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numero 105 - luglio 2023

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L'intervista

Intervista a Luigina Sgarro, Nadia Osti e Michela Pajola

Intervista a Luigina Sgarro, Nadia Osti e Michela Pajola

In occasione della prossima uscita del libro Le vie del coaching. Strategie per psicologi irriverenti, abbiamo intervistato le tre autrici: Luigina Sgarro, Nadia Osti e Michela Pajola. Con loro abbiamo fatto una riflessione sui temi del libro, ma sopratutto sui punti di contatto e le differenze, i ruoli e le competenze delle diverse figure professionali che accompagnano al cambiamento. 

D. Il titolo del libro rimanda l’idea che nell’ambito di coaching si possano distinguere percorsi diversi. Fate riferimento a percorsi diversi nella formazione del coach o di linee di impiego diverse nell’esercizio della professione del coach?

R. In effetti entrambe le cose. Da una parte ci sono, come illustriamo nel testo, senza pretesa di esaustività, moltissimi percorsi per definirsi coach, dall’altra esistono pressoché infinite tipologie di coaching. È quindi facile immaginare quante siano le conseguenti combinazioni possibili di questi due elementi.
Oltre a questo, in realtà, con il titolo e, forse ancora di più con il sottotitolo, vogliamo anche evidenziare come il coaching sia una disciplina poliedrica che apre nuove vie di lettura e di intervento nel quadro della psicologia, in particolare la psicologia positiva, aumentando le possibilità trasformative per i clienti, e questo vale anche per la psicoterapia. 
Quindi: diverse vie per essere coach, diverse vie per diventare coach, infine, il coaching stesso offre nuove vie per gli psicologi che amano il rigore della scienza ma non le ingessature delle teorie e delle metodologie per così dire “canoniche”.

D. Quali sono i principali settori in cui opera un coach?

R. Il termine coach, così come è utilizzato oggi, è applicabile ad ambiti numerosissimi, ampi e, potenzialmente, infiniti. Questo è un altro aspetto di cui ci occupiamo del libro che rende difficile una disciplina definita dell’ambito e un orientamento chiaro per le persone. 
Se il termine coach nasce in ambito sportivo, poi si è evoluto e oggi si parla di “vocal coach”, “image coach”, “diet coach”. Sembra che chiunque si occupi di un settore più o meno specifico in maniera focalizzata e con le persone, possa definirsi coach. 
Allo stato attuale, i principali settori sembrano essere: business, career, executive e leadership, poi c’è il life coach, etichetta sotto la quale, però, troviamo anche cose molto diverse. 
Comunque, non esistono statistiche affidabili neanche su questo, proprio per i motivi detti prima, basta fare una ricerca sul web per rendersene conto.

D. Voi fate una panoramica delle figure professionali che accompagnano al cambiamento: mentor, counselor, psicologo, psicoterapeuta, coach. Perché a vostro avviso ci sono così tante figure professionali coinvolte in questo settore e così tanta apparente sovrapposizione nel loro operato?

R. Difficile individuare una sola ragione specifica all’origine della pluralità delle figure che accompagnano al cambiamento. Ogni approccio è, o almeno si dichiara, diverso per sfumature e finalità, la carrellata che proponiamo nel testo ha l’obiettivo di fare sintesi rispetto a ciò che queste discipline hanno in comune, e abbiamo rilevato questo: nella realtà della pratica diversi approcci risultano confinanti se non sovrapponibili. Spesso i nomi delle figure professionali sono dovuti a contesti, approcci e autori che hanno lasciato la loro impronta costruendo un mosaico di discipline. 
Nell’analisi che proponiamo ci soffermiamo su due aspetti comuni a tutte queste discipline: l’importanza della relazione tra chi accompagna e chi è accompagnato e la finalità ultima ovvero la trasformazione, uno stato esistente che necessita nuovi sguardi, direzioni, risultati. 

D. Come pensate che una persona che intende iniziare un percorso di cambiamento possa scegliere il professionista più adatto alle sue esigenze?

R. È una tematica che affrontiamo in uno degli ultimi capitoli del testo. La tradizionale ipotetica divisione tra “desiderio di raggiungere un obiettivo” e “cessazione della sofferenza” ha già, in sé, molte sfumature, se poi inseriamo tutto questo nella complessità della mente umana, capiamo che, anche in questo caso, la contrapposizione è, in sostanza, solo apparente: ci sono varie combinazioni di questi elementi che si sommano all'unicità dell’individuo. 
Noi suggeriamo, come strumento di base, un approccio che utilizza una matrice di riferimento. La matrice prevede due assi: da una parte “fare” opposto a “pensare” e dall’altro “conoscere” opposto a “sentire”. 
Crediamo che questo schema possa dare un primo suggerimento su quale tipo di aiuto possa fare al caso nostro. Ovviamente anche per condurre questa analisi occorre avere un buon livello di autoconsapevolezza, ma, a nostro avviso, è un punto di partenza. Non vuole essere una mappa, ma piuttosto una bussola.

