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numero 106 - settembre 2023

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28° HR Meeting. Il contributo di Laborplay

28° HR Meeting. Il contributo di Laborplay

HR Meeting rappresenta da diversi anni un punto di riferimento per il mondo delle risorse umane. La ventottesima edizione si è svolta quest’anno nella splendida cornice di Desenzano del Garda (BS), il 21 e 22 settembre. Come ogni anno, l’evento ha accolto oltre cento direttori di risorse umane e alcune tra le società più qualificate di consulenza in ambito di selezione, formazione, soluzioni digitali e sviluppo. Il luogo ideale per scambiarsi idee, ascoltare nuove proposte e tenersi aggiornati sulle tendenze del futuro.
In questa prestigiosa cornice Laborplay ha avuto il piacere di essere tra gli espositori dell’evento con un intervento dedicato alla figura del game designer in azienda, che ha affiancato altri contributi sui temi del capitale umano, della leadership e del benessere psicologico. 

Quando parliamo di game designer non dobbiamo pensare solo, nella sua accezione più tradizionale, a colui che è in grado di sviluppare software o, per l’appunto, giochi di qualsivoglia entità. Il game designer è una figura ibrida con testa da psicologo, braccia da progettista e cuore da eterno bambino.
Proviamo a ricordare ciò che facevamo quando, da bambini, muovevamo i nostri primi passi nel mondo: esplorare, sperimentare, curiosare, farci domande. Una curiosità che poteva farci piangere per il dolore ma anche aprire la bocca per la meraviglia. Esplorando raccogliamo informazioni, elaboriamo una struttura creando delle regole, definiamo obiettivi e strategie. Abbiamo interagito con qualcosa di “altro” che poteva essere un altro individuo, un gruppo di persone o un sistema più complesso. Tutto questo ha cambiato di volta in volta il nostro modo di agire e di pensare.
Queste attività ci permettono di percorrere continuamente ciò che viene definito playful path, ovvero il “sentiero giocoso”, come evidenziato da De Koven (A Playful Path, 2013). Un approccio alle nostre attività quotidiane che fa parte di noi dagli albori della specie in quanto, non più Homo Sapiens, ma Homo Ludens (Homo Ludens, 1939 - Huizinga). Ecco il primo componente del nostro game designer: cuore da eterno bambino. 

Siamo quindi convinti che ciò che ci ha portato per anni a scoprire, sperimentare e, in un duplice senso, a crescere sia qualcosa che non deve far parte del nostro mondo di adulti? Perché non dovremmo voler avere collaboratori curiosi, creativi, motivati e soprattutto pronti a navigare in un contesto di incertezza?
Come ci spiega Herzberg (The Motivation to work, 1956), buone condizioni lavorative, un salario adeguato, una positiva percezione del clima organizzativo potrebbero essere sufficienti per far sì che il lavoratore scelga un’azienda o decida di rimanerci. Ma se riuscissimo a unire a questi elementi (sicuramente utili per una prima strategia di talent retention) anche qualcosa che sia legato a una motivazione più intrinseca che estrinseca, riusciremmo a far sì che i lavoratori siano ingaggiati in ciò che fanno, soddisfatti del proprio operato e quindi più produttivi. Quali possono essere questi elementi? Obiettivi, riconoscimenti, sviluppo personale, progresso, senso di appartenenza e responsabilità. 

La necessità è quella di costruire un percorso che possa dare un significato più grande a ciò che si fa nel quotidiano, come in un’avventura epica di un libro fantasy o di un videogioco. Per rispondere a questa necessità possiamo prendere in prestito dal gioco quegli elementi che lo rendono divertente o appagante, che ci fanno vivere un senso di comunità e che ci permettono di esplorare o collezionare risultati. Inserire elementi tipici del gioco all’interno di contesti non ludici non è certo una novità. Il concetto di gamification è ormai largamente conosciuto e implementato in diversi ambiti: scuole, aziende, organizzazioni o software di ogni tipo. Non basta però inserire quiz, classifiche e punteggi qua e là. È necessario rispondere a esigenze specifiche che ruotano intorno a leve motivazionali definite (The Octalysis Framework, 2012 - Yu-kai Chou). 

La figura di riferimento è il nostro game designer che è in grado di individuare ciò che motiva il nostro target, che sia la competizione o l’appartenenza, per poi costruire un’avventura significativa che riesca a simulare la struttura a livelli, o a difficoltà crescenti, tipica dei videogiochi.
Dove può trovare posto questa nuova figura? Non solo negli ambienti formativi, ma in tutti processi HR. Dalla formazione allo sviluppo, dalla valutazione del personale all’on-boarding ma anche nei gruppi di ricerca e sviluppo.
Google ha avviato un intero processo di selezione partendo da un misterioso cartellone pubblicitario che riportava “{first 10-digit prime found in consecutive digits e}.com”. La soluzione dell’enigma portava a un sito web che conteneva un'altra equazione da decifrare. Risolto anche questo step si accedeva alla pagina di Google Lab che riportava: "Una cosa che abbiamo imparato durante la creazione di Google è che è più facile trovare quello che stai cercando se viene a cercarti. Quello che stiamo cercando sono i migliori ingegneri del mondo ed eccoti qui.”
Attraverso questa sfida in stile giallo, o alla Mr Robot per i più pop, non solo non è necessario impegnarsi attivamente in un processo di talent acquisition ma la call to action stessa diventa uno strumento di misura delle competenze hard e soft richieste.
Lo step successivo potrebbe essere l’on-boarding. Immaginate di poter collezionare le figurine dei vostri colleghi e di poterle inserire in un album virtuale. Per averle tutte bisogna rispondere in modo corretto a domande che riguardano hobby, valori e cose che possiamo avere in comune con loro. Uno strumento facile, divertente e soprattutto di grande efficacia per permettere ai nostri colleghi, anche quelli di sedi lontane, di conoscersi ed entrare in contatto. Lo abbiamo chiamato Play4Card! Tramite questa attività, che ricorda nostalgicamente gli anni dell’infanzia, recuperiamo quel desiderio di non fermarci solo a ciò che è vicino a noi, ma ad allargare lo sguardo: rendendo visibile il fattore umano di cui è fatta l’azienda, essa non sarà più vista solo come un insieme di nomi in un organigramma, ma come un album unico che necessita ogni figurina per essere completo e acquisire valore. 

Durante l’HR Meeting abbiamo parlato ai partecipanti delle grandi opportunità offerte dall’applicazione del gioco ai contesti organizzativi e abbiamo trovato ad ascoltarci un pubblico di HR curioso e desideroso di innovazione proprio come il migliore dei game designer.