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numero 98 - giugno 2022

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L'intervista

Intervista a Francesco Padovani

Intervista a Francesco Padovani

In occasione dell’uscita del volume La WAIS-IV per i clinici. Recenti progressi nell'interpretazione, di cui è co-autore, abbiamo coinvolto il Prof. Francesco Padovani in un’intervista che racconta la storia delle scale Wechsler in Italia.

D. Alla luce della sua lunghissima esperienza con le scale Wechsler, in qualità di utilizzatore e formatore, come spiega il favore che queste scale hanno da sempre incontrato nel nostro Paese, rispetto ad altri strumenti di valutazione del funzionamento cognitivo, anche altrettanto validi?

R. Il favore verso le scale Wechsler, in Italia, è andato aumentando nel corso degli anni fino a raggiungere il riconoscimento attuale. Negli anni intorno al 1970 sia la scala WISC che la WAIS erano già tradotte in italiano e facevano parte del bagaglio tecnico dello psicologo, ma complessivamente erano poco usate, perché spesso ad esse si preferiva la scala Stanford-Binet, Forma L-M che disponeva della taratura italiana del 1968 eseguita presso l’Istituto di Psicologia dell’Università di Genova dalle professoresse Maria Teresa Bozzo e Graziella Mansueto Zecca. La Stanford-Binet poteva essere somministrata sia ai bambini che agli adulti, ma, rispetto alle batterie Wechsler, forniva informazioni assai scarse perché limitava la misurazione al solo quoziente di intelligenza.
Una più approfondita conoscenza delle scale di intelligenza Wechsler e delle loro caratteristiche diffusa proprio in quegli anni nei corsi di laurea in psicologia contribuì a favorire notevolmente l’uso della WISC e della WAIS in luogo della Stanford-Binet. La ragione principale di questa sostituzione dipese, probabilmente, dal fatto che le scale Wechsler, diversamente dalla Stanford-Binet erano “dedicate”: la WISC ai bambini e la WAIS agli adulti. Questo di per sé creava una preferenza d’uso a seconda dell’età dei soggetti con il tendenziale accantonamento della Stanford-Binet. Inoltre, le scale Wechsler fornivano tre tipi di QI: il QI Verbale, ricavato da cinque subtest, il QI di Performance, anch’esso ricavato da 5 subtest e il QI Totale derivato da tutti e dieci i subtest. Gli psicologi avevano quindi a disposizione molti più indicatori rispetto al solo QI della Stanford-Binet e questo ha sempre operato come grande “tranquillizzatore” perché metteva a disposizione più indici da poter usare nelle ipotesi cliniche e nelle formulazioni diagnostiche.
Nel 1975, per i tipi di Boringhieri Editore, con il titolo “I reattivi psicodiagnostici”, veniva stampato il libro di Rapaport, Gill e Shafer Diagnostic psychological testing che enfatizzava notevolmente l’utilità clinica dell’analisi del profilo delle scale Wechsler incrementandone ulteriormente l’uso rispetto alla Stanford-Binet. Nel giro di pochi anni le scale WISC e WAIS presero il sopravvento e vennero considerate il gold standard della valutazione intellettiva divenendo le uniche usate, tanto più che a quel tempo praticamente non esistevano strumenti in grado di concorrere con esse quanto a composizione strutturale. Nel corso degli anni, le scale Wechsler divennero strumenti psicometricamente sempre più perfezionati fino ad arrivare alle attuali WISC-IV e WAIS-IV (per non parlare delle prossime forme V), incontrando il favore sia degli accademici che dei professionisti perché riescono a combinare le concettualizzazioni teoriche con i riscontri della pratica clinica. Una volta che uno strumento o una procedura siano diventati gold standard è difficile rimuoverli dalla posizione acquisita e il loro uso può avvenire anche per semplice abitudine senza più curarsi dei test precedenti.
Un aneddoto: verso il 1985, in una importante e sofisticata Unità Sanitaria del Nord, le psicologhe e gli psicologi decisero di mettere ordine nella congerie di strumenti psicologici che ingombravano gli scaffali dei loro studi. Così riposero in un armadio i test meno usati come vari questionari per la valutazione del carattere e del comportamento del fanciullo, i reattivi di discriminazione morale, quelli di temperamento, la scala di Valentine, quella di Kulhman, il metodo di Gesell, la scala di Oseretzky e, appunto, la scala Stanford-Binet con l’intenzione di riprenderli in mano all’occorrenza. Poi chiusero a chiave l’armadio affiche nessuno andasse a curiosare e mettere in disordine. E, in effetti, nessuno andò a curiosare, tant’è che dopo qualche anno ci si accorse che la chiave non si trovava più ed era andata persa…!
Comunque, riguardo l’utilità delle scale Wechsler, mi pare importante riferire questo fatto, da me riscontrato innumerevoli volte nel corso della professione di psicologo nelle ASL e puntualmente confermatomi dai colleghi: quando, ottenuto il quadro cognitivo della persona, fosse essa bambino o adulto, si trattava di effettuare la restituzione, se il quadro cognitivo era imperniato sui risultati alla WISC o alla WAIS si riscontrava sempre un altissimo grado di accordo con i referenti della persona o con la persona stessa, mentre ciò abbastanza raramente avveniva utilizzando altri tipi di test.
Poi, diciamo dopo il 2000, sono apparsi strumenti in grado di competere quanto ad eccellenza psicometrica e composizione strutturale con le scale Wechsler perché si rifanno ad approcci teorici come la teoria CHC o al modello fattoriale di Larrabee oppure assumono un ruolo molto funzionale in quella che Flanagan, Ortiz e Alfonso chiamano Cross-Battery Assessment (XBA).
Altro discorso, invece – bisogna pur trovare il coraggio di dirlo – vale per i bambini piccoli, fino i 6 anni di età. La composizione strutturale delle scale Wechsler rivolte ai bambini di queste età è stata mutuata da quella degli strumenti preparati per persone di età superiore e acriticamente applicata anche alle scale per i piccoli, ma non trova riscontro negli studi di psicologia infantile che uniformemente riconoscono la presenza del sincretismo fino ai 5-6 anni.
Dovendo operare con bambini piccoli, è meglio far riferimento all’ormai ampia gamma di strumenti rivolti alle prime età e basati su concezioni più strettamente neuro-psico-fisiologiche che fattoriali.

