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numero 26 - aprile 2015

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Gestione del lutto nel counselling

Gestione del lutto nel counselling

Le espressioni della perdita sono infinite e sempre molto dolorose, ma quando si tratta di una scomparsa assoluta, come è quella che deriva dalla morte, la difficoltà diventa estrema. Il decesso, infatti, di figure affettivamente significative, come lo possono essere i genitori, il partner, i figli, i fratelli, gli amici o un animale da compagnia, è tra le esperienze più dolorose che la vita impone. Nonostante l’essere umano di caratterizzi per questa consapevolezza fondamentale, viviamo in un’epoca che ha estinto la capacità di gestire il senso del morire, cancellando i riti che un tempo amministravano il cordoglio attraverso le relazioni sociali. A causa di questo cambiamento, cha ha caratterizzato la seconda metà del secolo scorso, chi muore si trova spesso in solitudine, perché la comunità non dispone di script che aiutano le persone a dare forma ai propri sentimenti e alle relazioni di solidarietà. Questo comporta che, intorno al morire, si sviluppi un deserto che isola i sofferenti, peggiorando significativamente la loro condizione esistenziale. L’esito potenzialmente infausto, che tale stato determina, può essere in parte prevenuto, specialmente quanto il lutto sia esito di una malattia fatale a decorso prolungato, come lo sono per esempio il cancro o le patologie neurodegenerative, le quali dopo la prognosi infausta, possono implicare una terminalità prolungata, in cui l’inevitabilità della morte appare con evidenza tanto al malato quanto i famigliari. Tale periodo, che inizia con l’annuncio della bad news, ovvero da quando viene data la notizia dell’impossibilità di porre rimedio alla patologia che sta avanzando irresistibilmente, può essere infatti tanto nefasto quanto proficuo, in termini di prevenzione secondaria. Se è vero, infatti, che da quel momento inizia per il malato e i suoi famigliari un periodo di dolore, molto simile al lutto completo, e per questo si parla di “lutto anticipatorio” (anticipatory mourning), è altrettanto certo che ove la comunità curante e quella sociale offrono un sostegno adeguato, si riducono significativamente i danni che questa esperienza determina. Molto utili risultano i Gruppi di Mutuo Auto Aiuto (GAMA) e il sostegno dei volontari, ma purtroppo si tratta ancora di realtà poco valorizzate. L’importanza di tali forme di aggregazione, che si sviluppano intorno alla malattia grave e alla morte, è destinata a crescere, per due motivi, che renderanno sempre più significativo il supporto delle relazioni di aiuto. Il primo motivo riguarda il fatto che verrà progressivamente inverato quanto richiesto dalla convenzione di Oviedo, che ci destina a diventare ammalati competenti rispetto alle cure, affinché il nostro consenso sia consapevole e autentico. Poiché non sempre gli interventi medici garantiscono il ritorno a uno stato ottimale di salute, e qui stiamo parlando di ciò che a un certo punto inevitabilmente accade, ovvero che si debba morire, sarà prezioso il lavoro di chi saprà sostenere psicologicamente chi deve cominciare il percorso del proprio declino o di quello di una persona cara. Il secondo motivo inerisce al fatto che le carenze economiche dei servizi sanitari ridurranno drasticamente la possibilità di morire in strutture ospedaliere, e ricominceremo dunque a vivere l’ultimo periodo della vita a casa, anziché in ospedale. Purtroppo, l’assenza quasi totale di competenze diffuse al riguardo, relative a come si gestisce una malattia terminale e la morte a casa, abbandona tanto i morenti quanto i famigliari alla casualità dell’improvvisazione e alla contingenza delle situazioni.

