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numero 52 - novembre 2017

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Esperienze

I deficit di attenzione e concentrazione in alcune malattie ambientali: il d2-R come strumento di diagnosi

I deficit di attenzione e concentrazione in alcune malattie ambientali: il d2-R come strumento di diagnosi

Fino ad alcuni anni fa, la sensibilità chimica multipla (MCS secondo la dizione inglese, oppure sindrome immunoneurotossica ambientale), la fibromialgia, l’encefalomielite mialgica (o sindrome da fatica cronica – CFS) e la sindrome da elettrosensibilità, venivano enumerate tra le “malattie rare” (data la loro ridotta frequenza); più attualmente, viene preferita la dizione di “malattie ambientali”, a causa del rapporto che molti Autori ipotizzano con l’inquinamento ambientale e con il sempre maggior numero di persone affette da tali sintomatologie, dunque non più “rare”.
In breve ed in termini sinteticissimi: l’MCS consiste in un una allergia di varia gravità per la quale il soggetto colpito non può venire a contatto con i più vari  elementi chimici che fanno parte della vita quotidiana (dal comune detersivo ai più disparati odori e sostanze presenti ovunque); la fibromialgia è costituita da un dolore continuo diffuso nelle fibre muscolari; la CFS è un’affezione che comporta, appunto, la presenza di una costante condizione di affaticamento fisico; l’elettrosensibilità è connotata da  una serie  di manifestazioni di disturbo quando il soggetto è a contatto con campi elettromagnetici (ad es., anche quelli diffusi da un comune telefono cellulare). I livelli di gravità di queste patologie variano. Le sindromi citate non hanno, a tutt’oggi, una valenza univoca e quindi non possiedono nel nostro sistema sanitario un riconoscimento ufficiale, con quello che comporta sul piano dell’assistenza e della valutazione di danno per le persone colpite.

Al di là di questa condizione, sono circa 15 anni che mi occupo dello studio e della valutazione del danno neuropsicologico e psichico nei soggetti affetti da queste malattie. Infatti, la continua inabilità che esse comportano, ha risvolti importantissimi sia sul piano dell’adattamento, sia sul piano neurocognitivo, colpendo le capacità di memoria, attenzione e concentrazione, fino ad arrivare anche ad un abbassamento nelle funzioni esecutive, ovvero –  sempre in termini ristretti – la capacità di affrontare problemi, mettere in atto strategie risolutive, apprendere dagli errori. Non ci si tragga in inganno: tali “funzioni” governano pressoché tutti gli aspetti della vita quotidiana e il loro non adeguato svolgimento è fonte di grandi e gravi ostacoli nell’esistenza di tutti i giorni. Non ci si accorge della loro importanza fino a che non decadono.
Il mio operato professionale è, in queste situazioni, diretto alla valutazione e alla diagnosi di tali disturbi neuropsicologici, principalmente a fini di riconoscimento di invalidità civile e/o lavorativa (INPS, INAIL).
Infatti, è determinante dimostrare la “perdita funzionale” nei soggetti affetti, e per questo non è così significativo se le malattie citate siano riconosciute o meno, poiché, appunto, è primaria la dimostrazione di come esse incidano negativamente proprio nel “comune svolgimento della vita quotidiana”.  

Dopo queste necessarie introduzioni – certo non esaustive, ma già indicative –, veniamo subito a descrivere una delle fasi della mia indagine, ovvero lo studio delle capacità di attenzione e concentrazione nelle persone colpite da queste patologie.

Il d2-R e la misurazione delle capacità attentive

Accanto ad altri test neuropsicologici specifici per altre funzioni, ho inserito da un paio di anni il d2-R, il test di attenzione concentrativa che risulta connotarsi come la prova in tale ambito più utilizzata negli USA e in Europa. Fino al marzo di quest’anno (2017), impiegavo la versione cartacea del test: all’esaminato viene chiesto di riconoscere stimoli target in mezzo ad elementi di disturbo, attraverso la loro evidenziazione in un tempo prefissato con una prova “carta e matita”. Già in questa versione, notavo caratteristiche comuni nei soggetti di cui sopra: tutti mostravano importanti e significative perdite nella capacità in esame.