D. La WISC-IV e la WAIS-IV rappresentano davvero “solo uno strumento di valutazione del funzionamento intellettivo”?

R. La WISC-IV e la WAIS-IV sono principalmente strumenti di valutazione del funzionamento intellettivo e vanno usati come tali. Essi non contengono item specificamente rivolti alla misurazione di aspetti emotivi-affettivi-relazionali cosicché non possono essere direttamente finalizzati ad una diagnostica di questo tipo.
L’esperienza accumulata nella valutazione dei vari tipi di disturbi psicologici, tuttavia, ha messo in evidenza la comparsa di profili cognitivi abbastanza simili per lo stesso disturbo cosicché il riscontro dell’esistenza di un certo profilo può costituire un elemento che induce a ricercare o confermare la presenza di un determinato tipo di disturbo. Va detto, comunque, che esiste un notevole livello di sovrapposizione fra i profili cognitivi dei vari disturbi cosicché le operazioni diagnostiche basate sulla somiglianza dei profili, in linea generale, sono sconsigliabili. Il metodo da seguire nei procedimenti diagnostici è quello multicomponenziale, che prende in considerazione informazioni sulla persona derivanti da più fonti e ne verifica la congruenza fra loro e rispetto all’ipotesi diagnostica in via di formulazione.
Quando un determinato profilo cognitivo per qualche ragione fa sospettare la presenza di problematiche di natura emotiva-affettiva-relazionale esse vanno approfondite con gli strumenti psicologici più appropriati a questi tipi di disturbi.

