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numero 109 - marzo 2024

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Mente, corpo e costruzione: neuroarchitettura e design

Mente, corpo e costruzione: neuroarchitettura e design

Quando progettiamo spazi fisici, stiamo implicitamente progettando esperienze, emozioni e stati mentali. Come architetti, operiamo nel cervello umano e nel sistema nervoso, così come nel mondo della materia e della costruzione fisica” (Juhani Pallasmaa, in J. Pallasmaa, H.F. Mallgrave, S. Robinson e V. Gallese, Architecture and empathy, Tapio Wirkkala-Rut Bryk Foundation, Espoo, 2015).

Neuroestetica: come viviamo l’arte

La neuroarchitettura emerge dalla neuroestetica, lo studio di come il cervello risponde agli stimoli estetici. Un’utile introduzione a questo campo è la ricerca intrapresa da Anjan Chatterjee, direttore del Penn Center for Neuroaesthetics, e Oshin Vartanian, professore di psicologia all’Università di Toronto. Chatterjee e Vartanian propongono un modello teorico chiamato “La triade estetica” che formula una spiegazione in tre parti di come la nostra rete neurale risponda all’arte tramite il sistema sensomotorio, la valutazione delle emozioni e la conoscenza cognitiva e la creazione di significato.

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Fig. 1 - La “triade estetica” di Chatterjee e Vartanian, che descrive il sistema sensomotorio, la valutazione delle emozioni e la conoscenza cognitiva e la creazione di significato come tre aspetti chiave dell'esperienza estetica. © Foster + Partners

Il primo aspetto della triade – il “sistema sensomotorio” – riguarda i nostri sensi, che sono strettamente collegati ai nostri ricordi e alle nostre emozioni, come la ricerca neuroscientifica misura e afferma. Quando sentiamo un odore, ad esempio, l’informazione viaggia attraverso il naso fino al bulbo olfattivo del cervello. Questo invia poi segnali ad altre parti del cervello che controllano il nostro corpo, comprese le aree associate alle emozioni e ai ricordi, senza che il centro principale della memoria del nostro cervello sia necessariamente coinvolto. Ciò si estende anche agli altri sensi: ciò che sentiamo, vediamo, tocchiamo e assaggiamo (e il modo in cui il cervello elabora queste informazioni) influisce sul modo in cui ricordiamo le cose e le sentiamo in seguito, e sulla mappa di associazioni che possiamo formare.
Il secondo aspetto della triade è la “valutazione delle emozioni”, situata in una rete di regioni cerebrali associate alla ricompensa, al piacere, all’apprendimento del rinforzo e alla motivazione, come la corteccia prefrontale ventromediale e l’insula. Questo sistema rilascia neurotrasmettitori come la dopamina, la serotonina e l’ossitocina, che possono renderci felici o calmi, ad esempio. Le ricerche hanno suggerito che il nostro cervello risponde in modo diverso alla bellezza rispetto a stimoli sgradevoli o neutri; quando si vede qualcosa di bello, questo sistema cerebrale si attiva maggiormente e siamo motivati a cercare esperienze simili.
Il terzo elemento della triade riguarda la “conoscenza cognitiva e la creazione di significato”. A questo livello, la nostra cultura, la storia e le esperienze individuali influenzano la nostra percezione estetica. Quando si guarda un capolavoro come la Gioconda di Leonardo da Vinci, ad esempio, le informazioni contestuali e la formazione storico-artistica individuale possono modulare le risposte neurali in tutto il cervello; l’attivazione di questo sistema neurale esteso di conoscenza del significato influisce sulla nostra esperienza estetica. Ciò significa – come si evince dai dibattiti filosofici – che le nostre risposte estetiche sono sempre parte di un campo più ampio di informazioni sociali, politiche e culturali.

