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numero 67 - maggio 2019

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I nostri test

Cosa misurare e come misurare in psicologia e con il MEA

Cosa misurare e come misurare in psicologia e con il MEA

I limiti delle misure dei costrutti centrali

Quando si utilizza un test in psicologia, oltre agli errori di misura che possono manifestarsi (come succede nella fisica) emergono soprattutto incertezze sul costrutto che si va a valutare (ogni qualvolta si riflette attentamente e metodologicamente).
Vi è da considerare sempre come diverse variabili intervenienti (il concetto di rumore in fisica) possano deviare la misura dalla valutazione della funzione ipotizzata.
Sempre come in fisica, si possono individuare anche errori sistematici quando si usa uno strumento poco adatto per determinati tipi di misurazione (ad esempio voler misurare i millisecondi con l’orologio del campanile della chiesa). Come vedremo questa è la condizione che si ha quando si vogliono valutare le singole Funzioni Esecutive (FE) con test anche molto semplici. In letteratura si moltiplicano in modo esponenziale i lavori che si basano su ipotetiche misure dell’inhibition, dello shifting, della pianificazione ecc. Sono rimaste spesso inascoltate le esortazioni ad una maggiore prudenza metodologica nell’abbinare determinati costrutti (pur sempre soggettivi) a determinati test. A titolo di esempio citiamo Rabbitt (1997) quando spiega  che i metodi tradizionalmente utilizzati dalla psicologia sperimentale non possono essere validamente applicati alle FE: “Il solito approccio scientifico nella ricerca è quello di isolare e cercare di misurare una variabile che rifletta un processo specifico e non altri; questa “venerabile” strategia è completamente inappropriata per analizzare le funzioni esecutive, perché una proprietà essenziale di tutte le “funzioni esecutive” è che, per loro stessa natura, comportano la gestione simultanea di una varietà di diversi processi funzionali” (Rabbitt, 1997, p. 14).
E così Brown, nel 2006, scrive: Il solito approccio “isolare la variabile e la prova” non può comprendere e misurare la complessa natura interattiva delle funzioni esecutive.

La scatola nera della psicologia cognitiva: “black box”

Andando per gradi, dobbiamo prima comprendere che dopo una misura effettuata con qualsiasi prova psicometrica abbiamo due livelli tangibili: costituiti dal tipo di test e dai risultati ottenuti (che risentono già dei classici e inevitabili errori di misura) ed una fase intermedia, quella che il cognitivismo definisce scatola nera (black box), dove viene collocato arbitrariamente un costrutto, un nome, per un ipotetico processo, per dare un senso ai valori riscontrati (es. Poldrack, 2006).
I metodologi dicono che questa scelta, a livello di “black box” dove tutto è poco noto, può esprimersi solo per mezzo del buon senso dello sperimentatore. Come emerge chiaramente da una visione allargata della letteratura il “buon senso” dell’uno spesso contrasta con quello dell’altro (Miyake et al., 2000; Mc Cabe et al., 2010). Questo aspetto fa riflettere sul fatto che dovrebbero emergere diverse domande e diverse considerazioni cautelative, ogni qualvolta utilizziamo un test con la convinzione che valuti un determinato costrutto.
La difficoltà ad isolare uno specifico costrutto, soprattutto quando si tratta di FE, emerge da diverse osservazioni che portano ad errori sistematici (da cercare e il più possibile da evitare) e dall’intervento di variabili (funzioni) spesso non considerate o “ignote” (come direbbero Hofmann et al., 2011) che falsano e rendono praticamente impossibile la misura; tra queste, potremmo considerare, non esaustivamente. 