D. Pensando alle centinaia di valutazioni psicologiche che ogni giorno vengono svolte in contesti diversi e con finalità diverse, crede che le scale Wechsler siano effettivamente utilizzate al loro massimo potenziale?

R. Se utilizzate secondo le istruzioni dei rispettivi manuali, le scale Wechsler sono in grado di indicare con notevole attendibilità e validità alcuni parametri fondamentali della struttura cognitiva della persona come l’Indice di Comprensione verbale, l’Indice di Ragionamento visuo-percettivo, l’Indice di Memoria di lavoro, l’Indice di Velocità di elaborazione e il Quoziente intellettivo globale. Se si vuole, possono essere ottenuti anche altri parametri utili nei diversi campi applicativi della psicologia come l’Indice di Abilità Generale e l’Indice di Competenza Cognitiva. A ciò si aggiungono le informazioni – meno sicure, ma pur sempre fruttuose – derivate dai quindici subtest che, complessivamente, formano gli Indici.
Accanto agli psicologi che cercano di trarre ogni possibile informazione dalle scale Wechsler, così come dagli altri strumenti che utilizzano, ci sono, tuttavia, dei professionisti che mirano ad ottenere il QI il più sbrigativamente possibile e poi si basano su quest’unica misura per spiegare il funzionamento cognitivo della persona: come si faceva ai tempi di Binet e Simon, più di cent’anni fa, quando non c’era di meglio. Si tratta di una pratica da sconsigliare vivamente come inadeguata e, considerata l’attuale efficienza di indagine della struttura cognitiva delle scale, probabilmente lesiva del diritto della persona alla piena informazione.
Non esistono ragioni valide per non cercare di raggiungere la valutazione più chiara e completa possibile delle capacità cognitive della persona. Le motivazioni connesse con il risparmio di tempo conseguente all'applicazione dei soli subtest indispensabili per ottenere il QI sono risibili a fronte dei maggiori benefici derivanti all’individuo dalla determinazione di tutti gli Indici e punteggi che si possono ottenere dai test. Ciò vale sia per le scale Wechsler sia per tutti gli altri strumenti di indagine psicologica. Voler “far presto” è un fenomeno di malpractice che svaluta gli strumenti psicologici e loro opportunità diagnostiche e, in definitiva, appalesa conoscenze e modalità di intervento psicologico quanto mai povere e approssimative.

D. Quali sono i maggiori errori o le ingenuità in cui i clinici possono incorrere nell’uso di questi test?

R. A parte la questione della determinazione del solo QI sopra indicata, credo sia importante sottolineare l’importanza e la difficoltà della fase di somministrazione delle scale. Tutti credono che la somministrazione sia talmente facile da poter essere demandata ai tirocinanti. Invece si tratta di una procedura che richiede grandi capacità psicologiche perché esige di mantenere una valida relazione empatica nonostante l’adozione dell’atteggiamento direttivo richiesto dal manuale della scala e si debbano gestire le frustrazioni, più o meno espresse dalla persona, per gli inevitabili insuccessi.
Non voglio ripetere qui quanto ho scritto nei volumi sulla WISC-IV e la WAIS-IV, ma, in sintesi, la somministrazione richiede di saper mostrare umiltà, cortesia, serenità, il giusto grado obbiettività e interessamento per le problematiche della persona, tenere sotto controllo i pregiudizi, l’influenza delle apparenze e gli effetti delle aspettative sulle capacità del soggetto, possedere le conoscenze e le capacità di comunicazione non verbale, calibrare la somministrazione in base ai giusti bisogni, al grado di fatica, alle caratteristiche personali e al mantenimento del benessere emotivo del soggetto adottando le giuste scansioni temporali, con le dovute pause e/o accelerazioni nella presentazione degli item, e porgere le consegne in modo adatto alle differenti persone. La preparazione e il giudizio attento dell’esaminatore soccorrono nell’espletamento di questi compiti non facili. Chi somministra la WAIS-IV a fini clinici deve essere un professionista formato che conosce bene la psicologia, perché la complessità del funzionamento cognitivo può essere colta solamente attraverso un approccio di valutazione che non solo rispetti le procedure previste dal manuale del test, ma anche valorizzi adeguatamente la persona e ne sostenga la motivazione.
Un’altra ingenuità frequente è ritenere che l’analisi del profilo cognitivo possa da sola definire una diagnosi clinica. In realtà si devono accettare le conclusioni da vario tempo formulate da Kamphaus e collaboratori, ed espresse anche in un lavoro del 2018, sulla mancanza del supporto di validità dell’analisi del profilo. L’unica procedura che consente di pervenire ad una corretta diagnosi consiste nell’avvalersi di dati provenienti da una pluralità di fonti che, fra loro incrociate, mostrino coerenza e congruenza rispetto all’ipotesi diagnostica.

