficaci per rendere l’apprendimento e la comunicazione più accessibili. Uno di questi metodi è l’insegnamento della lingua dei segni, adattandolo a seconda della storia familiare e clinica del soggetto.
Ci sono, infatti, quadri clinici di pazienti con patologie diverse tra di loro, ma con un unico problema in comune, la comunicazione.

Sordità associata a problemi fisici

A. è una bambina sorda impiantata, nata con gravi problemi fisici che attualmente sta risolvendo con piccole soluzioni quotidiane. Presenta strabismo, risolto con specifici occhiali correttivi. Comunica solo con i segni. Frequenta la terza classe della scuola primaria. Nei primi due anni della scuola primaria, arrivava sempre con la faccia triste, si esprimeva con la lingua dei segni, ma con scarsi risultati nella comprensione e nel linguaggio verbale. È sempre stata affiancata da un’assistente alla comunicazione e da un insegnante di sostegno. In considerazione delle sue difficoltà di comunicazione, nella classe è stato avviato un progetto di bilinguismo per favorire l’integrazione dell’alunna con i compagni e le maestre. Così viene introdotta la figura dell’educatrice sorda, la quale insegna alla classe la lingua dei segni. Fin da subito la classe si dimostra molto predisposta a imparare e riesce molto bene a integrare la bimba. Vedendo pochi risultati, la bimba, nel frattempo assume un atteggiamento frustrato, attribuibile alla sua voglia di comunicare. Si decide dunque di adottare il metodo logopedico, introducendo il metodo prompt. Questo prevede che la logopedista utilizzi gli input tattili, sollecitando i suoni attraverso la stimolazione tattile sotto la mandibola, in modo che la bimba possa venire stimolata. Questo metodo ottiene buoni risultati: A. utilizza la voce, ma sempre accompagnandola ai segni, assume un atteggiamento caratterizzato da calma, tranquillità e serenità. Comincia a domandarsi il perché delle cose, buon segno di curiosità e voglia di imparare. È molto contenta di avere nella classe i suoi compagni e le maestre che la coinvolgono nella vita quotidiana, sempre utilizzando la lingua dei segni.

Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)

M. è una bambina con un’intelligenza vivace che appare “disorientata”: funziona in alcune situazioni ma si perde e si oscura non appena le viene avanzata una richiesta. All’arrivo alla scuola primaria si evidenzia un rifiuto vero qualsiasi tipo di mansione scolastica, che viene interpretato dalla neuropsichiatria infantile come un blocco psicologico come conseguenza della situazione familiare. La bambina trascorre i primi anni di scuola senza un insegnante di sostegno, e apprende molto poco. M. si chiude in sé stessa alla minima richiesta, reagendo alle interazioni con le insegnanti come se fossero continue aggressioni. A livello della prima classe della scuola secondaria di primo grado M. non ha acquisito una scrittura spontanea, ma solo acquisizione mnemonica e copiatura. Non riesce a memorizzare i giorni della settimana. Il suo linguaggio è povero e infantile. Si chiude e tende a isolarsi e a preferire la compagnia degli adulti a quella dei pari. Non evidenza deficit cognitivi e gli insegnanti non riescono a valutare M. sul programma delle lingue straniere, perché risulta impossibile lavorare sulle difficoltà linguistiche.
All’epoca, l’insegnante di sostegno che M. aveva alla scuola primaria seguiva anche una bambina sorda e M. ricordava ben volentieri i momenti passati insieme. Le insegnanti, allora, hanno provato a insegnare la lingua dei segni al posto di quella straniera. M. ha accolto con entusiasmo questa iniziativa, percependo la Lis non come materia curriculare, ma come un’attività integrativa. È meno stressata, meno ansiosa, non si chiude di fronte alle richieste. Non ha difficoltà ad apprendere questa lingua e riesce a strutturare correttamente le frasi seguendo la grammatica italiana, utilizzando il metodo bimodale.

Questo fa presupporre, che di fronte a situazioni come questa, nonostante M. apprenda una lingua diversa, la Lingua dei segni, questa viene percepita come qualcosa di positivo, di meno stressante. La bambina si approccia volentieri, prova meno ansia e meno costrizioni e questo fa pensare che non si tratta solo un codice condiviso, ma qualcosa in cui poter trasmettere i propri sentimenti, emozioni, senza manifestare quegli atteggiamenti di chiusura, che derivavano appunto dal senso di frustrazione, di inadeguatezza e di vergogna.

L. è una bambina udente nata in Russia, adottata da una coppia di genitori italiani. Le viene diagnosticata una disprassia orale congenita, tale da compromettere la produzione del linguaggio verbale con associati deficit linguistici e cognitivi. La diagnosi rivela anche una difficoltà di organizzazione visivo-spaziale e impaccio nella motricità fine. Viene presentata con lallazione assente, goffaggine motoria, deambulazione solo con sostegno e difficoltà nella suzione e atti motori dell’area oro-buccale. Inizialmente pensavano si trattasse di sordità trasmissiva, in seguito, è stato  scoperto che aveva tonsille alterate e adenoidi eccessivamente sviluppate. Questi problemi sono stati risolti con un intervento chirurgico e l’avvio di un trattamento logopedico e psicomotorio.
La CAA introdotta in sede di intervento logopedico non aveva riscontrato successo, per cui è stata tentata l’introduzione della Lis come supporto per la comunicazione. Con il tempo, per la bimba la Lis è diventata una vera propria lingua per poter esprimere al meglio i suoi bisogni, rendendola meno nervosa per l’incapacità di comunicare.
Le è stata insegnata la Lis come supporto per la lingua orale, utilizzando le parole sillabiche, bisillabiche ecc.. È stata utilizza anche la dattilologia per indicare un nome associato all’immagine, per la lettura e per la comprensione e la produzione verbale. Per poter allargare il vocabolario, sono state proposte frasi brevi e parole nuove, in associazione ad altre attività:

  • il gioco della memoria e del puzzle, molto utile, non solo per esercitare la memoria ma anche per creare situazioni in cui poter comunicare, dando la possibilità alla bambina di esprimersi con la Lis, ampliando il lessico e dedicando più attenzione al segno durante il gioco.
  • uscite fuori, tipo passeggiate nel parco. Un’attività terapeutica dedicata al riconoscimento dell’ambiente circostante, indicando le cose incontrate per strada, suscitando curiosità, producendo un segno corrispondente per verificare se conosce e dando così un segno nuovo. 
  • la narrazione di esperienze personali, sia in modalità verbale sia in modalità segnata, in modo sequenziale, utilizzando domande e risposte per favorire la rielaborazione creativa delle informazioni e la memoria.
  • pattern drills, un metodo ancora oggi efficace, che rinforza, attraverso esercizi meccanici e ripetitivi, il funzionamento della lingua, trasmettendo sicurezza alla bambina.

Riflessioni

Questi casi fanno riflettere molto. Nelle prime due situazioni descritte, ai bambini viene proposta la Lis perché c’era la presenza di un bambino sordo in classe e tutti, sordi e non, rispondono in maniera positiva all’apprendimento senza chiudersi. La lingua dei segni offre un canale che può aiutare chi ha difficoltà linguistiche a vari livelli, sempre utilizzando il metodo bimodale o bilingue a seconda del soggetto, e può rafforzare l’autostima degli individui, offrendo loro un canale con cui poter comunicare.
Purtroppo, questi bambini sono arrivati per caso a questa lingua, e se nella scuola non ci fossero stata presenza di sordi, nessuno avrebbe mai visto i risultati di questo percorso.  Bisognerebbe riflettere sul programma scolastico e renderlo più flessibile, mostrando una grande apertura mentale, andando al di là dei pregiudizi e provando tutte le soluzioni a disposizione. Questo non riguarda solo il personale scolastico, ma anche professionisti, come neuropsichiati, psicologi, logopedisti, e soprattutto la famiglia, indipendentemente dalla loro scelta.
Nell’ultimo caso esposto, la Lis si è rivelata una chiave adatta la disabilità comunicativa della bambina per superare la sua barriera di comunicazione. Ostacolare questo tipo di comunicazione, avrebbe privato alla bambina della possibilità di esprimersi come persona nel mondo, nella società, dal momento in cui non riesce a comunicare in modo naturale.
Perciò è fondamentale, qualunque sia la storia clinica e familiare del bambino che sia udente o sordo, non privarlo di un’opportunità, di uno strumento che potrebbe risultare valido, un mezzo di comunicazione che offre la possibilità di esprimere i propri sentimenti, le emozioni, i propri bisogni, aumentando autostima, autonomia e sicurezza in sé. Un metodo che gli consente di trovare una propria identità nel mondo, consapevole di avere in mano uno strumento per migliorare le proprie capacità, affrontando le sfide quotidiane in modo positivo, senza ansia e frustrazione, rendendolo piacevole e leggera la propria vita. 

Per esperienza personale, essendo sorda da pochi mesi dopo la nascita, sono favorevole al modello del bilinguismo che vede associato l’Italiano come lingua parlata e scritta, alla Lingua dei segni. Questo metodo mi ha dato un grande aiuto e un vantaggio, che mi ha permesso di accrescere il mio lessico, di vivere più serenamente, nonostante i problemi di comunicazione privati e sociali, e affrontare ostacoli ogni giorno. Per arrivare a questo, ci è voluto un grande impegno da parte della mia famiglia udente, che ha fatto tutto ciò che era possibile per consentirmi di essere quella che sono e per rendermi autonoma, aiutandomi a combattere l’ignoranza nella scuola e i pregiudizi nella vita sociale, senza dimenticare il grande staff che ho incontrato in questi anni: neuropsichiatri, logopediste, assistenti alla comunicazione e altre figure che hanno contribuito a tutto ciò che sono.
Sono importanti le figure di questo tipo, perché aiutano in primis la famiglia “inesperta” in un mondo sconosciuto, ma anche un sordo che ha bisogno di essere incluso e integrato.
Importante è anche l’inclusione, anche se difficile, che va sempre almeno provata, perché quello è sempre un piacere.
La Lingua dei segni mi ha aiutato anche a capire molte cose, quando gli udenti non riescono a esprimersi, quando la fanno semplice, ma rendono le cose più faticose. La vedo come una lingua, ma anche una mancia in più per me, una sorta di appoggio. Il modello bilinguista, a mio parere, rende più facile l’apprendimento in tante cose, ma facilita anche nell’esprimere i sentimenti.  

Per approfondimento: Cardinaletti, A. e Branchini, C. (a cura di) (2016). La Lingua dei segni nelle disabilità comunicative. Milano: Franco Angeli.