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numero 99 - luglio 2022

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La definizione degli obiettivi nel processo formativo

La definizione degli obiettivi nel processo formativo

Il tema della definizione degli obiettivi è un tema importante nella formazione, lo è soprattutto alle prime esperienze quando capita di “sbatterci” il muso in aula.
Spesso, soprattutto agli inizi, si sottovaluta molto questo aspetto, un po’ anche per colpa dei committenti che trattano la formazione professionale alla stregua di una docenza scolastica. Programma, materiale, studio, esercitazioni, verifica e stop. Per loro è questo che il docente/formatore deve fare. Questo può andar bene nelle aule scolastiche, chiaramente lungi da me sostenere che a scuola l’apprendimento non ha degli obiettivi, ma mentre a scuola l’obiettivo è il “sapere”, nella formazione l’obiettivo è soprattutto il “saper fare” e il “sapere essere” che definiscono gli scopi della formazione sulle competenze tecniche e trasversali da acquisire o sviluppare. 
Che cosa voglio dire? 
Vi racconto brevemente la mia prima esperienza d’aula dove accadde proprio quanto avevo accennato poco fa. Mi dettero una formazione di qualche decina di ore, divisa in due moduli e in due aule. La prima criticità fu l’assenza di un programma ben dettagliato, con gli obiettivi della formazione ben definiti e la richiesta chiara di cosa trasferire, nel mio caso, a dei futuri guide turistiche e accompagnatori turistici. 
“Fai tu”, facendo spallucce, fu la risposta laconica della responsabile della formazione alle mie richieste di informazioni. 
Quando l’agenzia formativa non ti dà degli obiettivi, anche se ti dà un programma ben strutturato ma non ti spiega a che cosa deve servire loro, dobbiamo pensarci noi. 

Definire degli obiettivi significa rispondere primariamente alla seguente domanda: “Quali comportamenti o competenze voglio che loro, al termine della formazione, abbiano potenziato o modificato?”. 
Come fare? Intanto prenderci del tempo per progettare la formazione, per buttare giù un’idea progettuale di un percorso. La progettazione è ancora un altro argomento, di cui la definizione degli obiettivi è un piccolo (ma fondamentale) punto. Prima di progettare dobbiamo capire di cosa stiamo parlando, ovvero chi dovremo formare? Chi sono i nostri discenti? Chi sono le persone che usufruiranno delle nostre ore di formazione? Capire chi abbiamo di fronte. Intanto anche il target ci definisce di per sé alcuni obiettivi. Sono persone che svolgono un apprendistato? Sono lavoratori che frequentano un corso obbligatorio sulla sicurezza? Sono persone che fanno un corso per imparare un lavoro? E ancora, il corso è obbligatorio, “imposto” dall’azienda, oppure se lo sono pagato loro? La risposta ad ognuna di queste domande cambierà, forse non proprio gli obiettivi in senso stretto, ma il livello di motivazione dei partecipanti che andrà ad incidere anche sugli obiettivi.  
Quando ero all’università ero appassionato di formazione, mi piaceva, mi stuzzicava, mi appassionava l’idea di andare a formare lavoratori o futuri lavoratori sulle competenze trasversali ma ancora erroneamente pensavo che bastasse studiarsi un manuale di comunicazione e ripeterlo. 
Mi sbagliavo di grosso.

La prima e forse più trattata competenza trasversale è la comunicazione. È fra le prime cose che studiamo all’università, al primo anno di psicologia nel corso di psicologia sociale, poi via via in altri esami… Insomma la conosciamo bene e forse istintivamente riteniamo che non ci voglia poi molto per parlarne. 
Non è totalmente sbagliato in realtà, i manuali più o meno dicono sempre le stesse cose, le teorie e gli autori sono quelli. Però l’errore è non esserci fermati a pensare un passo prima, facendoci una domanda fondamentale. A che cosa deve servire loro parlare di comunicazione? 
Insegnare la comunicazione a degli operatori socio sanitari.
Insegnare la comunicazione a dei buttafuori.
Insegnare la comunicazione a degli assistenti allo studio odontoiatrico.
Insegnare la comunicazione ad operatori informatici.
Insegnare la comunicazione a delle guide turistiche.
Insegnare la comunicazione a degli addetti alle vendite… potrei continuare all’infinito.
Quante professioni ci sono? Centinaia. Ognuna ha un bisogno di usare la comunicazione in modo diverso. C’è chi deve assistere e userà un certo tipo di comunicazione, c’è chi deve accogliere e quindi userà la comunicazione in modo ancora diverso, per non parlare poi di chi deve sorvegliare che dovrà usare la comunicazione in altro modo, c’è chi deve guidare... Potrei continuare, ma il punto è che ogni professione utilizza alcune tra le competenze trasversali, e lo fa in modo diverso dalle altre. Questo rende complesso ed estremamente stimolante il lavoro del formatore. Ogni professione ha degli obiettivi differenti in merito all’acquisizione della stessa competenza trasversale. Questa è una base da cui partire. 
Torniamo alla mia esperienza. Mi dettero due righe di programma e un “fai tu” che ebbe l’effetto di alzare il livello della mia ansia da prestazione da prima esperienza a livello esponenziale. 
Feci l’errore che fanno tanti formatori alla prima esperienza, ovvero di voler riempire le ore di contenuti. Misi un sacco di cose dentro, senza chiedermi troppo a che potesse servire. Per me in quel momento era importante l’urgenza del fare. Inizialmente mi ero anche ripromesso di fare cose adeguate e in linea che però con il senno di poi mi resi conto di non aver fatto. 
Ad onor del vero, con un’aula mi andò bene perché trovai un’aula adulta, eterogenea, molto interessata e partecipe che mi confermò la bontà della mia formazione (ma probabilmente erano interessati al tema al di là della sua declinazione professionale, in questo caso avevo avuto fortuna e mi era andata bene). Con la seconda aula, tenuta in contemporanea (ma in ore diverse) invece fu quasi una catastrofe. Trovai un gruppo giovane, silenzioso, provocatorio, oppositivo, che aveva da ridire su tutto. Furono loro a farmi capire indirettamente che forse dovevo cambiare qualcosa. Uscivo da quelle ore con un senso di frustrazione e di impotenza molto forte. Fu un disastro e lo confermarono i questionari di valutazione della docenza che furono impietosi. 
Questa esperienza avvenne nel 2014, a volte torno a ricontrollare il materiale, le slide, e mi rendo conto che oggi non farei più una cosa del genere e quasi sorrido della mia ingenuità, ma evidentemente era un passaggio che avrei dovuto fare per capire come modificare il tiro da quel momento in poi. Ad oggi non aprirei mai neanche il pc senza aver fatto, previa attenta lettura delle caratteristiche del ruolo professionale che vado a formare, una adeguata definizione degli obiettivi. Ovvero le fatidiche domande: “A che deve servire loro?”, “Che obiettivo ha la formazione?”, “Perché è utile nel loro lavoro?”, “Quali comportamenti, finita la formazione, dovranno aver modificato?”. Partiamo da queste domande. Sono la bussola che dovrà orientare il nostro lavoro prima di entrare in aula. Se non ci fornisce queste risposte il committente, starà a noi doverle individuare. 
Se non creiamo degli obiettivi concreti, possibilmente anche verificabili, ben strutturati, il discente avrà la sensazione di fare due chiacchiere o di fare qualcosa che gli serve a poco. Chiediamoci sempre, in linea con la professione, quali sono le competenze che a fine giornata, o a fine formazione, dovrà avere imparato nel concreto.