QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

Qi, il magazine online di Hogrefe Editore.
Ogni mese, cultura, scienza ed aggiornamento
in psicologia.

numero 33 - dicembre 2015

Hogrefe editore
Archivio riviste

L'intervista

Intervista Massimo Borgioni

Intervista Massimo Borgioni

Autore di una recente pubblicazione sul tema delle dipendenze e controdipendenze affettive, il Dott. Borgioni ci offre il suo contributo alla comprensione di questo fenomeno e dell'impatto che inevitabilemente esercita sul piano sociale e relazionale.

D. Dottor Borgioni, ci aiuti a conoscerla meglio. Qual è la sua attività clinica prevalente e quali le tipologie di pazienti con cui più frequentemente si trova a contatto?

R. Lavoro come psicologo e psicoterapeuta presso la ASL RMF nel Servizio per le Dipendenze di Civitavecchia, seguo utenti con problemi di abuso e dipendenza da sostanze e i loro familiari; attualmente ho un incarico specifico per l'area carcere. Inoltre svolgo attività privata a Roma, sono formatore nei corsi di specializzazione per psicoterapeuti presso l'Istituto dell'Approccio Centrato sulla Persona e ho incarichi di docenza presso la Società Italiana di Analisi Bioenergetica.

D. Lei ha da poco pubblicato un libro da titolo "Dipendenza e controdipendenza affettiva: dalle passioni scriteriate all’indifferenza vuota". Quando ha iniziato a occuparsi di dipendenze affettive?

R. Mi occupo di questa problematica da diversi anni. La chiave di accesso per entrare in questo mondo mi è stata fornita proprio dal lavoro con le dipendenze da sostanze psicoattive, e in particolare dal lavoro con familiari e partner di persone con questo tipo di problemi. Mi è stato subito chiaro che chi convive e si prende carico di persone tossicodipendenti, pur non assumendo sostanze, sovente ha a sua volta un problema di dipendenza: una dipendenza patologica dalla relazione, dal legame affettivo spesso altamente disfunzionale creato con questo tipo di soggetti. Si tratta di forme di co-dipendenza, per utilizzare un termine coniato nei primi gruppi di aiuto-mutuo-aiuto formati da donne legate da anni a partner alcolisti le quali avevano scoperto che il loro autosacrificio costituiva esso tesso un grave problema (se non una vera e propria patologia) e diventava parte del problema stesso di cui volevano occuparsi.

D. Cosa si intende con dipendenza e co-dipendenza affettiva? E con passioni scriteriate?

R. La dipendenza affettiva è una condizione di disequilibrio nel modo di costruire le relazioni interpersonali, e in particolare i rapporti di intimità. Si tratta di una situazione che intercorre tra due o più persone adulte legate da vincoli parentali o sentimentali, oppure da rapporti diversamente connotati dal punto di vista culturale, come quello tra un professionista della salute mentale (psichiatra, psicoterapeuta) e paziente o cliente. Tutti i dipendenti affettivi condividono una difficoltà specifica a vivere la solitudine, condizione che non viene mai percepita come una risorsa o un' opportunità, ma che viceversa viene sempre esperita alla stregua un evento fortemente angosciante da rifuggire in modo fobico. Proprio a causa di ciò il dipendente affettivo non riesce a fare a meno dell'altro, non è capace di vivere l'evento della separazione (anche se transitorio), e affida per intero al suo interlocutore tutte quelle funzioni di autoregolazione che dovrebbe poter assolvere da solo. In questo modo l'altro diventa indispensabile per la regolazione e il mantenimento dell'autostima, per la rassicurazione e il contenimento degli stati di inquietudine o ansietà, per il mantenimento del sentimento di integrità e coesione del sé. In questa ottica l'altro può diventare il polo unico in grado di suscitare (e sul quale far convergere) emozioni forti: unica ragione per sentirsi motivati, eccitati e vivi. È a causa di questo abdicare totalmente all'esercizio del proprio potere personale, e nell'impossibilità anche solo di concepire la separazione, che il dipendente affettivo diventa facilmente ricattabile nella relazione: egli è disposto ad accettare di tutto pur di non essere allontanato dal partner, rendendosi disponibile anche a seguirlo all'inferno qualora ce ne fosse bisogno e gli venisse richiesto. E in effetti questo tipo di relazioni costituiscono un vero e proprio inferno. Sotto la pressione di un partner molesto, il dipendente affettivo può rinunciare ai propri interessi, al proprio lavoro, può perdere la rete socio-affettiva di riferimento e isolarsi. Questo accade perché i dipendenti affettivi non sono attratti dalle cure amorevoli di un partner normale, ma si lasciano piuttosto sedurre da un soggetto che rappresenta il loro opposto, che incarna cioè un'immagine inattaccabile e perfetta di sicurezza: solitamente un controdipendente (narcisista, antisociale o sadico) che ha negato la propria dipendenza e il bisogno dell'altro rifugiandosi nel mito di un'autoreferenzialità e di un'autosufficienza assoluti. Quest'ultimo è la persona meno capace di darsi all'altro, di sperimentare empatia, di sentire ed esprimere sensibilità. In questo modo il dipendente affettivo viene a trovarsi nella condizione paradossale di chiedere tanto a chi non può concedergli nulla, di aggrapparsi sempre di più per ottenere sempre di meno. Per tali ragioni, in casi come questo, si può a buon motivo parlare di “passioni scriteriate”.
La codipendenza è una forma di dipendenza affettiva. Essa ha luogo quando il dipendente affettivo, per garantirsi il mantenimento della relazione, e ritagliarsi un ruolo che lo faccia sentire utile e importante, si mette con qualcuno che grava in uno stato di difficoltà, che vive una forte condizione di bisogno e che chiede di essere salvato: tipicamente un tossicodipendente o un alcolista, ossia nella maggior parte dei casi un controdipendente in fase di scompenso.

