QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

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numero 1 - ottobre 2012

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Rassegna stampa

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La solitudine dei bambini autistici: gli aspetti motori dell’isolamento

Nei bambini autistici, la solitudine è uno dei problemi principali. Ciò è in parte dovuto al fatto che spesso i bambini con disturbo dello spettro autistico (ASD) hanno dei problemi motori, con difficoltà che vanno dall’imitazione delle azioni sino al riconoscimento delle intenzioni motorie delle altre persone. Per cercare di fare luce su questo aspetto del disturbo, un pool di ricercatori di Parma, coordinati da Giuseppe Cossu, ha messo a punto una batteria di 9 compiti, riguardante le capacità di imitazione di azioni, produzione e comprensione di pantomime. La batteria è stata somministrata a 15 bambini ASD ad alto funzionamento, con diagnosi certificata basata sul DSM-IV e confermata dai risultati del test ADOS. Inoltre, la stessa batteria è stata somministrata a due distinti gruppi di controllo: i partecipanti del primo gruppo di controllo sono stati accoppiati per età cronologica al campione di bambini autistici, mentre il secondo gruppo di controllo era formato da bambini con età cronologica inferiore. I risultati hanno evidenziato come i bambini con disturbo dello spettro autistico abbiamo ottenuto una performance significativamente peggiore in tutti i compiti della batteria, rispetto ad entrambi i gruppi di controllo. Nonostante questo risultato non sia purtroppo eclatante in sé, la diversità nella forza di tali differenze nei vari compiti permette di avanzare delle importanti ipotesi di intervento, reale scopo della ricerca scientifica nel campo della psicologia. Ad esempio, i bambini autistici hanno maggiori problemi nell’identificare le motivazioni alla base di un’azione (ovvero, il perché si porta un bicchiere alla bocca) mentre hanno meno difficoltà nel riconoscimento dell’azione stessa (ovvero, descrivere che si sta portando un bicchiere alla bocca). Di conseguenza, con l’utilizzo di opportuni facilitatori è possibile migliorare le performance dei bambini autistici in tali ambiti, con lo scopo di ridurre l’isolamento nel quale vivono. Grazie a questa consapevolezza, quindi, è possibile sfruttare i punti di maggiore forza dei bambini in modo tale da instaurare una modalità di comunicazione tra loro ed il mondo esterno capace da un lato di diminuirne l’isolamento e dall’altro di sfruttare questi stessi punti di forza per cercare di ridurre il gap presente negli ambiti maggiormente critici.

Cossu, G., Boria, S., Copioli, C., Bracceschi, R., Giuberti, V., Santelli, E. & Gallese, V. (2012). Motor representation of actions in children with autism. Plos one, 7 (9), 1-8

 

La differenza tra monete e banconote: come questo influisce sulla nostra spesa

Tutti noi ci siamo chiesti se quando abbiamo tante monete spendiamo di più rispetto a quando nel portafoglio abbiamo solo delle banconote. Lo studio di un gruppo di ricerca italiano, partendo dal fatto che le persone attribuiscono un differente valore ai soldi se questi sono sotto forma di moneta o di banconota, permette di rispondere a questo curioso quesito. In particolare, i ricercatori hanno messo a punto cinque differenti esperimenti in modo tale da fornire un’esaustiva spiegazione di questo fenomeno. Il primo esperimento evidenzia che in una situazione nella quale le persone possono pagare un articolo scegliendo tra le monete e le banconote, la maggior parte di queste utilizza solo ed esclusivamente le monete, indipendentemente dall’età della persona. Il secondo esperimento ha messo in luce come le persone siano disposte a spendere una cifra maggiore per lo stesso prodotto quando lo pagano utilizzando monete rispetto a quando per il pagamento si usano le banconote. Inoltre, il terzo studio mostra come questo non dipenda dalla familiarità rispetto al conio utilizzato: infatti, gli stessi risultati sono stati ottenuti sia con il dollaro USA che con l’euro. I risultati del quarto studio mettono in luce come un numero maggiore di persone sia disposto ad acquistare una tazza al costo di 7€ quando hanno delle monete a disposizione per il pagamento rispetto a quando sono obbligati a pagarla con le banconote. Nell’ultimo studio, infine, le persone associano, nella loro memoria, un basso valore alle monete rispetto alle banconote indipendentemente dal loro taglio e dalla loro quantità. In sintesi, si evidenzia come la differenza tra banconote e monete nella percezione delle persone sia ampiamente in grado di portare a differenti comportamenti di acquisto. Per concludere, quindi, è conveniente avere nel portafoglio poche monete e tante banconote in modo tale da spendere meno!

