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numero 86 - aprile 2021

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L'intervista

Jacopo Tarantino

Jacopo Tarantino

Intervistiamo Jacopo Tarantino, Amministratore Delegato di Hogrefe Editore, sulla questione del copyright e delle disposizioni a tutela del diritto d'autore e della proprietà intellettuale, da sempre argomento di dibattito e discussione per chi si occupa di valutazione psicologica. 

D. A che tipo di materiali si applica e che cosa prevede la legge sul copyright e sul diritto d’autore?

R. Innanzitutto, una premessa di ordine terminologico. Il “copyright” è un istituto giuridico finalizzato a tutelare i diritti dell’autore di un’opera dell’ingegno, nel campo della letteratura, della musica, dell’arte, ecc. Attraverso il copyright, si mira quindi a tutelare la creazione originale formalizzata in un’“opera” (non vi è diritto d’autore su un’idea o una formula matematica, ma sulla loro concretizzazione “tangibile”, che l’autore dichiara in qualche modo propria: se il romanzo resta nel cassetto ed è noto solo al suo autore, non sarà proteggibile dal copyright…).
Attraverso il copyright sono tutelate quindi le seguenti prerogative dell’autore dell’opera, con un’attenzione alle opere editoriali:

  • i  diritti morali, cioè il diritto ad essere riconosciuto come autore dell’opera, ad esempio un test psicologico, il diritto di autorizzare o meno la pubblicazione dell’opera o di parti di esso (non si può pubblicare un test o, con qualche limite, un suo estratto senza l’autorizzazione dell’autore), e il diritto di scegliere con chi pubblicare l’opera ed eventualmente di ricusare, a prescindere dai termini di contratto,  l’editore presso il quale si è pubblicato, per ragioni di tutela della reputazione dell’opera stessa (ad es., nel caso che l’editore abbia successivamente intrapreso attività economiche che, pur lecite, l’autore possa oggettivamente ritenere indegne o improprie ai fini della diffusione della propria opera);
  • il diritto di sfruttamento economico dell’opera attraverso, appunto, la sua pubblicazione. 

Va detto, infine, che mentre i diritti morali nel nostro ordinamento giuridico sono inalienabili (cioè, l’autore non può rinunciarvi), i diritti economici sono opzionali, nel senso che l’autore può anche rinunciarvi e permettere la pubblicazione e la diffusione dell’opera senza nulla pretendere.

D. La normativa di riferimento è italiana o internazionale?

R. L’una e l’altra. In Italia, la disciplina in materia di copyright è primariamente regolamentata dalla legge 22 aprile 1941, n. 633 sulla protezione del diritto d’autore, nonché nel regolamento di attuazione correlato (r.d. 18 maggio 1942, n. 1369), oltre che dalle disposizioni contenute nel codice civile (artt. 2575 c.c. - 2583 c.c.). Naturalmente, la legge 633/1941 è stata integrata dalla normativa europea, in particolare dalla direttiva 93/98/CEE (alla quale è stata data attuazione dal d.lgs. 26 maggio 1997, n. 154) e dalla direttiva 2001/29/CE (cui è stata data attuazione dal d.lgs. 9 aprile 2003, n. 68). Il Parlamento e il Consiglio europeo, infine, hanno recentemente approvato la direttiva CEE n. 2019/790/UE sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale – direttiva che deve essere ancora recepita dalla normativa italiana –, che aggiorna le due direttive menzionate.
A livello internazionale, poi, il diritto d’autore è regolamentato attraverso convenzioni o trattati, quali:

  • la Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche (Berna, 1886-1896, modificata con l’Atto di Parigi del 24 luglio 1971 e resa esecutiva in Italia con legge 20 giugno 1978, n. 399);
  • l’accordo TRIPs sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale, promosso dall’Organizzazione mondiale del commercio (Marrakech; 1994);
  • il WIPO Copyright Treaty (WCT) promosso dalla World Intellectual Property Organization, che costituisce un aggiornamento della Convenzione di Berna (Ginevra, 1996).

D. Parlando di test, c’è chi ritiene che il copyright ne protegga componenti, come gli stimoli o il manuale, e non altri, come ad esempio i fogli di risposta o i protocolli di registrazione: può chiarirci come stanno le cose realmente?