D. “Solo salutando la propria illusione e intraprendendo il suo viaggio lungo il cammino desertificato della perdita, senza più soste davanti a inutili miraggi, egli potrà riconquistare se stesso”. In questo passo del suo libro dà una prima indicazione su come una persona con dipendenza affettiva può uscirne. Ci commenta questo passo?

R. Per liberarci dal nostro passato dobbiamo imparare ad accettarlo. Il dipendente affettivo non è stato amato nella sua infanzia e la sua sfida è quella di riscattarsi da questa condizione. Per questo è ingaggiato dalle relazioni difficili: vuole superare l'esame per potersi dire “allora sono amabile!”. È ancora alla ricerca del genitore che non lo ha amato e vuole farsi amare da lui: questa è l'illusione. Così non accettando il suo passato lo ricrea continuamente nel suo presente. Se io non mi sento amabile non verrò mai amato. Prima devo imparare a farlo io e il dipendente affettivo deve imparare ad amarsi anche se ha avuto genitori trascuranti, deve farlo da solo, accogliendo lui stesso il bambino deprivato che è dentro di sé, smettendola di affidarlo sempre alle cure di chi non può e non vuole occuparsene.

D. Nella sua esperienza quali sono i momenti più difficili che un terapeuta deve affrontare quando sta lavorando con una persona con dipendenza affettiva?

R. Senz'altro le ricadute, quando vedi che il duro lavoro fatto insieme alla persona per arrivare a certi traguardi improvvisamente si dissolve e tutti i progressi franano in un colpo solo. Chiunque decida di lavorare con le dipendenze, dipendenze affettive comprese, questo deve saperlo bene. Lavorare con le dipendenze significa anche imparare ad accettare le ricadute del nostri clienti.

D. Una relazione in cui c’è dipendenza affettiva è una relazione tossica. Tuttavia, a volte si ha l’impressione che ci siano modelli culturali che favoriscono le dipendenze affettive: dalle cose più ingenue come le canzoni d’amore (si pensi solo a "Grande grande grande" di Mina che è una perfetta descrizione di una dipendenza affettiva) ai precetti rigidi che a volte certi modelli familiari impongono. Riconosce che ci siano queste ambivalenze culturali?

R. Viviamo in una società che genera insicurezze, la cosiddetta “modernità liquida” per utilizzare una metafora altamente significativa ed efficace di Baumann. Oggi non esistono più orizzonti certi di valore, nulla sembra destinato a durare, la precarietà domina su tutto: lavoro, istituzioni, rapporti. In una situazione come questa il bisogno di sicurezza si accumua dentro ciascuno di noi e ci rende più vulnerabili all'addiction. Inoltre le moderne tecnologie informatiche contribuiscono, secondo me, a rinforzare ma in alcuni casi anche a stimolare le dipendenze, e le dipendenze affettive in particolare attraverso quella che io definisco una relazionalità compulsiva tecnomediata.