Definizione di neuroarchitettura

La neuroestetica è stata introdotta nel contesto architettonico, dando origine a quella che possiamo definire neuroarchitettura. L’architettura è una forma d’arte che esiste nello spazio fisico e i nostri edifici, come descrive l’architetto e accademico finlandese Juhani Pallasmaa, fornendoci “cornici percettive e orizzonti di comprensione” del mondo. La neuroarchitettura si chiede come queste cornici esterne influenzino e siano interpretate dalle nostre strutture neurologiche interne e, di conseguenza, influenzino i nostri stati d'animo e comportamenti.
La neuroarchitettura potrebbe essere meglio intesa come un corpo di competenze, uno strumento, a cui i progettisti possono ricorrere e con cui possono testare le loro idee.
Come ha osservato Fred Gage, neuroscienziato americano del Salk Institute: “Le neuroscienze hanno raggiunto un punto di comprensione del cervello e del modo in cui esso è influenzato dall’ambiente [tale] che i neuroscienziati possono collaborare con gli architetti nella progettazione di ambienti per consentire alle persone di funzionare al meglio”. La crescente attenzione alla neurodiversità, all’accessibilità e al benessere in relazione all’architettura può essere rafforzata da queste ricerche, che possono guidarci per costruire ambienti più favorevoli.
Tuttavia, la neuroarchitettura non deve – e non può – dettare i nostri progetti. Come ricorda il neuroscienziato cognitivo italiano Vittorio Gallese: "Non credo che possiamo dire qualcosa di interessante se ciò che diciamo contraddice ciò che sappiamo sul funzionamento del cervello. Ma il cervello, di per sé, non è in grado di spiegare la nostra variegata gamma di attività sociali e culturali."
Al contrario, la neuroarchitettura potrebbe essere meglio intesa come un corpo di competenze, uno strumento, a cui i progettisti possono ricorrere e con cui possono testare le loro idee. Come nel caso della progettazione architettonica in generale, che integra molte discipline contemporaneamente, la neuroarchitettura fa parte di un'ecologia progettuale più ampia. È una strategia interdisciplinare. 

Rappresentare la mente

Nell’ambito della ricerca sul potenziale della neuroarchitettura, lo Specialist Modelling Group (SMG) di Foster + Partners ha iniziato a esplorare le teorie di Gage e Gallese: come possiamo negoziare tra ciò che è fuori dal nostro corpo e dentro il nostro cervello? Cosa viene percepito consapevolmente e cosa è inconsapevole, ma comunque in atto? Come possiamo rappresentare artisticamente questa situazione?
I nostri segnali elettrici possono essere mappati con la tecnologia.Queste mappe formano qualcosa di simile a un'architettura della mente, una rappresentazione visiva e spaziale di come abitiamo noi stessi.
SMG ha recentemente collaborato con Amelia Peng, una studentessa del Royal College of Art specializzata in tessuti, insieme a musicisti e compositori del Royal College of Music e all’azienda tessile Dreamlux, per creare un’installazione per la Biennale di Design di Londra del 2023 chiamata “Inner Peace”. Il padiglione Inner Peace ha sfruttato le qualità terapeutiche della musica e dei tessuti per creare un’esperienza trasformativa accessibile alle persone di tutto lo spettro neurologico.

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Fig. 2 - Inner Peace pavilion alla London Design Biennale, Somerset House, 2023. © Aaron Hargreaves/Foster + Partners

L’installazione era una spettacolare cascata tessile sullo sfondo della Nelson Stair di Somerset House, progettata in stile neopalladiano dall’architetto svedese-scozzese Sir William Chambers. I visitatori sono stati invitati ad ascoltare la musica indossando una cuffia EEG (elettroencefalogramma) che registrava le loro onde cerebrali e le traduceva visivamente in colori e luci sull’installazione di tessuto. Le onde cerebrali sono state anche tradotte in suoni naturali generati dal vivo, come il canto degli uccelli o lo scorrere dei fiumi, per favorire il rilassamento attraverso un coinvolgimento multisensoriale.
Combinando tessuti intelligenti, scienza dei dati e neuroscienze, questo progetto mirava a esplorare la possibilità di utilizzare tecnologie all’avanguardia per progettare ambienti più inclusivi. Oltre a creare un evento estetico del cervello e dei suoi circuiti interni, l’installazione è anche un’utile dimostrazione di come la neuroarchitettura funzioni attraverso una serie di discipline, richiedendo competenze provenienti da più campi.
Oltre alla sperimentazione neuroarchitettonica di Foster + Partners, altri, come l’artista new-media turco-americano Refik Anadol, stanno esplorando l’estetica dell’intelligenza artificiale, traducendo l’attività neurologica in immagini visive e forme tattili. In un esperimento con questi strumenti tecnologici avanzati, forniti dal Neuroscape Laboratory dell’Università della California, San Francisco, Anadol ha raccolto dati sui meccanismi neurali del controllo cognitivo da un EEG (elettroencefalogramma) che misura i cambiamenti nell’attività delle onde cerebrali e fornisce prove del funzionamento del cervello nel tempo.
In Melting Memories, i partecipanti sono stati invitati a concentrarsi su specifici ricordi a lungo termine durante un processo di registrazione EEG. Questi dati costituiscono “i mattoni per gli algoritmi unici di cui l’artista ha bisogno per le strutture visive multidimensionali esposte”.
Gli esperimenti di Foster + Partners con Inner Peace e il lavoro di artisti come Anadol ci ricordano che siamo costituiti da reti di associazioni, da processi elettrici che, con la tecnologia, possono essere mappati. Queste mappe formano qualcosa di simile a un’architettura della mente, una rappresentazione visiva e spaziale di come abitiamo noi stessi. L’inversione artistica di queste opere – che porta l’interno all’esterno – riafferma gli aspetti scientifici della neuroarchitettura. Ci ricorda la complessità del sistema cervello-corpo, la sua costante calibrazione basata su fattori interni ed esterni e la sua più ampia implicazione e orientamento nello spazio. 