R. Anche in questo caso occorre una breve premessa. Abbiamo detto che il diritto d’autore, o il copyright, tutela una proprietà intellettuale, riconosciuta in quanto formalizzazione di un’idea originale, la cui paternità è dichiarata. Quindi, il ricercatore X, che, partendo da un costrutto condiviso in letteratura, crea un test, lo valida e lo standardizza, vedrà riconosciuta la propria proprietà intellettuale su realizzazioni quali la struttura del test (come gli item si combinano nelle varie scale e quali sono i criteri di assegnazione di punteggio), sui testi originali (il manuale, il testo degli item nel loro insieme), sulla presentazione dei dati (tabelle, ecc.), sui materiali stimolo nel loro insieme (sempre in funzione della loro originalità: un cubo da sé non è tutelato da copyright, l’insieme del test dei cubi delle scale Wechsler sì). Ma a che pro tutto questo? Il nostro sistema di sviluppo economico e di progresso scientifico è intrinsecamente legato al concetto di proprietà intellettuale: il riconoscerla soddisfa la naturale aspirazione al riconoscimento economico e morale per il lavoro fatto che spinge l’essere umano a proseguire nel suo lavoro, innescando un volano al progresso nella ricerca. In buona sostanza, se sui test si possono fare profitti, si può investire per svilupparne altri con ricadute positive per chi li utilizza e per il cliente paziente/cliente finale. È esattamente la stessa logica dei farmaci: il profitto garantito dalla proprietà intellettuale, che, ricordiamolo, è esclusiva nel senso che terzi non ne possono godere se non alle condizioni poste da chi detiene il copyright (nei limiti della legge), permette la grande disponibilità di farmaci (e di test) nella nostra società. (Il sistema ha anche delle ricadute negative, ma queste trascendono la sua domanda).
Detto tutto questo, l’autore del test e l’editore, cui egli ha ceduto i diritti di sfruttamento economico dell’opera, hanno interesse a che le varie componenti necessarie ad utilizzare il test siano ragionevolmente redditizie, utilizzando quello che la legge mette a loro disposizione per questo scopo: il copyright. Ma è tutto “copyrightabile”? Sì, ma non tutto quello su cui l’editore mette il proprio copyright è proprietà intellettuale. Facciamo degli esempi.
Va da sé che manuale, questionario, libretti stimolo e simili sono creazioni originali dell’autore e quindi proprietà intellettuale di quest’ultimo: in questi casi il copyright che l’editore appone sta a confermarne la tutela a norma di legge. Il protocollo di registrazione, nella misura in cui riporta indicazioni su come fare lo scoring, schemi per tracciare il profilo grafico, se non il testo degli item, è senz’altro assimilabile ai precedenti: quindi, proprietà intellettuale tutelata dal copyright (la fotocopia non autorizzata di un protocollo di registrazione Griffiths III, per esempio, viola la legislazione sul copyright e il diritto d’autore). Lo stesso dicasi per un modulo di profilo.
Discorso a parte va fatto per il classico foglio di risposta associato a un questionario: la sequenza di caselline numerate in verticale da, poniamo, 1 a 100, e indicate in orizzontale con a, b, c, d (o “vero”, “falso”) non è certo una creazione originale e quindi non ne può essere riconosciuta la “proprietà intellettuale”! Però, l’editore, che lo ha disegnato, composto e stampato, vi mette il proprio copyright a tutela del proprio lavoro; quindi, se in linea teorica non è perseguibile chi si crea il proprio banale foglio di risposta (sequenze di numeri e caselline), non è lecito fotocopiare il foglio di risposta prodotto dall’editore. Lo spirito è quello, sempre, di permettere il giusto profitto a chi ha investito tempo (l’autore) e denaro (l’editore) nel realizzare uno strumento psicodiagnostico, nell’insieme delle sue componenti, a beneficio di chi lo utilizza (professionista e istituzione) e del paziente/cliente.

D. Negli anni sono stati messi a punto programmi di scoring per alcuni dei più noti strumenti di valutazione psicologica. Rappresentano anche questi una violazione del copyright?

R. Sì, anche i programmi di scoring rientrano nelle componenti del test di cui va riconosciuta la proprietà intellettuale, se si utilizzano item, chiavi di scoring (assegnazione item alle varie scale), narrativi creati dall’autore o dall’editore, tabelle normative pubblicate. È lecito, invece, crearsi dei programmi di reportistica propri o di crearsi proprie tabelle normative attraverso cui trasformare il punteggio grezzo (calcolato con gli strumenti messi a disposizione dell’editore) in un qualche punto standard.

D. Perché la pratica della riproduzione non autorizzata dei materiali dei test psicologici è ampiamente diffusa in Italia? Ha la sensazione che all’estero la situazione sia la stessa?

