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numero 43 - dicembre 2016

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #43

Rassegna stampa #43

Le dimensioni del burnout

Nella letteratura scientifica nazionale e internazionale molti studi si sono concentrati sull’indagine del burnout. In una prima fase, il fenomeno del burnout è stato indagato con una serie di ricerche qualitative che hanno fornito una serie di descrizioni del burnout attraverso osservazioni, interviste e casi singoli. Partendo dai risultati di questi lavori, sono state messe a punto delle metodologie quantitative, grazie alla ricerca in ambito psicometrico, al fine di arrivare a una misurazione valida e attendibile del costrutto di burnout. Così facendo sono state identificate tre dimensioni fondamentali: sfinimento, descritto come perdita dell’energia, fatica, debilitazione; sentimenti di cinismo e distaccamento dal lavoro, descritti come depersonalizzazione, atteggiamenti negativi e irritabilità; senso di inefficacia professionale, descritto come riduzione della produttività, incapacità ad adottare strategie di coping. Partendo da questa descrizione del costrutto, due importantissimi ricercatori nel campo del burnout, hanno messo a punto uno studio al fine di identificare dei profili tipici di burnout, partendo da un nuovo approccio multidimensionale centrato sulla persona. Questo studio, condotto su quasi 2000 persone, ha evidenziato l’esistenza di cinque diversi profili tipici, sulla base dei valori ottenuti nelle tre dimensioni prima descritte. Il burnout, in senso stretto, è caratterizzato da punteggi elevati in tutte e tre le dimensioni e si contrappone all’impegnato, che ottiene punteggi bassi nelle stesse sfaccettature del costrutto. In aggiunta a ciò, il sovraccaricato mostra punteggi elevati solo nella dimensione dello sfinimento, mentre il disimpegnato mostra livelli elevati nei sentimenti di cinismo. Infine, l’inefficace ottiene punteggi elevati solo nella dimensione di inefficacia professionale. Il risultato particolarmente interessante riguarda il pattern di relazioni che questi profili mostrano con variabili organizzative: infatti, tali pattern sono tutti molto diversi tra loro. In particolare, il profilo disimpegnato è più negativo rispetto a quello del sovraccarico e molto simile al burnout vero e proprio. Sulla base di ciò, quindi, emerge come la dimensione legata ai sentimenti di cinismo e distaccamento dal lavoro sia la più invasiva delle tre dimensioni del costrutto di burnout. In sintesi, quindi, questo lavoro mette in luce come gli aspetti del burnout non siano tra loro sovrapponibili, in termini di invasività, fornendo al professionista degli importanti spunti sui quali lavorare in presenza di problematiche inerenti il fenomeno del burnout.

Leiter, M. P. & Maslach, C. (2016). Latent burnout profiles: A new approach to understanding the burnout experience. Burnout Research, 3, 89-100. 

 

Il gambling patologico: conseguenze e prevenzione

All’interno dell’ultima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder (DSM-5) il gambling patologico è stato classificato come un disturbo simile all’abuso di alcool e di sostanze stupefacenti dal momento che prevede una dipendenza. All’interno dello stesso manuale, vengono descritte le possibili conseguenze del gambling patologico quali, tra le altre, problemi di salute fisici e psicologici, economici, di relazioni sociali e interpersonali e legali. Come si evince, quindi, la pervasività del gambling patologico è molto elevata dal momento che può avere ripercussioni su praticamente tutte le sfere della vita delle persone. L’importanza della ricerca scientifica in questo settore è enorme, soprattutto in virtù del fatto che questo fenomeno è relativamente nuovo e non si hanno ancora del tutto chiare le cause, e soprattutto le conseguenze di questo disturbo. Per questo motivo, dei ricercatori australiani hanno svolto una meta analisi degli studi longitudinali sul gambling patologico. La centralità della scelta di analizzare solo gli studi longitudinali ha permesso di analizzare a fondo le conseguenze del gambling patologico, grazie alla durata nel tempo di questi studi. I risultati hanno permesso di evidenziare i rischi maggiori che sviluppano le persone affette da questo disturbo: innanzitutto si hanno 13 fattori di rischio individuale, come l’abuso di alcool, lo sviluppare condotte antisociali, la depressione, l’uso di cannabis e di droghe illegali, il compiere atti violenti e la ricerca smodata di sensazioni forti. Accanto a questi fattori di rischio individuali, sono stati identificati dei fattori di rischio legati alle relazioni con le altre persone o lavorativi, come la scarsa perfomance o l’insorgere di problemi economici. Il risultato più importante riguarda l’identificazione di alcuni fattori protettivi, ovvero capaci di ridurre sia il problema del gambling patologico sia le conseguenze negative sopra descritte; in particolare, gli autori hanno notato che il supporto familiare e sociale siano i principali fattori in grado di mitigare queste esperienze. Alla luce di ciò, quindi, viene proposto un approccio sociale al problema, con il coinvolgimento della famiglia e della rete sociale, in modo tale da fornire una doppia spinta al superamento del gambling patologico.