D. Quali sono a suo avviso i subtest maggiormente informativi in ambito clinico della WAIS-IV e della WISC-IV?

R. Senza voler togliere nulla agli altri subtest che, come appena spiegato, vanno tutti somministrati per una piena comprensione del funzionamento cognitivo della persona, si può dire che i subtest maggiormente informativi sono quelli che da più tempo sono presenti nelle scale e/o sui quali sono stati svolti molti studi.
Un test di grande importanza è Disegno con i cubi, sperimentato da Kohs fin dal 1920, ed universalmente riconosciuto come subtest di tipo visuo-costruttivo in grado di segnalare la capacità di ragionamento partendo da analisi e sintesi di dati visuo-spaziali ed indicare sommariamente anche le capacità di coordinazione occhio-mano, l’abilità psicomotoria, la velocità psicomotoria e la destrezza manuale e delle dita. In tutti gli studi Disegno con i cubi risulta molto sensibile al danno cerebrale cosicché una sua forte caduta mette in guardia rispetto a disturbi di tipo neurobiologico. Altrettanto valido è Ragionamento con le matrici che, per quanto inserito nelle scale Wechsler solo recentemente, si ispira al test di Raven del 1938 sul quale sono stati condotti innumerevoli studi che lo hanno riconosciuto come importante misura della capacità di induzione, talora chiamata anche ragionamento astratto, basata su dati visuo-percettivi. Tranel e collaboratori in uno studio del 2008 sostengono che, diversamente da Disegno con i cubi, Ragionamento con le matrici mostra cadute limitate nel danno cerebrale localizzato cosicché potrebbe essere considerato un subtest “invariante” e, se non fosse per il fatto che è sempre rischioso basarsi su un unico subtest, utilizzato anche come indicatore del funzionamento cognitivo premorboso.
Fra i subtest della scala verbale sono fondamentali Somiglianze e Vocabolario. In sintesi, Somiglianze fornisce una misura del ragionamento verbale e della capacità di formare concetti progressivamente più complessi mentre Vocabolario rileva il grado di conoscenza delle parole e dell’abilità di esprimere appropriatamente i concetti verbali. Su entrambi questi subtest sono stati condotti moltissimi studi che, come riferiscono Lezak e collaboratori nel lavoro del 2012, attestano la loro sensibilità ai danni e ai disturbi di tipo neurobiologico. Un test piuttosto sottovalutato per le indebitamente supposte caratteristiche di rilevazione dei soli aspetti culturali è Informazione. In realtà si tratta di un subtest giustamente rivalutato in tempi recenti che fornisce sì una misura della quantità di conoscenze acquisite nella cultura corrente, ma anche della capacità di recuperare informazioni dalla memoria a lungo termine e, se ne tenga ben conto, del grado di partecipazione attiva all’ambiente. In alcuni problemi emotivi il grado di partecipazione all’ambiente è molto ridotto a fronte di buone o discrete capacità in altri subtest e questo può costituire l’indizio utile per sviluppare un’analisi clinica appropriata alle esigenze del caso.
Nella scala di memoria di lavoro le informazioni migliori derivano dall’insostituibile subtest Memoria di cifre, che fornisce misure di Memoria diretta, Memoria inversa e, nella WAIS-IV, anche della capacità di Riordinamento di cifre, e da quello di Ragionamento aritmetico – altrettanto insostituibile, anche se nella WISC-IV è posto fra i subtest supplementari – che restituisce una misura della capacità di memoria di lavoro, di operare mentalmente con i concetti aritmetici di base e di sviluppare un ragionamento per risolvere problemi di tipo numerico. Mi pare superfluo sottolineare l’importanza di queste variabili nelle valutazioni cliniche.
Fra la scala di velocità di elaborazione è fondamentale Cifrario, che informa sulla capacità e velocità di apprendimento di associazioni nuove e non familiari, sull’efficienza della memoria visiva a breve termine e sulla velocità di esecuzione grafo-motoria. Cifrario è considerato un subtest di grande sensibilità alla presenza di disturbi di tipo neurobiologico. Già Wechsler, nel 1958, aveva messo in evidenza la caduta in questo subtest – insieme a quella in Disegno con i cubi e in Memoria di cifre – nei soggetti “organici” e negli anni recenti tutti gli studi hanno confermato la sensibilità di Cifrario al danno cerebrale di qualsiasi natura. Tale sensibilità sembra connessa all’esigenza di attivazione delle funzioni dell’emisfero destro per l’analisi visuo-percettiva dei segni e di quelle dell’emisfero sinistro per l’esecuzione motoria; la normale prestazione al subtest richiede quindi l’integrità sia dell’emisfero sinistro che di quello destro e di tutte le fibre ed aree associative cerebrali.
Nella scala di velocità di elaborazione è presente anche il subtest Ricerca di simboli, finalizzato alla misura della velocità di identificazione e confronto visuo-percettivo di segni astratti e della rapidità di decisione nella scelta, ma il fatto di essere stato inserito solo ultimamente nelle scale Wechsler e la relativa povertà di studi sperimentali su di esso, attualmente fanno collocare questo subtest ad un livello informativo minore di quello di Cifrario.