R. Una volta una collega olandese mi disse che più, in Europa, si va verso sud (e verso est), maggiore è l’abitudine a fotocopiare i test… Aldilà della battuta cattiva, è vero che nel nostro paese la pratica della riproduzione non autorizzata dei test (fotocopia o creazione di programmi di scoring Excel) è abitudine dura a morire. Ma si fotocopia, sicuramente in misura minore (del resto in Italia si fotocopiano allegramente anche i libri), anche negli altri paesi, come dimostra che i sistemi più “sofisticati” di lotta alla riproduzione cartacea (moduli di test stampati su carta filigranata) vengono dal Nord Europa e dal Nord America.
Perché si fotocopiano i test? Perché ci sono le fotocopiatrici, ovviamente! E perché è difficile, molto difficile essere colti “in flagranza” ed essere sanzionati, soprattutto se la cosa avviene all’interno del luogo di lavoro, che sia pubblico o privato, e non in copisteria. Si fotocopia soprattutto il materiale di consumo, protocolli, moduli, ecc., per ragioni di risparmio economico soprattutto, ma anche per “far prima”, in particolare se si lavora in un’amministrazione pubblica, che richiede una complessa e lunga procedura d’acquisto, e la necessità di non interrompere le valutazioni è sentita come prioritaria rispetto ad osservare la legislazione sul diritto d’autore (forse nel Nord Europa la macchina burocratica di un’azienda sanitaria è più veloce, e questa è la ragione per cui là vi è una minor incidenza di fotocopie). Ma a parte il danno all’autore (ricordo che a questi è riconosciuta una royalty sul venduto) e all’editore, va detto che così facendo il clinico o il professionista perpetuano la concezione che il test, “in fin dei conti”, sia roba da poco, che si possa fotocopiare senza problemi. Questa banalizzazione (ancora diffusa nella percezione del grande pubblico) è il peggior nemico del testing, come sanno bene autori, editori e gli stessi utilizzatori. Ha fatto quindi molto bene il Ministero della Salute, che il 13 dicembre scorso, ha diramato a tutti gli Assessorati alla Sanità regionali del Paese una circolare sulla pirateria in psicodiagnostica.

D. La violazione della normativa a protezione del diritto d’autore, e dunque la riproduzione non autorizzata del materiale di un test, può avere ripercussioni sul suo utilizzo corretto?

R. Sì, se ciò che è riprodotto è un elemento saliente nella somministrazione o nello scoring. A parte il fatto che, ovviamente, fotocopiare il manuale saltando qualche pagina ne compromette la comprensione, riprodurre artigianalmente il materiale stimolo può alterare la percezione che ne ha il valutando (il caso più emblematico è quello delle tavole Rorschach, ma il discorso vale anche per altri test), o far sì che la somministrazione non avvenga con le stesse precise modalità attraverso le quali il test è stato a suo tempo standardizzato, compromettendo la validità dell’assessment. Si torna sempre al punto centrale: chi fotocopia un test dà mostra di non comprendere, pur nella “banalità” di protocolli, libretti e fogli di carta, del suo valore come strumento di misura che dev’essere valido e affidabile. D’altro canto, per fare un esempio di attualità, inoculereste un vaccino senza rispettare alla virgola le condizioni di conservazione e preparazione previste dalla casa farmaceutica?

D. Nell’arco della sua lunga esperienza nel settore, ha avuto la sensazione che la pratica della riproduzione non autorizzata dei materiali abbia subito modificazioni negli anni?

R. La lotta alle fotocopie è una “corsa alle armi”: nel tempo che gli editori s’inventano meccanismi per rendere difficoltosa la fotocopia, le case costruttrici immettono sul mercato macchine fotocopiatrici sempre più sofisticate e capaci di produrre copie quasi identiche all’originale. La secretazione delle chiavi di correzione, benché violi da vari aspetti la ragion d’essere di un editore scientifico, e alcuni modelli di commercializzazione che fanno leva sull’informatizzazione dei test, sono oggi un tentativo di contrastare sia la fotocopia che la creazione di programmi di scoring non autorizzati. Difficile prevedere se queste politiche avranno un successo definitivo: siamo solo all’inizio di un altro capitolo di questa lunga guerra fra editori e autori da una parte e utilizzatori di test dall’altra…
Ma la soluzione non è nella guerra, bensì in un’alleanza e in una ragionevole fiducia fra le due parti, basate su due pilastri: la piena consapevolezza che i test non sono quei banali “foglietti” che sembrano e il reciproco riconoscimento del proprio lavoro, a beneficio del paziente/cliente. Questa è la ragion d’essere dell’editore, ma anche del professionista e del clinico.