Con l’avvento della versione informatizzata del test, che prevede norme europee per soggetti tra i 18 ed i 55 anni di ambo i sessi, non solo la procedura di somministrazione è ancora più standardizzata, ma possono essere confrontati i risultati a fini di valutazione e di studio. Vi presento quanto da me ottenuto mediante questa prova, che non esito a definire come altamente significativa e pragmatica, qualità, quest’ultima, purtroppo non sempre presente nel panorama testistico.
A tutti i soggetti è stato somministrato il d2-R nel medesimo ambiente “bonificato”, ovvero privo di stimoli di disturbo olfattivo e uditivo, nelle prime ore pomeridiane di giorni diversi. A tutti i soggetti sono state diagnosticate – attraverso una molteplicità di esami ed indagini cliniche specifiche indispensabili, svolte nell’arco di alcuni anni –, le patologie citate e, quindi, non abbiamo presenti “casi dubbi”. La certificazione è sempre a cura delle ASL di competenza e di specialisti medici accreditati, ottenuta attraverso un meticoloso studio strumentale, di prove genetiche, epigenetiche e polimorfismi per l’MCS, anche per le indubbie difficoltà di inquadramento che dette malattie ancora comportano, come accennato. Con la precedente versione cartacea del test ho esaminato un numero ben superiore di soggetti analoghi a quelli presentati in questa sede, ottenendo gli stessi risultati; ma tale versione non consente quella presentazione dei risultati che è resa possibile dalla recente informatizzazione.

Il test, in quest’ultima elaborazione, prevede la diretta interazione dell’esaminato con il computer per la sua esecuzione; egli viene guidato attraverso un congruo periodo di familiarizzazione prima dell’esecuzione vera e propria, che consiste nel riconoscere lo stimolo target accanto ad altri stimoli di “disturbo”. Una volta terminato il compito, si ottengono subito i risultati mediante un report che analizza i dettagli della prestazione. Il test evidenzia:

  1. Performance di concentrazione – PC (ovvero la complessiva capacità di attenzione e concentrazione, il fulcro della prova)
  2. Risposte esatte – RE
  3. Percentuale di errori – RE% (percentuale di errori sul totale delle risposte corrette: evidenzia lo “stile di lavoro” del soggetto, ovvero la sua velocità in rapporto all’accuratezza ottenuta (un alto punteggio significa una maggiore “prudenza” esecutiva).

In figura 1 vengono presentati i risultati al PC realizzati da 8 donne affette dalle patologie citate, specificate per ognuna di esse, mediante sovrapposizione dei valori. Per tutte, si ottengono indicazioni chiare delle difficoltà di attenzione concentrativa esperite. 

 

Figura 1: Punteggio PC di un gruppo di 8 donne affette da malattie ambientali (le patologie sofferte da ciascuna paziente sono indicate nella colonna "Nome")

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Per 6 di loro, la caduta è univoca e di importante livello; per 2 pazienti (J B, I R), si osserva un andamento migliore in questa parte, ma comunque sempre di livello inferiore alla media del loro gruppo di riferimento. Riporto nelle figure 2a e 2b il singolo risultato per queste due pazienti.

 

Figura 2a: PC della pazienti J B: T = 43 (media 45/55)

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Figura 2b: PC della pazienti I R: T = 44 (media 45/55)

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Sulla scala PC – Performance di concentrazione, le pazienti hanno ottenuto un punteggio che può essere classificato come basso. A confronto con persone grossomodo coetanee hanno quindi mostrato un ritmo di lavoro (corretto per gli errori) inferiore alla media. Il risultato fa propendere per una bassa capacità di concentrazione.

In figura 3 viene presentato l’andamento dei punteggi RE, una misura della velocità di elaborazione che prescinde dalla correttezza delle risposte. Di nuovo, la caduta è univoca in tutti i soggetti. Per la maggior parte di essi (6 casi), abbiamo T < 35, che significa prestazioni “molto basse”, quindi particolarmente deficitarie.