La neuroarchitettura come strumento di progettazione

Oltre al suo fascino concettuale e artistico, la neuroarchitettura ci fornisce quadri pratici per la progettazione e la valutazione degli ambienti spaziali. Chatterjee, Alex Coburn e Adam Weinberger suggeriscono in The neuroaesthetics of architectural spaces (La neuroestetica degli spazi architettonici) che l’esperienza neurologica dell’architettura si articoli in tre grandi componenti. La prima è la coerenza: quanto è organizzato e leggibile lo spazio? La seconda è il fascino: questo spazio è interessante, mi fa venire voglia di esplorarlo? La terza è la familiarità: quanto mi sento sicuro e a mio agio in uno spazio? Queste componenti possono essere espresse attraverso geometrie, scale, dimensioni, illuminazione, materiali, colori, odori o proprietà acustiche, e hanno un peso diverso a seconda di ciò che stiamo progettando. I fattori a cui gli architetti dovrebbero dare priorità quando progettano un ospedale, ad esempio, sono diversi da quelli di un ufficio o di una scuola.
Questi schemi di ricerca affermano che la progettazione non riguarda solo lo spazio, ma anche i suoi abitanti. La neuroarchitettura può essere un valido contributo al processo di progettazione e il suo studio del rapporto funzionale tra il sistema cervello-corpo e l’esperienza architettonica può essere sfruttato in vari modi. La neuroarchitettura può sostenere il pensiero creativo e incoraggiarci a pensare in modo flessibile. Può anche distoglierci da scelte progettuali che potrebbero limitare, escludere o danneggiare le persone.
Come aggiunge Suzan Ucmaklioglu, Inclusive Design Specialist di Foster + Partners: “Considerando fattori come il comfort sensoriale, la chiarezza dei percorsi, l’adattabilità dei layout e la riduzione dello stress, questo approccio può portare a una riduzione del sovraccarico sensoriale, a una migliore navigazione, a una maggiore chiarezza e a un processo decisionale indipendente, il tutto tenendo conto dei diversi profili neurocognitivi dell’esperienza umana. La neuroarchitettura come strumento di progettazione svolge un ruolo fondamentale nella promozione di un ambiente costruito più accessibile e accogliente, a vantaggio di tutti.”

Mappatura emozionale: Uno studio interno

Foster + Partners ha condotto una ricerca neuroarchitettonica in un contesto urbano che registra alcune di queste domande e possibilità. Uno studio condotto da SMG ha misurato le reazioni delle persone a diversi elementi urbani mentre camminavano per Londra, vicino al campus di Foster + Partners a Battersea e tra la stazione di Euston Road e la British Library a Camden.
I livelli di stress, eccitazione e meditazione dei partecipanti sono stati registrati con una cuffia EEG. Questi livelli sono cambiati in base al tessuto urbano, mentre le persone si muovevano attraverso aree affollate o confinate verso spazi più aperti.
Questo progetto mirava a tracciare scientificamente qualcosa di apparentemente soggettivo come l’umore di un partecipante mentre cammina in un ambiente urbano in continuo cambiamento. Senza negare la soggettività della nostra esperienza, è possibile mappare e concordare alcune risposte comuni ai modelli architettonici, come mostrano i diagrammi risultanti.

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Padiglione Penn Patient: fuori dall’edificio

Tali schemi sono sempre più rilevanti nel settore sanitario. Progetti come il Padiglione dell’Università della Pennsylvania di Foster + Partners (2021), una struttura per la cura dei pazienti collegata alla Penn Medicine, si prestano a tali letture neuroarchitettoniche. Diverse strategie di questo progetto – dal design dell’illuminazione, ai dettagli artistici e alla disposizione – possono essere spiegate, in termini neuroarchitettonici, come decisioni progettuali che supportano i nostri corpi e le nostre menti.
Il Penn Pavilion ospita un’impressionante gamma di strutture di ricerca e cura all’avanguardia. Composto da 500 camere private per pazienti con livelli di acuzie regolabili, dalle unità di terapia intensiva ai servizi fondamentali per i pazienti ricoverati, la struttura offre un ampio spazio per il pernottamento delle famiglie dei pazienti. Il design del Padiglione collega anche l’esterno e l’interno, privilegiando la luce naturale e le viste per i pazienti, i visitatori e il personale. Ciò contribuisce a creare un’atmosfera rilassante, poiché una costante illuminazione artificiale può alterare i ritmi circadiani, aumentando lo stress e la confusione.