  • L’impurità del test. I processi in input e in output possono falsare la misura dei sistemi centrali  (Weiskrantz, 1992; Burgess, 1997; Rabbitt, 1997; Miyake et al., 2000).
  • Le funzioni intervenienti (la richiesta del compito non è l’unica funzione che si attiva per risolverlo). Per esempio, se pensiamo ad una prova dove vi è una richiesta di shifting perché si chiede di eseguire repentini cambiamenti tra i compiti, questa necessita non solo di flessibilità, ma anche dell’intervento dell’attenzione sostenuta, dell’avvio, di diversi tipi di memoria e di altro ancora (Rogers e Monsell, 1995; Rubinstein et al., 2001).
  • La scelta arbitraria dei costrutti, che come tale può entrare in contraddizione nella letteratura quando è troppo riduttiva ed esclusiva al livello di singola funzione esecutiva (Mc Cabe et al., 2010).
  • La fallacia dell’eccesso di analogia, quando si sostituisce il nome del test con la funzione che si ipotizza debba misurare. Ad esempio, dire che i test di Stroop misura l’inhibition (affermazione messa in discussione da diversi autori; es. Mac Leod et al. 2003; Kane & Engle , 2003) e chiamare impropriamente inhibition il risultato del test è un procedimento che ricade nella fallacia dell’eccesso di analogia, dove si sostituisce il livello più noto (test)  con  quello non noto nella ”black box” (funzione) come da Poldrack (2006). Si ricorda, inoltre, che anche nei lavori di Miyake et al. (2000) il test di Stroop ha un grado di saturazione della variabile latente definita “inhibition” che si attesta sul 18% e un errore dell’82% . Nel senso che lo Stroop rappresenterebbe il 18% di quello che è stato definito “inhibition” mentre per ben l’82%  sarebbe costituito da  tutte le funzioni trascurate e quant’altro.
  • La fallacia della negazione dell’antecedente e quindi dell’interpretazione indebita dell’ipotesi nulla, nel commento dei risultati. Quando non si ottiene la significatività statistica tra un gruppo di controllo e quello sperimentale, o quando vi è una bassa dimensione dell’effetto di un determinato test su una determinata patologia, affermare che non vi è differenza tra i gruppi, nella funzione misurata o escludere la patologia, è un commento improprio dell’ipotesi nulla che richiederebbe invece la verifica della potenza del test e della sua appropriatezza per misurare determinate funzioni (è un errore simile, a livello di logica proposizionale, alla fallacia della negazione dell’antecedente nell’implicazione semplice; si veda Benso, 2018). 

Cosa misurano veramente le prove che proponiamo?

Tenuto conto di tutte queste osservazioni metodologiche e di altre ancora che portavano alle stesse conclusioni, e non negando l’esistenza e l’influenza sui processi delle FE, abbiamo preferito riferirci con i nostri test a modelli meno discutibili, e più prudenti metodologicamente come quelli dell'attenzione esecutiva (Executive Attention, Engle et al. 1999; Kane et al., 2004). Trattasi di una componente trasversale a tutte le abilità complesse, che si esprime con il modello della Working Memory Capacity (WMC) e che prevede il coinvolgimento delle diverse FE. Diversi modelli simili di WM attualmente si sovrappongono teoricamente, come quello modificato più recentemente  della WM di Baddeley (2000) o quello a cui si ispirano Engle et al. (1999) di Cowan (1988; 2002). Tali modelli non sono a costrutto unico, come spesso sono definiti, ma sono multicomponenziali, esprimendo al loro interno tutte le FE note e non note, in continua e diversa interazione tra loro.
La multicomponenzialità dei modelli di WM emerge chiaramente da diverse affermazioni; a titolo di esempio citiamo Repovš e Baddely, (2006): Nelle abilità cognitive complesse l’esecutivo centrale sembra pesantemente coinvolto come una sorta di controllo attentivo che avvia la focalizzazione dell’attenzione, la divisione dell’attenzione tra compiti concorrenti ed ha una componente di switching attentivo. In molte di queste funzioni l’esecutivo centrale è supportato dalle altre componenti della working memory.
Hofmann et al. (2011) chiariscono il concetto che vogliamo esprimere: Gli psicologi cognitivi hanno investito molto impegno nello sviluppo di buone misure della WMC, e una vasta gamma di test è stata suggerita. Tuttavia, non è sempre chiaro cosa si misura esattamente con questi test (per una sintesi e una critica, vedi Jurado e Rosselli, 2007). Probabilmente non ci sarà mai un singolo test di WMC perché è notoriamente difficile mappare la complessa natura delle funzioni esecutive centrali su test strutturati o batterie di test.
In altri termini preferiamo dire, con questi autori, che i nostri singoli test misurano le FE in generale nelle loro continue interazioni e, quindi, misurano l’Executive Attention ‒ termine meno impegnativo e utilizzato da diversi autori (Kane e Engle, 2004; Posner e Di Girolamo, 1998; Richards et al., 2008; Rueda, Posner e Rothbart, 2005; McCabe et al. 2010).