Tessari, T., Rubaltelli, E., Tomelleri, S., Zorzi, C., Pietroni, D., Levorato, C. & Rumiati, R. (2011). €1 ≠ €2: coins versus banknotes and people’s spending behavior. European Psychologist, 16 (3), 238-246.

 

Esiste una relazione tra personalità e abilità dichiarata?

Una delle domande più ricorrenti nella letteratura scientifica, e alle quali non è stata data una risposta certa o quanto meno universalmente accettata, riguarda l’esistenza di una relazione tra alcune variabili di personalità e delle autovalutazioni di abilità, ad esempio cognitive, effettuate dalle persone. Questa domanda acquista ancora maggiore rilevanza dal momento che è stata dimostrata una relazione tra misure oggettive e standardizzate di abilità cognitive e misure self-report delle stesse abilità. La centralità di questa relazione dipende dal fatto che la stessa risulta essere un mediatore rispetto alla relazione tra misure di personalità e misure oggettive di abilità cognitive; ad esempio, è nota la relazione che lega la coscienziosità ad abilità spaziali e logico-matematiche. Lo studio condotto da un gruppo internazionale di ricercatori si inserisce all’interno di questo dibattito; in particolare, ad un ampio gruppo di fratelli, gemelli e non, sono state somministrate delle misure di personalità e delle misure con le quali i partecipanti stessi valutano il proprio livello di abilità in diverse aree. I risultati hanno evidenziato come le proprie valutazioni circa delle abilità cognitive hanno una componente genetica e sono correlate ad alcune dimensioni della personalità. Ad esempio, le abilità creative sono risultate essere correlate con l’estroversione, l’apertura al contatto e l’aggressività, mentre mostrano una correlazione negativa con la coscienziosità; allo stesso modo, le abilità interpersonali sono positivamente connesse all’estroversione, all’apertura al contatto e, anche se in misura minore, alla dipendenza mentre non è stata evidenziata nessuna correlazione significativa, nemmeno negativa, con l’aggressività. In sintesi, al di là dei singoli pattern correlazionali evidenziati in questo studio, la conclusione principale derivante da questo lavoro riguarda il fatto che alcune variabili di personalità sono correlate, anche in misura alquanto forte, a come le persone si giudicano in merito a quello che ritengono capaci di saper fare, senza dimenticare che quest’ultima variabile è ampiamente connessa alle effettive abilità possedute delle persone.

Schermer, J. A., Johnson A. M., Vernon, P. A. & Lang, K. L. (2011). The relationship between personality and self-report abilities. Journal of Individual Differences, 32 (1), 47-53.

 

L’ordine di presentazione dei test influisce sulle prestazioni?

Quando ci si trova di fronte ad una batteria di test psicologici, sia nei panni dei rispondenti che degli esaminatori, uno dei quesiti principali riguarda l’ordine con le quali le differenti prove vengono presentate. Due studiosi austriaci hanno chiarito alcuni importanti aspetti circa gli effetti dell’ordine di presentazione dei test psicologici, siano essi di personalità che cognitivi. A tale scopo hanno somministrato a dei manager una sequenza di test di entrambe le tipologie. I risultati hanno mostrato come i test cognitivi risentano meno dei test di personalità di problemi derivanti dalla stanchezza delle persone e, quindi, dell’ordine di presentazione; questo è vero soprattutto per i test di abilità composti da item complessi: infatti, dopo molti test il soggetto tende a rispondere velocemente agli item che percepisce semplici mentre ciò non accade quando gli item non vengono percepiti come tali. Per quel che concerne i test di personalità, gli autori hanno evidenziato come questi risentano in misura maggiore della stanchezza dei rispondenti. Nonostante ciò, è emerso come i test di personalità strettamente legati alla vita professionale, ovvero quei test di personalità molto contestualizzati in ambito organizzativo, risentano molto meno di questo effetto rispetto ai più classici test di personalità composti da domande non inerenti la sfera lavorativa. In sintesi, la prima conclusione che è possibile trarre da questo studio è quella di preferire degli strumenti tarati per le caratteristiche dei rispondenti: ad esempio, nei manager è conciliabile utilizzare test cognitivi con item complessi e reattivi di personalità di stampo organizzativo; infatti, questi risultati devono essere contestualizzati alla tipologia di campione sulla quale è stato condotto lo studio e non è possibile cercare di generalizzarli ulteriormente. Infine, all’interno di una batteria di test sembrerebbe meglio presentare inizialmente i test di personalità e solo successivamente quelli cognitivi dal momento che la performance in questi ultimi differisce meno in funzione dell’ordine con la quale viene svolta.

Khorramdel, L. & Frebort, M. (2011). Context effects on test performance. European Journal of Psychological Assessment, 27 (2), 103-110.