D. C’è un ordine in cui procedere nell’interpretazione degli indici compositi delle scale Wechsler che consente di massimizzare le informazioni che si possono ottenere?

R. L’ordine di somministrazione e di interpretazione consigliato e da seguire normalmente è quello indicato dai manuali delle scale e riportato sul protocollo di notazione. Gli stessi manuali, tuttavia, precisano che talvolta può essere necessario cambiare tale ordine per andare incontro alle necessità di uno specifico soggetto.
Per quanto riguarda più specificamente l’interpretazione delle scale Wechsler, è fondamentale ribadire l’esigenza di raggiungere dapprima una piena chiarezza nella descrizione del significato dei punteggi dei vari Indici. La descrizione dei punteggi deve essere effettuata secondo i passaggi di un diagramma di flusso che diversifica i percorsi a seconda dell’omogeneità/disomogeneità dei punteggi ritrovati nella prestazione alla WISC-IV/WAIS-IV. In tale descrizione le variabili devono essere messe in relazione fra loro limitatamente ai dati numerici e all’insieme di informazioni disponibili sul caso, evitando interpretazioni mentalistiche per non rischiare illazioni gratuite. L’interpretazione della scala avviene solo dopo la descrizione, come sintesi dei vari dati disponibili e non può essere formulata senza di essa.

D. Quanto può essere utile avere un profilo di punteggio al test rispetto a diverse categorie di disturbi clinici? Ad esempio, DSA, ritardo cognitivo, ADHD ecc.