 

Figura 3: Punteggio RE di un gruppo di 8 donne affette da malattie ambientali

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Il grafico di figura 4 evidenzia l’accuratezza di elaborazione del test da parte dell’esaminato. Punteggi alti indicano un numero di errori inferiore alla media. Tale valore assume nei casi presentati – in rapporto agli altri risultati –, la ricerca di una sorta di “compensazione” in accuratezza che provi a bilanciare le difficoltà in altri versi esperite. In altri termini, “ho difficoltà a concentrarmi e quindi vado molto più lentamente per cercare di commettere meno errori possibile”. Comportamento che ricerca un adattamento, ma purtroppo il danno di fondo rimane importante.

 

Figura 4: ER% Percentuale di errori di un gruppo di 8 donne affette da malattie ambientali

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In figura 5 sono riportati i profili delle 8 pazienti a confronto, così come è reso dal report computerizzato del d2-R.

 

Figura 5: Grafico riassuntivo

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Abbiamo visto come le norme interpretative comprendano soggetti compresi tra i 18 ed i 55 anni di età. Per gli altri? Gli Autori avvertono che quando si sottoponga ad esame con il d2-R persone fuori da tale intervallo, si debba tener conto di questo diverso parametro: mano a mano che l’età si discosta in un senso o nell’altro, le prestazioni vanno intese in senso leggermente diverso, senza specificarne l’entità. Con l’esperienza di tante prove neuropsicologiche, propenderei in senso “migliorativo” per chi ha più di 55 anni e “peggiorativo” per chi ha meno di 18 anni di età. Sempre in virtù di detta esperienza, la prova di un soggetto di pochi anni superiore ai 55 anni, può benissimo essere valutata assai simile di quella fornita da un cinquantacinquenne.
A tale proposito, illustro anche i risultati ottenuti da 3 soggetti di età superiore (2 di 56 anni e uno di 59, 2 fibromialgici e uno MCS), e constatiamo come, anche in questo caso, i deficit di attenzione e concentrazione vengano puntualmente rilevati. In figura 6 sono riportati i relativi grafici, e valgono le stesse analisi espresse in precedenza per gli altri esaminati.

Figura 6: Punteggi PC, RE, RE% di 3 pazienti >55 anni

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Conclusioni

Abbiamo constatato pragmaticamente come i deficit di attenzione e concentrazione costituiscano una delle caratteristiche patologiche nelle malattie ambientali. Già tale valutazione clinica è stata espressa più volte da più Autori, ma in moltissimi casi è proprio la “misurazione” che manca. Il d2-R si è rivelato uno strumento determinante per la misurazione dei deficit di attenzione e concentrazione che esperiscono queste persone: quando il carico attentivo richiesto nell’esecuzione di un compito è elevato – come nel caso di prove che utilizzano stimoli target inseriti in un elevato numero di distrattori  (è il caso di quanto rilevato dal d2-R) –, l’esaminato incorre in break-down che non gli consentono di portare a termine il compito o di eseguirlo in maniera deficitaria, ed abbiamo verificato che tali cadute attentive si manifestano e sono più frequenti e dirompenti in situazioni della vita quotidiana, a causa della presenza di stimoli di disturbo che si prolungano inevitabilmente nel tempo, che costituiscono per questa tipologia di  pazienti un ostacolo spesso di difficile superamento.
Indubbiamente, anche altre modalità d’indagine sono presenti e possibili; ma il d2-R riunisce in sé – grazie soprattutto alla sua struttura della versione computerizzata –, elementi di altissima pragmaticità e rilevanza scientifica. In ultima analisi, vista la rilevanza dei risultati fin qui ottenuti, lasciatemi ipotizzare l’inserimento futuro anche di questa valutazione come un parametro nella diagnosi delle sindromi citate.

Riferimenti bibliografici e risorse internet di approfondimento