Come discuto nel volume L’ultima nascita: Psicologa del morire e death education (Testoni, 2015), l’inesistenza di una cultura diffusa intorno ai temi dell’ammalarsi, della vita a termine e della morte aggiunge al dolore e alle difficoltà concrete anche l’incapacità di rappresentarsi il problema. L’isolamento sociale aggiunto all’impreparazione dinanzi all’evento e alla pervasiva sofferenza, che esso determina compromettendo anche gli equilibri più consolidati, rendono oltremodo difficile il superamento di questa tragedia naturale. Per chi rimane, gli effetti della perdita possono essere acuti e cronici, e i secondi sono l’estensione protratta dei primi (lutto patologico o prolungato). La riduzione del rischio patologico (che non è affatto esigua in quanto si aggira intorno al 10%e il 20% dei lutti) è determinata da vari fattori, primo tra tutti il sostegno sociale. Oltre ai gruppi AMA e di volontariato è possibile aiutare chi si trova in questa situazione con un sostegno di counselling, che supporti gli individui e le famiglie nella gestione dell’angoscia di separazione e nel superamento delle conseguenze della perdita. Tale sostegno può agevolarli nel compito di affrontare gli importanti cambiamenti e le loro ripercussioni che la morte porta con sé. Il counselling può essere declinato sulla base delle istanze del sofferente, al fine di prevenirne le derive patologiche. Sebbene non necessariamente anche le espressioni più severe della sofferenza ci autorizzano a pensare che sia necessario inviare il dolente a un counsellor o a uno psicoterapeuta, è però anche vero che, dato il momento storico in cui viviamo, caratterizzato da una forte e significativa crisi rispetto alle religioni, come pure da una sostanziale incapacità di parlare di morte e da una parallela tendenza a isolare chi soffre, non è insolito incontrare richieste di aiuto psicologico di questo tipo.

La ricerca psicologica ha predisposto numerosi modelli per descrivere le fasi di questo processo e in questa sede ne ricordiamo solo due, perché sono le più celebri. Il primo e più famoso modello è stato descritto da Elisabeth Kübler-Ross, la quale, adottando un approccio sostanzialmente descrittivo, ha definito l’avvicendarsi stocastico di cinque fasi: la fase della negazione o del rifiuto; la fase della rabbia; la fase della contrattazione o del patteggiamento; la fase della depressione e infine la fase dell’accettazione. Theresa Rando ha proposto uno schema più evoluto, ovvero il Modello delle 6R, il quale descrive processi che seguono un ordine abbastanza preciso piuttosto che momenti imprevedibili. Si tratta di una prospettiva particolarmente efficace per il supporto del counselling, perché indica il percorso e i traguardi che devono essere raggiunti al di là delle fasi naturali del lutto, affinché esso sia efficacemente superato. Tali passaggi consistono nella seguente successione: Recognize, riconoscimento della perdita e delle implicazioni; React, dare libero sfogo al dolore; Recollect, ricordare e recuperare i ricordi, senza cancellare o inibire i sentimenti annessi; Relinquish, lasciar andare il morente o il suo ricordo persistente; Reinvest, re-investimento della dimensione affettiva ed emozionale, tanto da poter recuperare la possibilità di avere rapporti interamente significativi e appaganti nonostante l’esperienza di dolore.

Il counsellor, dunque, orienta, sostiene e sviluppa le potenzialità del sofferente e ne mobilita le capacità resilienti momentaneamente inibite. Il suo lavoro può essere svolto con sedute individuali e/o di gruppo, a casa o in strutture sanitarie, per aiutare tanto i morenti quanto i dolenti, siano essi bambini o adulti. Questo tipo di intervento deve poter garantire anche competenze tanto di tipo spirituale quanto filosofico, facendo leva sulle risorse intime del malato e dei famigliari, sostenendo il loro accesso alla propria spiritualità e alla capacità di riflettere su ciò che più temono. Il counsellor è colui che sa offrire in modo professionale un ascolto empatico e accogliente affinché il tema della morte non venga in alcun modo censurato ma sviluppato interamente e considerato secondo le prospettive che permettono di rintracciare la dimensione trascendentale, indipendentemente dal credo professato. Una competenza di questo tipo è oltremodo necessaria e ancora troppo carente nello scenario dell’aiuto nella cura per la promozione del benessere.

Bibliografia

  • Kubler-Ross, E. (1974). Questions and answers on death and dying. New York, NY: Macmillan, (trad.it.Domande e risposte sulla morte e il morire, II ed., Red, Como, 1989).
  • Rando T. (ed.)(2000). Clinical Dimensions of Anticipatory Mourning: Theory and Practice in working with the Dying, Their Loved Ones, and Their Caregivers. Research Press, Champaign, IL.
  • Testoni I., (2015). L’ultima nascita. Psicologia del morire e death education. Bollati Boringhieri, Torino.