Metodo sottrattivo utilizzato nel MEA per ridurre il fenomeno dell’impurità

I test in cui è prevista la sottrazione dei moduli periferici sono quelli di Cancellazione e visual search, di Switch di aste e di Enumerazione all’indietro - avanti. Nello Switch di aste, ad esempio, il soggetto prima viene misurato nella sua velocità motoria fine, in modo da poter poi sottrarre tale indice nella prova di shifting, che coinvolge anche la componente grafo-motoria. Si evita così, come dice Rabbitt (1997), di confondere i risultati forniti dai sistemi centrali da quelli che emergono dai sistemi periferici non esecutivi (in questo caso, l’output motorio). In tal caso si ricava l’insieme delle funzioni esecutive che sono dietro un’operazione di shifting. Allo stesso modo, il test di Cancellazione e visual search prevede la misura con successiva sottrazione della motricità fine. Nell’Enumerazione all’indietro-avanti, il conteggio diretto (da 0 a 100) fornisce una misura modulare della velocità fono-articolatoria del soggetto, anch'essa da sottrarre al compito esecutivo del conteggio all'indietro (da 100 a 0). Le diverse abilità modulari sono tutte standardizzate per età o scolarità e ciò permette anche di ricavare informazioni utili all’indirizzamento diagnostico sugli aspetti che riguardano i sistemi di output.
Quindi, anche da poche prove si estraggono molteplici informazioni: oltre a quelle sull'Executive Attention si aggiungono quelle sulla motricità fine, sull' orientamento visuospaziale e sulla velocità fono-articolatoria.

Breve introduzione alle prove di misura

Per riuscire ad isolare più sfumature possibili dell'Executive Attention con i pochi test proposti, abbiamo inserito compiti di varia estrazione (provati e riprovati sul campo insieme a test più tradizionali) che, se pur apparentemente dedicati a particolari funzioni, coinvolgono e valutano differenti aspetti della WMC. Come dimostra Engle (2002), anche prove attentive esecutive rientrano nelle complesse componenti della WMC. Pertanto, abbiamo implementato nella batteria MEA ‒ Measures of Executive Attention non solo test di riaggiornamento nella memoria di lavoro, ma anche prove che richiedono compiti diversi (di attenzione sostenuta, selettiva e spaziale, di programmazione e di organizzazione, di controllo, di flessibilità) che vanno tutti a ricadere in quel sistema generale che è l'Executive Attention. Tutto ciò ha permesso di indagare sfumature che possono sfuggire al singolo test, per la fascia d’età 5-13 anni, come suggeriscono più sopra Hofmann et al. (2011).