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Fig. 4 - Penn Patient Pavilion, University of Pennsylvania. Il Pavilion è stato progettato tenendo conto del vicino Penn Museum, adottando un esterno curvo che rispetti l’architettura urbana esistente. © Nigel Young/Foster + Partners

Il sistema di pianificazione caratteristico e adattabile dell’edificio lo divide in “quartieri” distinti, creando un’atmosfera più intima e personalizzata per contrastare l’impersonalità stereotipata dell’ambiente ospedaliero. Ogni piano incorpora anche un “salotto” destinato ai visitatori che accompagnano i pazienti, per portare un elemento di sicurezza domestica e sociale in un ambiente generalmente poco familiare e potenzialmente stressante. Strategie simili sono state adottate nel Maggie's Manchester (2018), un luogo dove le persone colpite dal cancro possono trovare sostegno emotivo e pratico.

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Fig. 5 - La serra offre un rifugio in giardino, uno spazio in cui le persone possono riunirsi, lavorare con le mani e godere delle qualità terapeutiche e biofiliche della natura e dell'aria aperta. © Nigel Young/Foster + Partners


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Fig. 6 -Spazio interno del Maggie's di Manchester. L’arredamento è stato accuratamente selezionato per contrastare i segni istituzionali dell'ospedale. © Nigel Young/Foster + Partners

Il Maggie’s Manchester combina una varietà di spazi, da intime nicchie private a una biblioteca, sale per esercizi e luoghi per riunirsi e condividere una tazza di tè. I riferimenti istituzionali, come i corridoi e le insegne degli ospedali, sono stati banditi a favore di spazi simili a quelli di una casa. Norman Foster ha commentato il progetto: “Il nostro obiettivo... era quello di creare un edificio accogliente, amichevole e privo dei riferimenti istituzionali di un ospedale o di un centro sanitario: uno spazio luminoso e familiare dove le persone possono riunirsi, parlare o semplicemente riflettere".
Entrambe le architetture sanitarie, sebbene diverse per scala e contesto, comprendono intrinsecamente il nostro bisogno di connessione e sicurezza per guarire ed essere curati. La neuroarchitettura, che fornisce una base scientifica per la relazione reciproca tra persone e luoghi, può supportare la nostra intuizione architettonica e, forse, iniziare a spiegare perché ci sentiamo meglio.
Le componenti neuroestetiche possono essere espresse attraverso le geometrie, le scale, le dimensioni, l’illuminazione, i materiali, i colori, gli odori o le proprietà acustiche, e hanno un peso diverso a seconda di ciò che stiamo progettando.
Oltre a progettare in modo da ridurre lo stress e consentire il tempo e lo spazio per “riunirsi, parlare o semplicemente riflettere”, l'arte svolge un ruolo importante nell’approccio neuroarchitettonico alla progettazione di Foster + Partners. Le opere d’arte sono installate nel Penn Pavilion e servono come veicolo per “trasmettere valori culturali e creare inclusività”, come commentano Marcos Nadal e Chatterjee, rendendole appropriate per un edificio all’interno del quale si chiede alle persone di prendersi cura le une delle altre. La scultrice e designer americana Maya Lin, Decoding the Tree of Life, nell’atrio dell’edificio, utilizza una forma a spirale per comunicare la connessione tra natura e scienze mediche. Come ha detto Lin: “Voglio rendervi consapevoli di ciò che vi circonda nel Padiglione, in questo faro del progresso scientifico, collegandovi al mondo fisico e naturale che vi circonda e simboleggiando l’essenza stessa della vita - il DNA”.

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Fig. 7 - La scultura ad albero di Maya Lin, Decoding the Tree of Life. Per gentile concessione della Penn Medicine.