Dowling, N. A., Merkouris, S. S., Greenwood, C. J., Oldenhof, E., Toumbourou, J. W. & Youssef, G. J. (2017). Early risk protective factors for problem gambling: A systematic review and meta-analysis of longitudinal studies. Clinical Psychology Review, 51, 109-124. 

 

L’amicizia previene l’abbandono scolastico

Risulta ampiamente documentato che uno dei problemi maggiori nel sistema educativo riguarda l’abbandono scolastico prima del conseguimento di un diploma. Ad esempio, in Canada quasi il 9% delle persone di età comprese tra 20 e 24 anni non possiede un diploma; una percentuale simile è stata osservata anche negli Stati Uniti. In confronto alle persone con un diploma, questi ragazzi hanno maggiori probabilità di diventare disoccupati, e di sviluppare problemi fisici e psicologici, come elevati livelli di depressione e alienazione; al tempo stesso, hanno maggiori probabilità di commettere furti e di iniziare un percorso di delinquenza. Su questo tema, nella letteratura scientifica di riferimento si hanno molti lavori che hanno analizzato le conseguenze di questo tipo di condotta; nonostante ciò, solo pochi lavori si sono concentrati su come poter prevenire questo fenomeno. Partendo da questa situazione, due studiosi canadesi hanno condotto una ricerca su oltre 500 studenti al fine di identificare i fattori maggiormente protettivi circa la possibilità di abbandono scolastico. I risultati mostrano come l’amicizia con i pari, e in particolare con i propri compagni di classe, sia il primo fattore predittivo dell’abbandono scolastico: l’importanza di tale variabile risulta essere maggiore anche della motivazione ad apprendere, o del supporto ricevuto dai genitori circa il proprio percorso formativo, o anche della relazione che si instaura con i propri insegnanti. Infatti, appare evidente come il tipo di relazione che si instaura con i propri compagni possa influenzare in maniera molto forte la motivazione al successo scolastico e, di conseguenza, il comportamento di abbandono prima del conseguimento del diploma. Sulla base di questi risultati, quindi, gli autori suggeriscono di lavorare sul gruppo classe in modo tale da favorire l’instaurarsi di rapporti amicali tali da migliorare la collaborazione scolastica: così facendo, non solo i ragazzi otterranno migliori risultati ma, soprattutto, si riesce ad agire sulla motivazione ad apprendere e sull’impegno verso lo studio prevenendo il rischio di abbandono scolastico.

Ricard, N. C. & Pelletier, L. G. (2016). Dropping out of high school: The role of parent and teacher self-determination support, reciprocal friendship and academic motivation. Contemporary Educational Psychology, 44-45, 32-40. 

 

Il declino cognitivo negli uomini e nelle donne

Il miglioramento delle condizioni di vita, del sistema sanitario, delle tecnologie ha fatto si che nelle ultime decadi siano aumentate le aspettative di vita delle persone; ad esempio, nei prossimi anni ci si aspetta che nei paesi occidentalizzati oltre la metà delle persone avrà più di 65 anni. Questo cambiamento ha importanti ripercussioni, soprattutto per quanto riguarda il sistema assistenziale; in particolare, la demenza senile è la patologia maggiormente diagnosticata nelle persone di oltre 65 anni, con una percentuale di circa il 60%. Inoltre, è stato ormai attestato come una diagnosi di demenza senile abbia ripercussioni sulla salute psicofisica delle persone. Il declino cognitivo è un precursore della demenza senile, ed è associato con problemi nello svolgimento delle attività della vita quotidiana: per questo  motivo, diventa molto importante comprendere il processo naturale del declino delle abilità cognitive nelle persone. Nonostante ciò, l’impatto del declino cognitivo non è stato così ampiamente indagato: per questo motivo, un gruppo di ricercatori britannici ha condotto uno studio su un campione di oltre 40.000 persone utilizzando cinque diversi test per la misurazione delle abilità cognitive. I risultati hanno evidenziato come le donne ottengano punteggi migliori nel ricordo di parole, mentre gli uomini abbiano delle performance migliori nelle scale di ragionamento logico-matematico. A differenza di ciò, è emerso come il declino delle abilità cognitive si sviluppi nello stesso modo negli uomini e nelle donne: il picco massimo di abilità cognitive è intorno ai 20 anni per poi decrescere, in misura maggiore attorno ai 60 anni. Tale declino viene incrementato dalla presenza di problemi di salute, soprattutto quando questi sono legati alla memoria. In sintesi, questo lavoro svolto su un campione molto ampio e rappresentativo della popolazione britannica, evidenzia come il declino cognitivo, seppur inizi in giovane età, tocchi il suo apice intorno ai 60 anni, indipendentemente dal sesso delle persone. Sulla base di ciò, quindi, è possibile cercare di rallentare il declino cognitivo, con delle apposite tecniche, sia negli uomini sia nelle donne in modo tale da prevenire l’insorgere della demenza senile.

Whitley, E., Deary, I. J., Ritchie, S. J., Batty, G. D., Kumari, M. & Benzeval, M. (2016). Variations in cognitive abilities across the life course: Cross-sectional evidence from Understanding Society: The UK Household Longitudinal Study. Intelligence, 59, 39-50.