I test

  1. Switch di aste (ultimo anno scuola dell’infanzia e classe prima della scuola primaria). La richiesta del compitoè quella di cambiare velocemente il tipo di risposta disegnando barrette verticali e orizzontali dentro dei riquadri (flessibilità) ma, come è noto, per eseguire una prova di switch è necessario l'intervento di molte altre funzioni che vengono indagate dal test (memoria, controllo esecutivo, flessibilità, attenzione sostenuta, avvio) (Rogers & Monsell, 1995; Rubinstein et al  2001). Il test utilizza il metodo sottrattivo descritto più sopra per scorporare la componente di grafo-motricità fine dal compito.
  2. Matrici di colori (ultimo anno della scuola dell’infanzia): richiedendo ai soggetti di svolgere due compiti contemporaneamente (ricordare la posizione e il colore dei gettoni) impegna la memoria di lavoro ed è un’espressione di diverse e molteplici funzioni esecutivo-attentive necessarie a svolgere il compito (es. Crone, 2006).
  3. Naming di colori (dall’ultimo anno della scuola dell’infanzia alla classe quinta della scuola primaria). La valutazione della denominazione rapida di colori è un’abilità che possiede una lunga tradizione nella ricerca neuropsicologica, e gli studi svolti a riguardo sono numerosissimi; la prova valuta l’abilità di accesso lessicale, ma nel contempo l’efficienza dei sistemi attentivi esecutivi che portano al formarsi della memoria associativa necessaria alla formazione graduale del lessico. In età evolutiva le prove di naming rapido sono state introdotte da Denckla e Rudel (1976) nell’ambito degli studi sulla dislessia. È utile come indice predittivo rispetto a difficoltà di apprendimento scolastico (Wimmer & Mayringer, 2002).
  4. Fluenza figurale (dall’ultimo anno della scuola dell’infanzia alla classe terza della scuola secondaria di primo grado): la prova è tratta dai lavori di Regard, Strauss e Knapp (1982) e modificato per l’età evolutiva. Il test richiede al soggetto di unire configurazioni di cinque puntini ideando figure sempre diverse in tempo prestabilito, seguendo anche vecchie e nuove regole da noi introdotte (non valgono figure staccate e non è possibile perseverare). I tre parametri (risposte corrette, perseverazioni ed errori di tratto grafico) permettono di rilevare indici attentivo-esecutivi ed informazioni sulla competenza grafo-motoria. Qualitativamente si possono ricavare anche elementi di tipo visuo-spaziale.
  5. Test di Cancellazione e visual search (dall’ultimo anno della scuola dell’infanzia alla classe terza della scuoola secondaria di primo grado): la prova, composta da 10 fogli, si basa sul metodo sottrattivo e permette di indagare la ricerca visiva semplice e complessa (il più possibile pulita dagli aspetti modulari), l’attenzione selettiva, l'orientamento spaziale e la motricità fine. Inoltre, è possibile osservare qualitativamente l’andamento della prestazione del soggetto durante la prova.
  6. Enumerazione indietro-avanti (dalla classe terza della scuola primaria alla classe terza della scuola secondaria di primo grado): indaga il controllo esecutivo-attentivo, in generale. Uno dei primi lavori italiani che hanno analizzato il ruolo delle funzioni di controllo e della memoria di lavoro nei compiti di enumerazione è lo studio di Cubelli e Biancardi (1999). Il conteggio in avanti fornisce informazioni sulla velocità fono-articolatoria e sull’acquisizione della sequenza numerica, mentre l’enumerazione all’indietro ha una maggiore valenza attentivo-esecutiva. Sottraendo dal tempo impiegato per l’enumerazione all’indietro quello del conteggio in avanti si ricava la misura di tale controllo esecutivo al netto del modulo linguistico.
  7. Alpha span (dalla classe terza della scuola primaria alla classe terza della scuola secondaria di primo grado): prova di riaggiornamento di memoria di lavoro verbale studiata da Belleville, Rouleau e Caza (1998), al soggetto vengono presentate in modalità verbale delle serie di parole, a lunghezza crescente: il compito richiesto è ripeterle prima nell’ordine in cui sono presentate, e poi riordinandole secondo l'ordine alfabetico. Questo comporta un riaggiornamento in memoria di lavoro e una misura della WMC, oltre che una attivazione cerebrale dei circuiti che interessano la corteccia prefrontale dorsolaterale ‒ molto collegata alla memoria di lavoro (D’Esposito et al., 2000).
  8. Test di categorizzazione (dalla classe terza della scuola primaria alla classe terza della scuola  secondaria di primo grado): la prova di span concettuale (category span) è stata ideata da Haarmann, Davelaar & Usher (2003). Vengono presentate liste d parole a lunghezza crescente e viene richiesto, subito dopo il loro ascolto, di dire tutti i nomi appartenenti ad una certa categoria, che è  resa nota solo dopo la presentazione della lista stessa. Come l’Alpha span, valuta la capacità di rielaborazione nella memoria di lavoro, che comprende l'abilità a sostenere nel tempo l'attenzione contrastando l'interferenza dei distrattori, e pertanto tutte le FE di base. Inoltre, fa emergere le abilità di categorizzazione semantica ed è adatto nel sostituire l’Alpha span per i soggetti che non hanno ancora acquisito completamente l' ordine alfabetico.
  9. Test PASOT (dalla classe terza della scuola primaria alla classe terza della scuola secondaria di primo grado): è un compito di n-back che valuta la capacità di rielaborazione nella memoria di lavoro con tutte le funzioni esecutive di base, oltre che la resistenza all'interferenza di distrattori molto attivi e potentemente interferenti. Nato come test per valutare l’attenzione divisa utilizzando stimoli verbali (Deary, 2001), si pone come alternativa al Paced Auditory Serial Addition Task (PASAT) di Gronwall (1977), in considerazione delle abilità matematiche che quest’ultimo richiede, e quindi non adatto a soggetti con difficoltà di calcolo.

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