D. In un capitolo del libro affrontate il tema dei rischi del coaching. Quali possono essere secondo voi?

R. Il capitolo si intitola “Opportunità e rischi del coaching”. Crediamo che le opportunità siano evidenti a chiunque sia tra i potenziali lettori del volume. Per quanto invece riguarda i rischi, abbiamo voluto parlarne perché, dalla nostra ricerca, emerge come non siano altrettanto immediati e facilmente riconoscibili. 
Per citarne solo alcuni, tra quelli descritti, iniziamo dal fatto che si tratta una tipologia di attività di fatto ancora non definita, con tutte le implicazioni che ne derivano e che, rispetto ad altri tipi di intervento come la formazione, l’assessment o la stessa psicoterapia, ha una minore mole di ricerca scientifica anche (ma non solo) sull’effettiva efficacia. 
Poi, se da una parte abbiamo una scarsa standardizzazione della preparazione nei vari ambiti di specializzazione, dall’altro, emerge la possibilità che una preparazione di tipo tecnico (il coaching a 5 passi, il coaching bioenergetico ecc.), all’interno delle varie “scuole”, possa portare a un approccio di tipo “procedurale”, meccanicistico, piuttosto che rigoroso. 
Un altro ancora, è il rischio di affrontare delle problematiche di tipo emozionale senza avere gli strumenti anche solo per riconoscerne la presenza, con potenziali conseguenze dannose. Ma ce ne sono ancora altri che si dovrebbero considerare, e di cui parliamo nel testo.

D. Lo psicologo coach e il coach non psicologo. Quali sono le principali differenze professionali tra queste due figure?

R. La prima e più importante differenza è la formazione: lo psicologo coach ha almeno una laurea in psicologia e una specializzazione in una o più tecniche di coaching vantando non solo la conoscenza del coaching ma anche la conoscenza del funzionamento umano. Conoscere l’impatto che la sfera emotiva e fisiologica, quella cognitiva e sociale, hanno sul cambiamento umano è un plus fondamentale per utilizzare con consapevolezza e professionalità ogni tecnica e strumento. Avere conoscenza dei fondamenti del disagio psicologico e delle categorie diagnostiche permette di fare una corretta analisi della domanda e riconoscere disagi che devono essere trattati in sedi specifiche. Avere una specializzazione in psicoterapia dà inoltre il vantaggio di avere dimestichezza con tutte le implicazioni che la relazione tra chi accompagna e chi è accompagnato porta con sé, una per tutte, la gestione del transfert e del controtransfert e, in generale, di tutte le tematiche proiettive e relativi bias personali.

D. E lo psicoterapeuta coach? Sulla carta sembra essere una sorta di psicologo con i superpoteri. È davvero così?

R. In un certo senso sì, per definizione. In generale lo psicoterapeuta è uno psicologo (può anche essere un medico). Non abbiamo i dati italiani, ma un articolo di APA (American Psychological Association) dichiara che solo il 4% degli psicoterapeuti ha una laurea in medicina e che solo il 10% degli psicologi prende una specializzazione in psicoterapia. Questi potrebbero non essere i numeri italiani, ma aiutano comunque a rimarcare il fatto che lo psicoterapeuta è sempre una persona che ha già una laurea, spesso in Psicologia, qualche volta in Medicina. Quindi, come dire, è un superpotere nel senso che ha un potere, inteso come “capacità di”, uguale a quello ottenuto con gli studi accademici sulla mente umana, se ne aggiunge un altro, quello ottenuto con la specializzazione in psicoterapia, spesso di durata almeno quadriennale (con rare eccezioni) e con una parte esperienziale notevole. 

D. Voi siete tre psicologhe, specializzate in psicoterapia, e coach. Consigliereste ai colleghi psicologi in formazione, o già formati, di intraprendere un percorso come il vostro?

R. Come scriviamo nell’introduzione del libro – ed è una cosa cui teniamo molto – questo non è un “libro a tesi”, cioè non siamo partite da un’ipotesi con l’intento di dimostrarla; si tratta di un lavoro che è nato da una constatazione: non ci sono molti psicologi che si occupano di coaching o, secondo la nostra esperienza, non abbastanza. Ci siamo domandate come mai, visto che noi siamo tre coach entusiaste pur provenendo da percorsi professionali e, per certi versi, anche di vita diversi. Una di noi viene dalla Puglia (Luigina), una dalla Lombardia (Michela) e una dall’Emilia (Nadia), abbiamo vite diverse, specializzazioni diverse, ma quello che abbiamo in comune è una forte passione per la psicologia positiva e il coaching.
Dalla ricerca della risposta è nato questo libro che è anche un lavoro di approfondimento, di discussione, confronto con altri. 
La formazione che unisce la psicologia alla psicoterapia e, successivamente, al coaching ha il vantaggio di fornire una sorta di visione binoculare al professionista: da una parte l’uomo, la persona, dall’altra il contesto e l’organizzazione. Entrambi hanno potere di azione sui comportamenti e sulle possibilità di cambiamento dell’individuo. La formazione come professionista in psicologia porta a una maggiore consapevolezza del funzionamento umano, la specializzazione in coaching apre a nuove possibilità applicative, ovvero di strumenti e di ambiti.  
Quindi la nostra risposta, se non è proprio una “chiamata alle armi” è almeno un sì convinto.