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numero 71 - ottobre 2019

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L'intervista

Intervista a Nikita Mikhailov

Intervista a Nikita Mikhailov

D. Qual è lo stato dell’arte attuale dei modelli di personalità? Sembra che in parte anche il modello categoriale del DSM-5 sia stato messo in dubbio.

R. Il modello che tendo ad utilizzare maggiormente è quello dei Big Five. Per me non è tanto questione di stato dell’arte quanto della scientificità che sta dietro la teoria, e sul modello dei Big Five esistono 10.000 se non 100.000 articoli di ricerca. Inoltre, stiamo attualmente osservando che l’applicazione dei Big Five non è più limitata alla sola psicologia del lavoro, ma anche in altri campi come il marketing, la raccolta dati e anche il DSM-5 lo ha menzionato come elemento da integrare nell’approccio dimensionale alla diagnosi. È un momento davvero entusiasmante per le aziende che al loro interno si occupano di differenti campi psicologici.

D. Che cosa pensa del NEO-PI-3?

R. È uno strumento che è stato costruito sulla linea della prima edizione del NEO e mostra notevoli aggiornamenti e accorgimenti rispetto alla subito precedente revisione (NEO PI-R). Ha una certa facilità e comodità di utilizzo all’interno dei processi di selezione, grazie alla sua validità e attendibilità, ed è anche utile per lo sviluppo individuale. In aggiunta, funziona bene insieme ad altri strumenti che possono essere integrati nell’assessment, come misure di abilità e performance o test di personalità più mirati.
È indubbio che si tratta dell’inventario di personalità basato sul modello del Five Factor più approfondito al mondo. Consente, infatti, di rilevare dei punteggi standardizzati, non solo su ognuno dei cinque fattori ma anche su diverse sfaccettature che definiscono ciascun singolo fattore. In particolare, ogni fattore, viene declinato in sei sfaccettature. Quindi, ad esempio, due persone che ottengono lo stesso punteggio sul fattore Estroversione, possono avere un pattern diverso relativo alle sei sfaccettature che costituiscono il fattore: una persona può essere più assertiva (scala Assertività) mentre l’altra caratterizzata da maggiore Calore relazionale.

D. Alcune volte i test psicologici vengono utilizzati in maniera rigida, dando più importanza ai punteggi che ai significati personali che se ne possono trarre. Quale è, secondo lei, il giusto approccio?

R. Dipende dalla situazione. Per esempio, può capitare che si abbia il tempo di fare un colloquio individuale con il candidato, nel quale si possono verificare le risposte e esplorare i risultati che ha ottenuto in maniera più approfondita. Altre volte si può utilizzare il report da solo per avere informazioni sul processo di selezione e grazie ad esso per esempio per creare delle domande personalizzate per l’intervista del candidato. Quindi non c’è un modo giusto o sbagliato in assoluto, ma occorre conoscere i limiti del lavorare sul solo dato psicometrico senza una opportuna sessione di feedback.

D. Le caratteristiche di personalità sono stabili o cambiano nel tempo?

R. Entrambi i casi. È un po’ come per il dibattito natura vs cultura: esiste da molto tempo e solo ora abbiamo realizzato che la risposta è che tutti e due i fattori sono decisivi e che è l’interazione tra essi l’elemento più affascinante. Lo stesso vale per la personalità. Secondo me, le dinamiche di personalità sono qualcosa di molto complesso che risente sia di fattori innati sia anche molto di fattori legati al contesto in cui interagiamo; il cambiamento è profondamente legato alle nostre esperienze di vita e al significato che costruiamo a riguardo. Ciò che è ancora più curioso è che cosa cambia la nostra personalità e come, per esempio uno studio recente ha osservato che la psicoterapia è in grado di ridurre l’entità del Nevroticismo (che ha effetti emotivi negativi) e accresce quella dell’Estroversione (che ha effetti emotivi positivi); questo è qualcosa a cui pensare. Credo che più che spendere tempo dibattendo sul fatto che la personalità cambi o meno, noi abbiamo bisogno di indagare come e quando cambia, e come possiamo utilizzare queste informazioni per affrontare i tratti maladattivi di personalità e aiutare le persone a vivere delle vite più in linea con chi sono realmente.

D. Quali sono le difficoltà principali per uno psicologo nel momento della restituzione dei risultati della valutazione?

R. Dipende dal cliente poiché ognuno è diverso e alcuni potrebbero essere in disaccordo con i risultati e altri essere passivamente d’accordo, quindi ogni singolo colloquio ha le sue specifiche difficoltà. Comunque io credo che il miglior modo di approcciarsi alla sessione, consista nel porsi verso il cliente con un alto grado di curiosità intellettuale, più che provare a conformarlo al profilo che è emerso dagli strumenti. Se il cliente non è in disaccordo con la restituzione è molto interessante capire quale è il punto che disconoscono in maniera più netta; se invece aderisce passivamente può essere opportuno chiedergli che cosa pensa di aver sbagliato, che cosa vorrebbe cambiare nelle risposte se potesse. Un’altra valida opzione è quella di chiedere “Come descriveresti la tua personalità?” come incipit iniziale e poi vedere se la loro descrizione corrisponde o meno al profilo ottenuto.

D. Esiste una relazione tra capacità di leadership e tratti di personalità?

R. Quello che è importante, è capire come ci riferiamo alla “leadership”, perché è uno di quei termini che le persone pensano sia molto chiaro e oggettivo ma in realtà è molto soggettivo e dipendente da diverse teorie. La domanda che è interessante esplorare con il candidato è  “Se non potesse usare la parola leadership quale altra userebbe?”. Spesso la risposta è un buon indicatore di personalità.
Se si sta parlando di fame di potere, sicuramente ci sono dei legami forti con il fattore Estroversione, l’importanza data alle relazioni (Piacevolezza), la creatività (Apertura), la volontà di realizzazione (Coscienziosità) e anche la stabilità (Nevroticismo) gioca il suo ruolo.
È quindi sempre fondamentale capire come si definisce la “leadership”.