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Fig. 8- Il colorato murales Field and Sky di Odili Donald Odita. © Nigel Young/Foster + Partners

Il colorato e caleidoscopico murale Field and Sky del pittore astratto nigeriano-americano Odil Donald Odita accompagna i pazienti e il personale nei loro spostamenti all’interno del Padiglione. Secondo Odita, il murale ha creato “uno spazio esterno all’interno di un interno, per dare l’idea di essere portati all’esterno”. Entrambe le opere giocano con il nostro senso di relazione del corpo con l’ambiente esterno e ci chiedono di sintonizzarci su questa relazione in modi nuovi.
Questa attenzione al modo in cui ci sentiamo nello spazio, e al modo in cui ci muoviamo tra gli spazi, si estende alla disposizione del Penn Pavilion. I ricercatori, tra cui Chatterjee e Vartanian, hanno dimostrato che le forme esterne e interne curvilinee sono preferibili, in quanto le forme curve evocano un senso di sicurezza e comfort, a differenza delle forme angolari che possono suscitare sensazioni di minaccia o disagio.
Entrambe le architetture sanitarie, sebbene diverse per scala e contesto, comprendono intrinsecamente il nostro bisogno di connessione e sicurezza per guarire ed essere curati.
Mentre la scala e il design del Maggie’s Centre hanno permesso di eliminare del tutto la segnaletica “ospedaliera”, questo non era possibile in un edificio con un’offerta di cure così completa come il Penn Pavilion. Al contrario, è stata prestata un’attenzione particolare alla segnaletica necessaria e gli interni sono organizzati in modo da garantire che le persone siano consapevoli della loro posizione in qualsiasi momento e possano navigare nello spazio con facilità. Questo approccio attento riduce al minimo la confusione, contribuendo ulteriormente a creare un’esperienza positiva per i pazienti, il personale e i visitatori.
La neuroarchitettura mette in dialogo gli elementi architettonici con il nostro corpo e il nostro sistema nervoso. Ci ricorda che abbiamo un rapporto reciproco e mutevole anche con gli spazi apparentemente più insignificanti e legittima le idee da tempo sostenute sulla capacità dell’arte e dell’architettura di influire sulla nostra psicologia e fisiologia. Come descrive Foster nel suo apprezzamento dell’opera di Lin: “Razionalizzazione a parte, è una presenza bella e rilassante per i pazienti e per chi li accompagna”.

Percorsi potenziali

In questa direzione, SMG e il team Workplace Consultancy di Foster + Partners stanno collaborando con CW+, un gruppo di fondazione NHS presso il Chelsea and Westminster Hospital di Londra. Il progetto, attualmente in corso, mira a misurare e registrare la risposta delle persone ai parametri spaziali e ai modelli di biofilia in un ambiente ospedaliero. Le variazioni vengono misurate nella realtà fisica e virtuale utilizzando una combinazione di tecniche derivate dalle neuroscienze e forniranno informazioni su come le diverse condizioni influenzano il corpo e la mente. Questo non ha solo applicazioni nel contesto sanitario; c’è il potenziale per portare questi risultati ad altre iniziative di progettazione architettonica o urbana per migliorare il benessere.

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Fig. 9 - L'autrice con un "paziente" che indossa un dispositivo per elettroencefalogramma (EEG), occhiali per monitorare gli occhi, un monitor di frequenza cardiaca (HRV) e un sensore di attività elettrodermica (EAS). © Aaron Hargreaves/Foster + Partners

Nonostante le entusiasmanti prospettive di questi esperimenti per lo sviluppo di linee guida per gli architetti, in particolare per i progettisti del settore sanitario, non potremo mai prevedere o misurare esattamente la risposta di una persona a un ambiente. La neuroarchitettura non mira tanto a utilizzare le neuroscienze per “sbloccare” uno scenario progettuale perfetto, quanto piuttosto a trovare nuovi modi promettenti di progettare che tendano a risultati pratici e attenti, lasciando spazio all’esperienza individuale e soggettiva.
La promessa della neuroarchitettura, tuttavia, la rende anche soggetta a interpretazioni errate. Le domande sul futuro della neuroarchitettura sono quindi molteplici. Dove può portare lo studio del cervello e, di conseguenza, i nostri progetti? In quale fase si dovrebbe implementare la neuroarchitettura nel processo di progettazione e perché? Chi pratica la neuroarchitettura?
Mentre lavoriamo per fornire alcune risposte a questi problemi – e scoprire ulteriori domande – possiamo almeno essere certi di una verità universale: esisterà sempre un’interdipendenza tra le nostre menti, i nostri corpi e i nostri ambienti. L’opportunità offerta dalla neuroarchitettura consiste nel suo potenziale di fornire un quadro di riferimento per affrontare, misurare e testare questa relazione. I dati dimostrano che può aiutarci a progettare meglio e promettono che anche noi potremmo sentirci meglio.

Bibliografia

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  • Chatterjee, A., Coburn, A., & Weinberger, A. (2021). The Neuroaesthetics of Architectural Spaces. Cognitive Processing, 22 (Suppl 1), 115-120.
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