R. Fino ad alcuni decenni fa era considerato fondamentale basarsi sui profili dei punteggi ponderati per impostare un’ipotesi clinica. Successivamente, gli studi hanno mostrato l’esistenza di una grande sovrapposizione fra i profili dei vari disturbi con la conseguente impossibilità a prendere decisioni esclusivamente sulla loro base. Come sopra indicato, il metodo attualmente ritenuto migliore per la diagnostica è quello multicomponenziale. In questo metodo i profili non costituiscono l’elemento principale su cui basare la diagnosi, ma semplicemente uno degli elementi da prendere in considerazione per confermare le ipotesi in essere. Certamente la presenza di sostanziali differenze fra il quadro di punteggi atteso in un certo disturbo e il profilo realmente ottenuto deve far riflettere e ricercare adeguate spiegazioni in merito. Tuttavia, non è la forma del profilo l’elemento cruciale per l’ipotesi diagnostica, ma la congruenza degli indicatori derivanti dalle varie fonti e la loro convergenza verso un’ipotesi diagnostica.
Una delle migliori opportunità offerte dal profilo dei punteggi, invece, rimane la possibilità di confrontarlo con quelli ottenuti da somministrazioni successive delle scale, per mettere in evidenza eventuali cambiamenti e stabilire a che cosa essi possano essere dovuti.

D. Quali potrebbero essere a suo avviso gli sviluppi delle future versioni delle scale?

R. Lo sviluppo scientifico non procede in maniera lineare, ma “fluttuante”, a seconda del succedersi di nuove acquisizioni che spostano radicalmente il corso degli eventi. Ciò rende assai azzardato l’effettuazione di previsioni. Più che esprimere pronostici, mi pare meglio prospettare una serie di possibilità con la consapevolezza che sarà il corso della ricerca a definire gli effettivi sviluppi.
Molto seguita in questo periodo è la teoria CHC che nell’ultima versione del 2018 di Schneider e McGrew prevede dodici fattori ampi di tipo “intellettivo” ai quali si si aggiungono due fattori di tipo psicomotorio, tre fattori di tipo sensoriale e un fattore di intelligenza emotiva per un totale di diciotto fattori ampi. A ciascuno di questi fattori sottostanno i relativi fattori specifici, al momento conteggiati in 91. Seguire una simile teoria costituisce un bell’impegno dal punto di vista misurativo. Del resto, Flanagan e collaboratori, cui ho accennato precedentemente, sembrano determinati a sostenere la loro proposta sulla Cross-Battery Assessment ritenendola fondamentale per una misurazione completa delle capacità cognitive. È possibile che nel futuro sviluppo delle scale Wechsler venga ricercata una maggior convergenza con la XBA e ciò potrebbe addirittura risolversi non dico in una riduzione, ma in un possibile contenimento delle misure di Wechsler per non avere eccessive sovrapposizioni con le misure di altri test disponibili negli Stati Uniti e considerati molto validi come Woodcook-Johnson III, Kaufman ABC II, Differential Ability Scales (DAS II) e vari altri.
Vedremo; anche perché in campo neuropsicologico si stanno affermando concezioni fattoriali tendenti a restringere piuttosto che ampliare il numero di indici effettivamente significativi. Il maggior esempio di questa tendenza sono gli studi fattoriali di Larrabee, pubblicati nel 2018, che definiscono sei domini di funzioni: Abilità simboliche verbali, Abilità di giudizio e problem solving visuo-percettivo e visuo-spaziale, Funzioni senso-motorie, Attenzione e memoria di lavoro, Velocità di elaborazione, Apprendimento e richiamo aventi, all’interno, delle capacità specifiche attinenti a ciascun dominio. Anche se il numero di domini proposti da Larrabee può sembrare piccolo, non è escluso che tale modello possa aver successo perché l’enfasi sembra ora rivolta più al raccordo con gli studi neuropsicologici che ad una tassonomia estesa, ma priva del conforto dei dati di neuroimmagine.
Abbastanza chiara, invece, mi pare la necessità di inserire prove che colgano effettivamente e in profondità le capacità esecutive che, al momento, costituiscono una manchevolezza delle scale Wechsler. Un’altra esigenza evidente è quella di strutturare le scale in modo che i dati risultanti siano immediatamente traducibili in concrete provvidenze operative. Tanto più che la pratica ormai diffusa di produrre versioni computerizzate dei test tende a velocizzare tutto il processo di intervento e sarebbe imperdonabile patire dei rallentamenti per la scarsa applicabilità dei dati ottenuti.

Bibliografia

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